mercoledì 25 novembre 2015

Attacchi di panico con la psicologa. Milano in testa

Combattere gli attacchi di panico, prima che diventino un problema, avvalendosi di una psicologa. Milano, una città prolifica per le professionalità esistenti.

 Troppe preoccupazioni, stress eccessivo, poco tempo a disposizione e incapacità di gestione delle emozioni, possono creare nei soggetti più sensibili stati di ansia che, se non arginati, possono portare agli attacchi di panico e, quindi, a vere e proprie patologie.
• Attacchi di panico – numeri e soluzioni
Recentemente, poiché il tenore di vita di ognuno di noi diventa sempre più stressante e con ritmi sempre più densi, i casi di attacchi di panico sono esponenzialmente aumentati. L’Italia non è esente da questo fenomeno negativo e, soprattutto, nelle città più urbanizzate si sono registrate molte richieste ai aiuto agli esperti: uno psicologo ha in media 5 pazienti che soffrono di attacchi di panico. La figura maggiormente scelta dagli italiani per la risoluzione di questi problemi è quella della psicologa; Milano sembra essere, insieme a Roma, la città in cui vi sono più studi specializzati che offrono soluzioni personalizzate.

• Cosa sono gli attacchi di panico e quali sono le cause?
Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi che si sviluppano senza motivo apparente. Provocano reazioni psicologiche ma, soprattutto, fisiche che possono generalmente spaventare il soggetto che può pensare non solo di aver perso il controllo, ma anche di avere un infarto in corso o di essere, addirittura, prossimo alla morte. È opportuno distinguere gli episodi isolati di attacchi di panico da un disturbo cronico e, quindi, in grado di invalidare la quotidianità del soggetto.
Le cause non si conoscono con certezza e variano da persona a persona. Tuttavia tre sono i fattori che, tendenzialmente, possono incidere: la genetica, il malfunzionamento di specifiche aree del cervello e lo stress eccessivo.

• Quali sono i sintomi degli attacchi di panico?
Solitamente i sintomi, come le cause, variano da soggetto a soggetto: talvolta un solo soggetto può avere un solo sintomo, oppure a fasi alterne anche più di uno.
I principali sintomi, sostanzialmente, sono: sudorazione eccessiva e improvvisa, battito cardiaco accelerato, tremore, iperventilazione, respiro corto, brividi, nausea, dolore cardiaco e crampi addominali.
È molto difficile comprendere la portata e la gravità di ciascuna manifestazione, durante un attacco di panico. Ma, nel caso in cui doveste riconoscere uno di questi campanelli di allarme, vi consigliamo di rivolgervi a uno specialista poiché trascurare una patologia di questa portata, può indurre chiunque a degenerare sino ad avere bisogno non solo di efficaci – ma blande - tecniche di rilassamento, ma anche un trattamento psicoterapeutico e farmacologico indispensabile.

Link:

Comunicati-Stampa.Net 

giovedì 12 novembre 2015

Ansia: 7 consigli per gestire un attacco di panico

Il centesimo attacco di panico è come il primo. E cioè non importa quante volte abbiamo sperimentato i sintomi odiosi - dolore al petto, pelle arrossata, batticuore e respiro difficoltoso: non appena si palesano, immediatamente temiamo di dover correre al pronto soccorso per un infarto o una crisi respiratoria. Insomma, sembra quasi impossibile fare tesoro dell'esperienza sugli attacchi di ansia.
E invece, quando tutto è finito e torniamo razionali, scopriamo ancora una volta che non siamo morti né abbiamo avuto bisogno del medico. Il passo successivo è cominciare a mettere in pratica delle mosse che ci aiuteranno a superare il prossimo attacco senza soccombere al terrore.
Ecco i passi da mettere in pratica. Non serviranno a fermare l'ansia, ma a gestirla nel modo migliore.
 


1. Accetta l'attacco di panico
E' impossibile fermare l'ansia con la forza di volontà. Quello che invece possiamo imparare è riconoscere i segnali dell'ansia. Dite a voi stessi: "Sto avendo un attacco".


2. Prendi nota
Una volta compreso che state avendo un attacco di ansia, prendete carta e penna e scrivete quello che state provando a livello fisico ed emotivo. Cercate di evitare pensieri catastrofici come "morirò", "sono solo e nessuno può aiutarmi", "potrei svenire". Annotare le sensazioni aiuta proprio a prevenire questi pensieri.


3. Respira
Il respiro corto è tipico dell'attacco di ansia. Cercate allora di respirare con la pancia. Allenatevi quando state bene così poi riuscirà più semplice.


4. Rilassati

Durante un attacco di ansia alcune parti del corpo si contraggono (mani, piedi, collo). Cercate di rilassare quelle parti.


5. Parla a te stesso
Una volta accettato il fatto che avete un attacco di panico, parlate a voce alta con voi stessi e dite: "Ho un attacco di panico". Oppure: "Non sverrò perché la mia pressione si sta alzando e mi terrà in piedi". O altre frasi che abbiano un potere rilassante.


6. Ritorna al presente
E' molto difficile tornare nei luoghi dove si è sperimentato un attacco di panico, ma cercate di farlo. Un po' alla volta.


7. Cerca aiuto

Molto spesso l'attacco di ansia è soltanto psicologico e non vi sono problemi di salute sottostanti. Consultate un cardiologo per essere rassicurati - soprattutto se temete l'infarto e poi consultate uno psicoterapeuta che vi aiuterà a superare il problema con l'ansia. 


L' Huffington Post.it 

giovedì 5 novembre 2015

Amore vero o dipendenza d'amore?

Nella dipendenza affettiva, ciò che viene sperimentato come amore diventa una droga

Cos'ė l'amore?

L’amore rappresenta il bisogno e la capacità di trascendere noi stessi e, insieme ad un altro, creare una realtà nuova. A volte, però, questo delicato equilibrio si altera creando una frattura tra il dare e il ricevere, tra il proprio confine e lo spazio condiviso. Se ciò accade, l'amore può trasformarsi da un'occasione di crescita e arricchimento ad una gabbia di dolore.
Questo è quello che succede quando si entra in una dipendenza affettiva.
Ė però d’obbligo una premessa quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, ognuno di noi ha bisogno di approvazione, di empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri per sostenerci e per regolare la nostra autostima.
Dunque, la dipendenza affettiva è una forma di amore negativo caratterizzata da assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva nelle sue manifestazioni di coppia, in cui un individuo, “donatore d'amore a senso unico”, vede nel legame con l'altra persona, l'unico scopo della propria esistenza e il riempimento dei propri vuoti affettivi, creando malessere psicologico e/o fisico, piuttosto che benessere e serenità, come dovrebbe essere.
L'amore nasce dall'incontro di due unità, non di due metà. Solo se si percepisce nella sua completezza è possibile donarsi senza annullarsi, senza perdersi nell'altro. Chi è affetto da dipendenza affettiva, non essendo autonomo, non riesce a vivere l'amore nella sua profondità e intimità.
La paura dell'abbandono, della separazione, della solitudine generano un costante stato di tensione e i propri bisogni e desideri individuali vengono negati e annullati sfociando in una relazione simbiotica. La dipendenza affettiva, diversamente da quanto a volte si manifesta all'evidenza, non è un fenomeno che riguarda una sola persona, ma è una dinamica a due.
A volte il partner del “dipendente affettivo” è un soggetto problematico, che maschera la propria dipendenza affettiva con una dipendenza da droga, alcol o gioco d'azzardo. In questo caso i problemi del compagno diventano la giustificazione per dedicarsi interamente all'altro bisognoso, non prendendosi il rischio di condurre un'esistenza per sé. Altre volte la persona amata è rifiutante, sfuggente o irraggiungibile, per esempio sposata o non interessata alla relazione. In entrambi i casi quello che seduce è la lotta: la dipendenza si alimenta del desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia in modo soddisfacente, e cresce in proporzione al rifiuto.
La persona che ha una dipendenza affettiva di solito soffoca ogni desiderio e interesse individuale per occuparsi dell'altro, ma inevitabilmente viene delusa e il suo amore prende anche la forma del risentimento. Allo stesso tempo non riesce ad interrompere la relazione, amando troppo e non rendendosi conto che questo comportamento distrugge l'amore che richiede invece autonomia e reciprocità.
L'amore diventa quindi come una droga.
I sintomi più rilevanti per riconoscere questo problema possono essere: gelosia, vergogna, senso di inferiorità e rabbia nei confronti del partner, annullamento di sé, abbassamento dell’autostima e paura di solitudine, terrore dei cambiamenti, paura della lontananza e dell' abbandono, come della separazione.
In realtà, i sintomi possono essere ben più complessi e comprendono anche l’idealizzazione del partner, sottomissione caratteriale, tendenza ad assumersi colpe, bisogno di controllo nei confronti della persona amata, ansia ed attacchi di panico, pensiero ossessivo della perdita della dolce metà.
Cosa si può fare se si pensa di soffrire di dipendenza affettiva o se pensiamo che qualche nostro caro ne soffra?
Il primo passo verso il superamento del problema è riconoscere di avere un problema. Poi, si deve chiedere aiuto. Ė essenziale porre la propria salute e il proprio benessere come priorità su tutto il resto. La guarigione dalla dipendenza affettiva non prevede sempre l’allontanamento dalla persona che crea dipendenza, ma l’acquisizione dell’autonomia affettiva che manca, in modo tale che si creino dei rapporti realmente desiderati, sani, produttivi e non portati avanti soltanto per il pensiero di non poter esistere senza di essi. 

 Come scrive Robin Norwood, in "Donne che amano troppo": "Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo".

  ernestina fiore
Targatocn.it 

giovedì 29 ottobre 2015

Turchese per l'ansia e viola contro gli attacchi di panico, il colore che cura

Roma, 23 ott. -(AdnKronos) - Da ciò che si mangia al trucco, dagli elementi d'arredo allo sfondo del pc, dalle sfumature del mare ai verdi del bosco, dai riflessi del cristallo al muro di casa, dagli abiti al sole che ogni giorno porta luce nelle nostre vite. "Tutto intorno a noi è colore e influenza i nostri stati emotivi. Senza colore (buio) - spiega Sara Cicolani, esperta di cromoterapia emozionale - è stato accertato che il nostro umore peggiora notevolmente. Ci sono numerosi studi che dimostrano la connessione tra stati depressivi e chi lavora senza luce o tra chi indossa occhiali scuri da sole per troppe ore al giorno. Dato che il colore influenza notevolmente i nostri stati emotivi - spiega Cicolani -basterebbe veramente poco per essere sempre con una giusta dose di buon umore nonostante le mille peripezie che la vita quotidiana ci impone".


Possiamo infatti sfruttare i vari effetti che, a nostra insaputa, il colore ha sui nostri stati d'animo. "Ci sono dei colori che ci aiutano moltissimo a cambiare in poco il nostro umore e sono i cosiddetti colori caldi: giallo, oro, arancio". Ma in realtà ogni moderno malessere sembra avere un colore 'curativo'.

"Altri colori - spiega Cicolani - ci aiutano a metterci in contatto con le nostre discordanze emozionali quotidiane così tipiche di questo periodo storico tra cui la paura di non essere amati, la fame d'amore (rosa/cristallo); gli sbalzi d'umore (oro); il senso d'inadeguatezza (porpora); il sentirsi scarichi e senza energie (verde luminoso); l'ansia (turchese); avere mille paure (celeste acqua); essere facilmente manipolabili (viola scuro), essere freddi, distaccati e intolleranti (mix di viola scuro, rosso, rosa, verde); l'inclinazione a rimandare in continuazione (rosso ambrato); il senso di frustrazione (arancio chiaro); gli attacchi di panico (viola scuro, celeste acqua, oro, cristallo)".

Se invece vogliamo eliminare tutti i troppi pensieri che ci rovinano le giornate "basterà usare le tonalità del blu 'annacquato', blu chiaro, celeste acqua, turchese, azzurro.... Insomma blu non troppo scuro perché altrimenti ci deprimiamo".

E ancora, grigio per disintossicarsi dal mondo; arancio chiaro se ci si sente frustrati; verde mare contro le reazioni violente e negative; rosso ambrato per combattere l'indecisione; blu contro il mal di testa.

Se poi volessimo creare all'interno della nostra casa una stanza della meditazione"tutte le tonalità del viola e l'oro aiutano le attività meditative - spiega Cicolani - e il riconnetterci con il nostro lato spirituale". Tutti i toni del viola "dal viola scuro al porpora per la meditazione trascendentale, mentre l'oro se ci interessa una meditazione meno introspettiva e più proiettata verso l'esterno".
Focus.it

lunedì 19 ottobre 2015

10 pensieri che le persone ansiose fanno durante il giorno

Una delle cose fastidiose dell'ansia è avere a che fare con pensieri che s'infuocano e si trasformano in costanti preoccupazioni. A volte sono giustificabili ("avrò lasciato il forno acceso?"), ma spesso sono totalmente infondati ("Il mio capo mi odia?"). Il cervello, però, non conosce la differenza.
Abbiamo chiesto ai redattori di HuffPost e ai membri della nostra Facebook community che soffrono d'ansia di condividere in forma anonima alcuni dei pensieri che li opprimono e gli frullano per la testa durante il giorno. Scopri qui sotto solo alcune delle cose che spingono gli ansiosi a essere paranoici, ti potrebbe aiutare a pensarci su due volte prima di giudicare una persona che non può proprio far a meno di preoccuparsi.


1. Dire qualcosa che potrebbe offendere qualcuno
"Forse l'ho detto nel modo sbagliato. Provare così tanto a non offendere quella persona lo ha fatto risultare forse ancora più offensivo?


2. Rimanere bloccati sui mezzi pubblici
Quando un treno della metropolitana si blocca o si ferma e non ne conosco il motivo vado fuori di testa e penso di prendere un taxi, anche se so che mi costerà troppo e prenderò tempo lo stesso. Vorrei sempre avere il controllo di tutto quello che mi circonda".


3. Arrivare in ritardo
"A che ora devo lasciare il lavoro per arrivare in orario? Ci sarà traffico? Troverò il parcheggio?"


4. Temere che qualcosa possa andare storto
"Vivo nella paura costante di cosa potrebbe accadere a me e mio marito. Ho paura di finire in mezzo alla strada e non ho amici o parenti ai quali potermi appoggiare".


5. Dimenticare di fare qualcosa di importante
"Ogni santo giorno quando esco di casa controllo di aver chiuso a chiave almeno 3 volte e mi assicuro che il frigo sia ben chiuso."


6. Non poter essere sicuro di quello che sta accadendo o di quello che accadrà
"Ogni giorno, ogni minuto ho l'ansia di cosa stia accadendo. Qualcosa che è accaduto di recente o qualcosa che potrebbe accadere nei prossimi istanti".


7. Chiedersi se il tuo ragazzo è arrabbiato con te
"Perchè ci mette così tanto tempo a rispondere al mio messaggio? Sarà forse arrabbiato con me? Forse lo sto annoiando".


8. Fare un errore a lavoro e pensare che i colleghi ti giudichino
"Ho fatto un errore nell'ultima mail di gruppo. Ho subito rettificato. Adesso penseranno che sono incompetente".


9. Sembrare stupido in un contesto sociale
"Staranno ridendo di me? Spero di non aver sbagliato. Spero di non aver detto qualcosa di sbagliato. Forse non era divertente? Forse non dovevo ridere? Posso andare via adesso?".


10. Essere ansioso di essere ansioso
"Molte delle mie ansie derivano dal fatto che sono ansioso. Perchè sono ansioso? Non ho ragione di essere ansioso. Sono felice e ho una bella vita. Perchè non posso liberarmi dall'ansia? Tutti dicono che mi l'ansia mi stressa inutilmente e ne sono consapevole. Ma forse metto ansia alla gente?".


Tutto questo ti suona familiare? Ecco cosa puoi fare:
Realizza che è il tuo cervello a fare questo. Secondo lo psicologo Rick Hanson autore di "Hardwiring Happiness: The New Brain Science of Contentment" il nostro cervello possiede una propensione negativao una tendenza a far emergere il peggior risultato possibile. Questo è particolarmente frequente per chi soffre d'ansia. Se il tuo cervello sta entrando in una spirale di cattivi pensieri non piangerti addosso e non colpevolizzarti.
Accetta i tuoi pensieri. Non spazzare via i tuoi pensieri dalla tua mente, piuttosto affrontali a testa alta. "La più grande preoccupazione quando inizia a salire l'ansia è quella di creare un circolo virtuoso" dice lo psichiatra Mickey Trockel, assistente di clinica e professore di psichiatria e scienze comportamentali della Stanford University, ad HuffPost. "Quando qualcosa sta provocando in noi quelle emozioni, cerchiamo di evitare l'ansia è proprio lo star bene che rinforza la nostra ansia".
Fatti delle domande. Guarda i tuoi pensieri dalla giusta prospettiva ponendoti delle domande che ti aiutano a riformulare la tua paura. Questo metodo ti consente di distaccarti da te stesso e di parlare. "Valutare i pro e i contro di quel pensiero", spiega Peter Norton, un professore di psicologia dell'università di Houston. "Valutare per bene vi aiuterà ad avere una visione più razionale della situazione".
Impegnati in attività rilassanti. Non importa se si tratta di una piccola meditazione o una passeggiata, entrambe hanno dei benefici sulla salute mentale. Fai qualcosa che ti faccia stare sereno e distragga la tua mente dai cattivi pensieri.Questo post/articolo è comparso per la prima volta su HuffPost Us ed è stato poi tradotto dall'inglese da Valentina Trifiletti

L' Huffington Post.it 

mercoledì 14 ottobre 2015

L’era della nomofobia: senza smartphone scatta il panico

L’era della nomofobia: senza smartphone scatta il panico

Siamo drogati di polvere di bit. Nell'era della nomofobia, senza smartphone scatta il panico.

 Nell’era più tecnologica di sempre – quella postmoderna – le conseguenze legate all’iperconnessione degli individui sono sempre più gravi e lapalissiani, a causa di una società caratterizzata da sistemi di comunicazione interdigitali senza precedenti. Dunque, non stupirà che in uno studio del 2008 condotto su un campione di 2.163 persone e commissionato dal britannico Post Office Ltd all’ente di ricerca YouGov, sia stato coniato il termine inglese nomophobia. Il neologismo, sorto dall’abbreviazione “no-mobile-phone”, designa il terrore di rimanere sconnessi dalla rete
mobile. La ricerca ha rilevato che, in Gran Bretagna, il 53% dei possessori di smartphone manifesta stati d’ansia quando non può usarlo (ad es. a causa della batteria scarica o del credito in rosso oppure in assenza della copertura di rete). Nello specifico, il 58% degli uomini e il 48% delle donne soffrono di questa nuova forma di psicopatologia. Gli effetti generati da tale fobia sono molto gravi, simili ad attacchi di panico: angoscia, respiro difficoltoso, vertigini, nausea, sudorazione, tremori, tachicardia e così via.

  

Nello specifico, i nomofobici cercano di evitare l’ansia ricorrendo ad una serie di comportamenti preventivi (ad es. portando sempre con sé un caricabatterie e tenendo perennemente il credito telefonico in attivo). Così, emerge che 6 ragazzi su 10 tra i 18 e i 29 anni non vanno a letto senza la compagnia confortante dello smartphone, una coperta di Linus gravemente dannosa per il riposo. Dal canto suo, la ricercatrice Francisca Lopez Torrecillas – professoressa presso l’Università di Granada – ha svolto uno studio su giovani tra i 18 e i 25 anni ed ha riscontrato che si tratta della fascia d’età più dipendente dallo smartphone. Per la dottoressa, le cause più evidenti sarebbero bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali. Secondo David Greenfield, professore di psichiatria all’Univeristà del Connecticut, la dipendenza da smartphone può influire sulla produzione della dopamina (il neurotrasmettirore del piacere e della ricompensa). Di conseguenza, ad esempio, all’apparire di una notifica di WhatsApp o Facebook il livello di dopamina tende a salire, nella speranza che si stia per vivere qualcosa di eccitante.

Per quanto concerne le ricerche italiane, due studiosi dell’Università di Genova – Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente – hanno proposto che la nomofobia venga inserita nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM), punto di riferimento mondiale per psicologi e psichiatri. Bragazzi e Del Puente definiscono questa fobia come “guscio protettivo o scudo” e “come mezzo per evitare la comunicazione sociale”. Secondo i ricercatori, inoltre, “come in ogni forma di dipendenza, il primo sintomo è anche in questo caso la negazione” e ciò rende più difficile l’accettazione e la cura del disturbo.
Ma la nomofobia non è l’unico concetto prezioso per analizzare le problematiche collegate alla società iperconnessa contemporanea. Negli ultimi anni, si fa un gran parlare anche di phubbing (termine nato dalla crasi di phone e snubbing, ossia snobbare, ignorare)l’atteggiamento sgarbato che induce a controllare continuamente lo smartphone alla ricerca di novità, isolandosi e trascurando la propria compagnia in carne ed ossa. Come si intuisce, si tratta di un neologismo profondamente connesso a quello di nomofobia e rappresenta uno degli effetti più dilaganti nella nostra vita quotidiana. Per combattere questo fenomeno è nato addirittura il sito www.stopphubbing.com, al fine di boicottare una tendenza emblematicamente riscontrabile nei ristoranti ed ai bar nelle uscite fra amici. 

Inside Marketing.it 

venerdì 9 ottobre 2015

Paralisi del sonno: svegli ma paralizzati, a volte con le allucinazioni.

Essere svegli, eppure non riuscire a muoversi, come se si fosse paralizzati. E vedere i "fantasmi", ovvero assistere in piena coscienza alla proiezione allucinata della propria immagine corporea: la paralisi del sonno, o ipnagogica, è un disturbo legato a un prolungamento eccessivo, o a un inizio anticipato, della fase REM, quella normalmente popolata dai sogni. Che però possono trasformarsi in incubi se ci si sveglia quando tale fase non è ancora terminata: può sembrare infatti che le immagini prodotte dalla mente prendano quasi una forma reale, tant'è che in molte culture tali allucinazioni sono da sempre state attribuite a forze soprannaturali.
Sono tre i tipi fondamentali di allucinazioni durante la paralisi del sonno: la presenza di un intruso, una pressione sul petto a volte accompagnata da esperienze di aggressioni fisiche e/o sessuale, ed esperienze di levitazione e di uscita dal proprio corpo.
Secondo un recente studio britannico pubblicato sul "Journal Of Sleep Research" su 862 intervistati, quasi il 30% dei pazienti ha dichiarato di aver sperimentato almeno un episodio di paralisi del sonno nel corso della vita, solo l'8% ha invece riferito di episodi più frequenti.
Eppure, in alcuni casi, la paralisi del sonno può essere sintomo di un disturbo più grave, la narcolessia, in cui la capacità del cervello di regolare il normale ciclo sonno-veglia subisce delle alterazioni. Generalmente la paralisi ipnagogica è correlata a situazioni cliniche come disturbo da stress post-traumatico e risulta più frequente tra i pazienti che soffrono di crisi di panico. Ciò non esclude, tuttavia, che possa manifestarsi anche in assenza di particolari disturbi. Eventi stressanti, ansia e scarsa qualità del sonno sono tutti fattori che possono incidere negativamente. A conferma di ciò il fatto che chi, come i turnisti, non ha la possibilità di godere di un riposo regolare, manifesta un rischio più alto di paralisi del sonno. Non bisogna trascurare poi il ruolo giocato dal Dna nella vulnerabilità alla paralisi notturna: alcuni studi condotti su gemelli hanno dimostrato che esiste la variante di un gene coinvolto nella regolazione del ciclo sonno veglia che può essere associato alla paralisi del sonno.
Gli studi in laboratorio
La fase REM nel ciclo del sonno è un periodo di intensa attività cerebrale, normalmente associata ai sogni: in questo periodo i muscoli sono immobili (a parte gli occhi e le vie respiratorie). Si presume che questo meccanismo di paralisi si attivi per non permetterci di agire durante i nostri sogni e di farci involontariamente del male. Tuttavia, di tanto in tanto, questo meccanismo di sicurezza non funziona, in questi casi sperimentiamo la paralisi del sonno.
Un team di ricercatori giapponesi è riuscito a indurre episodi di paralisi del sonno privando sistematicamente i partecipanti della fase REM. Hanno scoperto così che, se tale sottrazione viene ripetuta più volte, gli individui tendono a passare dalla veglia direttamente a una fase detta SOREM, bypassando le altre fasi del sonno. In seguito a questa fase Sorem, i partecipanti hanno più probabilità di avere un episodio di paralisi del sonno.
In sintesi, gli studi recenti confermano che la paralisi del sonno è strettamente legata alla fase REM ma ad oggi non ci sono ancora terapie mediche specifiche, anche se in casi gravi possono essere prescritti degli antidepressivi. La ricerca ha comunque messo in luce che mantenere un ciclo di sonno regolare può ridurre la frequenza di tali episodi, insieme a una serie di strategie di prevenzione come cambiare spesso posizione mentre si dorme, fare attenzione alla dieta e fare esercizio fisico. 
 





mercoledì 7 ottobre 2015

Il terribile calvario di Stefano Dionisi: "La depressione, il ricovero, gli anni di buio"


Il terribile calvario di Stefano Dionisi:
La depressione, gli attacchi di panico, il crollo, la rinascita. La consapevolezza che dal male oscuro non guarirai, ma puoi sopravvivere, e forse anche vivere. La storia di Stefano Dionisi, attore di Farinelli, Sostiene Pereira, Bambola, è da brividi.
Si trovava in Spagna, durante le riprese di un film: lo coglie un attacco di panico, non sa cosa fare, scappa da tutti. Lo ritrovano in un paesino disabitato dell’Estremadura e, dopo le prime cure, lo rimandano in Italia. Viene ricoverato in un ospedale psichiatrico a Pisa: inizia una lenta guarigione, poi le devastanti ricadute, cambia terapia, si trasferisce a Roma, va in analisi, ricorre a psicofarmaci. Insomma le prova tutte. Dionisi racconta la sua storia nel libro La barca dei folli (Mondadori).
L'analisi gli fa capire che la nuvola nera in cui è entrato ha origini lontane: l'abbandono del padre quando era piccolo. La madre gli sta vicino, Dionisi conosce tanti compagni di malattia, e li descrive nel libro. "Ho sperimentato così l’importanza della famiglia", dice l'attore, David di Donatello per Farinelli, "perché se gli manca il sostegno di un padre e di una madre, delle persone care, un malato psichico non ce la fa a rialzarsi, si emargina sempre di più, viene impasticcato e lasciato solo, non guarisce, diventando anche un costo per la società". Denuncia Dionisi: "Lo Stato dovrebbe aiutare le famiglie che hanno un congiunto con malattie mentali, perché i farmaci di ultima generazione sono troppo cari, perché la solitudine aumenta la disperazione, peggiora il quadro clinico, e può allontanare i familiari da chi ha già gravi problemi affettivi, che sono quasi sempre l’origine dei disturbi mentali". E la fede, conta? "Di solito ci si appiglia a Dio quando le terapie sembrano non funzionare più e si ha bisogno di alimentare la speranza, io ho chiesto di confessarmi al cappellano dell’ospedale, volevo un rapporto che mi avvicinasse al Mistero...".
Dionisi parla anche alla Stampa del suo difficile percorso verso la salute mentale: "Non si guarisce mai ma sto bene. Vivo una bella storia d' amore, ho recuperato il rapporto con mio figlio. Scrivo un nuovo libro e sono in tv (nella fiction di Canale 5 L'onore e il Rispetto e in quella di Raiuno Un medico in famiglia, Ndr)".

 Liberoquotidiano.it

mercoledì 23 settembre 2015

Un infarto o un attacco di panico? Attacchi di panico o ansia?

“GUARDA LA PAURA IN FACCIA E QUESTA CESSERÀ DI TURBARTI” - SRI YUKTESWAR

È capitato a tutti, nella vita, di provare ansia: prima di un esame, quando si affrontano momenti importanti, come andare all’altare, al primo giorno di lavoro o di scuola o durante un’importante riunione.
L'ansia si caratterizza per alcuni sintomi comuni: sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, respiro corto, tremolio della voce e/o delle mani e delle gambe, giramenti di testa. Questi sintomi sono un chiaro segnale del nostro corpo per dirci che c’è un allarme, e che dobbiamo proteggerci. Sono sintomi che derivano dall’evoluzione e servono per la continuazione della specie: se un animale non si attivasse quando sente la paura non scapperebbe. Allo stesso modo accade quando un essere umano prova ansia per qualcosa che sta per accadere: il suo corpo si attiva come per “scappare”, ma questa attivazione può essere a volte causa di un’ulteriore paura, la paura di avere qualche malattia, o di stare per morire.
Molto spesso si sente parlare di attacchi di ansia e attacchi di panico come sinonimi ma in realtà si tratta di due fenomeni diversi, sia nella sintomatologia, sia nelle cause scatenanti.
L'attacco di panico si caratterizza per la sua intensità e brevità: infatti esso ha un inizio improvviso e non dura più di una ventina di minuti. I principali sintomi sono palpitazioni, dolori toracici, sudorazione, sensazione di perdita di controllo, sensazione di asfissia, paura di morire... Succede spesso che chi ha un attacco di panico vada al pronto soccorso con la convinzione di avere un infarto, un ictus o qualche patologia che possa mettere in pericolo la sua sopravvivenza.
Si tratta di pochi minuti, che però a volte possono cambiare drasticamente la vita di chi viene colpito anche solo da un unico attacco. Infatti una conseguenza peculiare dell’attacco di panico è la paura della paura: succede spesso che dopo il primo episodio la persona inizi a mettere in atto meccanismi di evitamento di determinati luoghi, persone e situazioni per la paura che un altro attacco si presenti, arrivando a soffrire di una vera e propria agorafobia (cioè la paura di trovarsi in spazi aperti e affollati e non riuscire a scappare o chiedere aiuto in caso di malore). Può capitare che per anni o addirittura per sempre non si verifichino altri attacchi, ma questo non è sufficiente a far sì che la persona si convinca ad uscire di casa. Anzi, proprio questa assenza di ulteriori episodi può fungere da conferma alla propria teoria secondo cui se si evita un determinato posto o si sta chiusi in casa non succederà più, e quindi alimentare ulteriormente la condotta di evitamento. Questo comportamento può diventare molto invalidante per la persona che lo mette in atto e per le persone ad essa vicine.
A differenza di un attacco d’ansia, che è generalmente associato a particolari eventi ansiogeni per l’individuo, l’attacco di panico solitamente è improvviso e chi ne è colpito non riesce quasi mai a definirlo come tale, magari proprio perché avviene in un momento di relativa tranquillità. Ma se si va più a fondo, si scopre che anche solo un piccolo particolare di una situazione può averlo scatenato. Riuscire a scoprire a cosa sono dovuti questi attacchi è spesso la chiave di volta per prevenirli e far sì che non ricapitino.
Se gli attacchi di panico perdurano nel tempo allora di parla di Disturbo di Panico. Sia che si sia trattato di un episodio singolo, sia che siamo di fronte ad un vero proprio disturbo, è importante chiedere aiuto agli specialisti per capire cosa è successo e darne un senso. Dagli attacchi si guarisce grazie al lavoro combinato di psichiatri, per la cura farmacologica quando necessaria, e di psicologi.
Esistono differenti tipi di terapie per trattare gli attacchi di panico: tra queste, quelle cognitivo-comportamentali sono state valutate come particolarmente efficaci. In questi casi l’intervento è su molteplici fronti: un intervento psicoeducativo, volto a fornire alla persona informazioni e chiarimenti rispetto alla patologia; tecniche comportamentali di esposizione agli stimoli temuti; e tecniche cognitive che lavorano sulle convinzioni, sugli atteggiamenti e sulle aspettative. L’obiettivo principale di questa terapia, che unisce l’intervento sul comportamento con quello sulle cognizioni, è quello di modificare progressivamente la “lettura” di tali sensazioni per darne un nuovo senso e significato e saperle affrontare quando si presentano.

Cuneocronaca.it
 Dott.sse Giulia Mattalia e Debora Bessone
Facebook: “Lunettes studio di psicologia – Giulia Mattalia e Debora Bessone”
E-mail: lunettes.studiodipsicologia@gmail.com

lunedì 7 settembre 2015

Attacchi di panico e intelligenza: ecco perché chi ne soffre è più acuto della media

Da alcune ricerche è stato dimostrato che esiste una stretta relazione tra ansia e intelligenza, le persone ansiose, infatti, sono più acute della media. Una notizia che potrebbe essere di conforto a coloro che convivono ogni giorno con questo stato, anche se forse l’unico loro desiderio è trovare il modo che l’ansia scompaia per sempre.

Dallo studio dello psichiatra Jeremy Coplan è emerso come chi soffre di forti stati ansia abbia un quoziente di intelligenza più elevato, rispetto agli individui che non ne soffrono. Inoltre, è stato messo in evidenza, come coloro che vivono perennemente in questo stato riescano a fare un’analisi più approfondita di un problema, un’azione che li porta a non correre rischi e ad avere un tasso di sopravvivenza più alto.
La persona ansiosa, infatti, prima di agire si trova a vagliare ogni possibile aspetto della situazione, sia considerando gli eventi passati sia facendo previsioni sui possibili scenari futuri che potrebbero presentarsi, questo ha come conseguenza l’organizzazione di ogni cosa nei minimi particolari e un maggior impegno nel portarle a termine. Chi soffre d’ansia e di attacchi di panico, secondo quanto emerso, mette in atto una strategia che assicura l’evoluzione della specie perché ogni situazione viene sviscerata, per fare in modo che si abbia tutto sotto controllo e non si presenti nessun tipo di pericolo.

Urbanpost.it 

Cristin Stella 

venerdì 28 agosto 2015

Linus e la strategia di evitamento

La strategia di evitamento è un tema caro alla psicologia, in particolare agli esperti del settore che si occupano di ansia sociale, disturbi evitanti di personalità, fobie specifiche, attacchi di panico e ansia generalizzata.
Aldilà degli inquadramenti diagnostici, l’evitamento è una strategia che a tutti è capitato di mettere in atto, anche quando non è un tratto distintivo della personalità. L’evitamento non ha solo una connotazione negativa, infatti permette di allontanarci da una situazione di pericolo o di minaccia reale.
Perde il suo valore adattivo quando si trasforma in una soluzione coercitiva, che limita le possibilità di esplorazione.

Cos’è che cerchiamo di evitare?
Quando temiamo le conseguenze di una decisione, o se non ci sentiamo sufficientemente competenti, o abbiamo il timore di sbagliare, ecco che la soluzione migliore diventa una non-soluzione. Ad esempio, ci chiediamo: “Che cosa succederebbe se non superassi l’esame all’università? O se non riuscissi a portare a termine quel compito come vuole il mio capo-ufficio? O se uscissi con quella persona e non sapessi cosa dire?” Più lo scenario che ci immaginiamo sarà catastrofico, più tenderemo a evitare le tragiche conseguenze che si disegnano nella nostra mente. Il motto di Linus è infatti un vero e proprio mantra per chi utilizza questa strategia come paradossale soluzione: non esiste problema che non possa essere evitato.
 Gli effetti collaterali sono però dietro l’angolo.  

Più evitiamo le situazioni, meno ci sentiremo efficaci, e questo andrà a rinforzare l’idea che non siamo in grado di metterci in gioco. Inoltre, nel momento in cui decidiamo di evitare, l’ansia derivante dal rimuginio tenderà a diminuire, regalandoci un immediato senso di sollievo e facendoci credere che la strategia protettiva è stata efficace, perché ci allontana momentaneamente dallo stato emotivo negativo.
Questa vignetta può essere molto utile per aumentare la consapevolezza su questi meccanismi, che spesso diventano automatici, e per aprire il dialogo verso la ricerca di soluzioni alternative più funzionali.

State of Mind 

mercoledì 26 agosto 2015

Stanchezza e panico: il 45% dei lavoratori digitali soffre di tecnostress

I sintomi vanno dalla mal di testa alle difficoltà di concentrazione, dagli sbalzi d’umore tendenti al nero alla stanchezza e possono sfociare in ansia, attacchi di panico e anche gastrite. Ne soffre, secondo una ricerca di Netdipendenza Onlus a cui ha collaborato l’Associazione italiana formatori salute e sicurezza sul lavoro (Aifos) e che è stata anticipata dall’Adnkronos Salute, il 45% degli italiani che usano per lavoro dispositivi elettronici. Il fenomeno va sotto il nome di tecnostress, riconosciuto dal 2007 come malattia professionale dalla magistratura di Torino.
La dittatura di notebook, spartphone e tablet
Lo studio ha riguardano 1.005 lavoratori mobili che, ogni giorno, hanno a che fare con computer portatili, ma soprattutto con smartphone e tablet. Di questi, il 18,4% li utilizza per 8 ore al giorno, il 9,8 per 10 ore e il 6% arriva anche a 12-16 ore. Il 64,1% trascorre 30 ore al mese (week end compresi) conversando tramite lo smartphone, e tra questi c’è chi tocca picchi di “6 ore al giorno, con pause di 30 minuti”. Meno diffuso, per il momento, invece l’uso dei tablet, considerando che il 36,9% degli intervistati ha dichiarato di utilizzarlo per un’ora al giorno mentre i picchi non superano le 4 ore.
Il 90% dei lavoratori non stacca nei week end
Gli effetti? Intanto non riuscire mai a staccare davvero con il lavoro, dato che i dispositivi mobili seguono i loro utenti anche a letto, la sera, nel 66,5% dei casi mentre si sale al 90% se si considera chi vede invasi anche i propri sabati e domeniche. Che non sia una pratica di vita salutare dal punto di vista dell’inquinamento elettromagnetico lo sa il 65,5% dei lavoratori digitali e l’87% delle persone denuncia stanchezza mentale a causa della non stop professionale.
La diffusione dei sintomi della malattia
C’è però chi sta peggio. Nell’indagine – che sarà presentata domani, 15 maggio, presso la sede dell’Inps di Anagni (Frosinone), nell’ambito del convegno “TecnoStress lavoro correlato, la nuova frontiera della malattia professionale” – il 44,5% dichiara di essere bersagliato dal mal di testa, il 35,4% dal calo della concentrazione, il 33,8 da nervosismo e alterazioni dell’umore e il 28,5 da tensioni neuromuscolari. Tra i disturbi seguono stanchezza cronica (23,3%), insonnia (22,9%), ansia (20,4%), disturbi gastro-intestinali (15,8%) e dermatite da stress (6,9%). Non mancano infine problemi come alterazioni comportamentali (7,1%), attacchi di panico (2,6%) e depressione (2,1%).
“Valutare impatto di sovraccarico informativo ed elettrosmog”
A commento di questi dati, dice Enzo Di Frenna, presidente di Netdipendenza Onlus: “Molti sintomi dell’elettrosmog sono simili a quelli del tecnostress, come ad esempio il mal di testa, il calo della concentrazione, l’insonnia. Bisogna approfondire l’impatto di questi due rischi e valutare correttamente il sovraccarico informativo cognitivo e i livelli di emissioni di campi elettromagnetici. È questa la nuova sfida da affrontare per difendere la salute dei lavoratori digitali”.

Consumatrici.it 

giovedì 20 agosto 2015

Storie di panico: Francesca e i suoi sogni-Farmaci e Psicoterapia



Ho deciso di iniziare la cura con i temutissimi farmaci che fino ad oggi ho evitato con tutta me stessa. Come mi sento? Strana sicuramente. Stamattina presto, al solo pensiero di ingerire quelle sconosciute gocce mi era presa una paura assurda. Il solito dolore lancinante allo stomaco che non passa mai. L’ansia mi bussava da dentro facendomi male, bloccandomi. Ma forse è stato un bene. Con i suoi modi bruschi e prepotenti voleva parlarmi, aggredirmi. Mi ha urlato qualcosa di incomprensibile, ma io ho finalmente trovato il coraggio di dirle “BASTA!!! Mi stai devastando da mesi e mesi. Di giorno, di notte, da sola, in compagnia, mentre mangio, leggo, cammino, persino quando sogno. Forse mi risparmia nei pochi momenti piacevoli della cucina e della scrittura. Io invece voglio spasmodicamente tornare a vivere. Non lo so se sarò mai come prima.
Quando a ciel sereno ti sovrasta all’improvviso un tornado di quelli estivi di origine tropicale che proprio non avevi calcolato, hai due possibilità. Restare ferma ad aspettare che passi presto con tutta la sua violenza cattiva e distruttrice, sperando che non ti uccida e cercando magari pur nella tempesta un punto di rifugio, oppure muoverti per schivarlo, magari sconfiggendolo in rapidità prima che ti invischi e ti avviluppi a sé. Ecco a un certo punto ho cercato di fare questo per liberarmi dalla "bestia nera" che si chiama ANSIA di nome e PANICO di cognome. Ho fatto psicoterapia per quasi un anno portandomi dietro i miei schemi settimanali scritti su foglietti strappati dove disegnavo qua e là sorrisi, perché piccoli momenti di tregua al dolore sono riuscita comunque a ritagliarmeli con caparbietà. Sono stata accolta e ascoltata da una persona meravigliosa che mi ha aperto le braccia, ma soprattutto il cuore e le orecchie come se fossi una bimbetta che ha smarrito di notte le chiavi della propria casa. Ho ripercorso la mia vita, o almeno ho iniziato a farlo, soffermandomi sui momenti di dolore più acuti che tutti gli esseri dotati di un’anima hanno avuto o avranno. Non si possono cancellare, questo è indubbio. Sono troppo parte di me ma si può andare avanti per noi stessi e per chi ci ama anche così fragili e impauriti. Il segreto per quanto mi riguarda è uscire dal vittimismo e riprovare a respirare. I farmaci li accetto perché voglio e desidero stare calma, godermi in santa pace un tramonto, un bagno al mare, una cena con il mio ragazzo, un caffè con le amiche di una vita, giocare come una matta con la mia nipotina, vedermi un film d’amore in attesa trepidante del finale, che spero sia lieto, e di piangere, poi, come sempre immedesimandomi nelle storie più fantasiose che siano mai state scritte o solo immaginate.

Francesca

sabato 1 agosto 2015

Caldo, la psicologa: "Potente fattore di stress, aumenta l'aggressività"



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A livello di semplice buon senso "molti sono convinti che il caldo influisca negativamente sul nostro equilibrio psico-fisico. Effettivamente oltre al fattore termico in sé, che agisce direttamente sul nostro sistema nervoso, occorre considerare anche il ruolo di 'stressor' aspecifico che assume il caldo eccessivo, e l’influenza della stagione estiva sulla ciclicità di alcune gravi patologie psichiche, come la depressione, la ciclitimia, la bipolarità. Agendo come un potente fattore di stress, il caldo è dunque responsabile di comportamenti aggressivi e impulsivi tipici di ogni circostanza stressante, che allenta le nostre capacità di controllo rispetto agli stimoli ambientali negativi". A far luce sul legame tra canicola e aggressività è Paola Vinciguerra, psicoterapeuta presidente Eurodap, Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico.

Il nostro sistema nervoso "è sensibile all'aumento di temperatura, al tasso di umidità e alle ore di esposizione alla luce. Questi tre fattori agiscono come un detonatore negli individui con un equilibrio fragile dal punto di vista psicologico-relazionale. Come tutti i fattori di stress, quindi, l'insofferenza al caldo estivo può manifestarsi anche con comportamenti ostili e aumento dell'aggressività. Le alte temperatura e l'umidità agiscono sui sistemi neuroendocrini. Da una parte, il caldo stimola l'attività del glutammato, neurotrasmettitore che esercita una potente azione eccitante sui circuiti cerebrali, dall'altra viene ridotta quella del Gaba il mediatore chimico che ci rende tranquilli e rilassati".
Inoltre lo stress termico "incide sull’equilibrio critico e comportamentale anche indirettamente, attraverso la perdita di sonno ed il sovvertimento dei nostri ritmi biologici. Dormire male - prosegue l'esperta - non significa soltanto dormire poco ma anche subire un’alterazione della qualità del sonno che, per essere davvero ristoratore, ha bisogno di conservare la concatenazione delle sue fasi naturali, la cosiddetta architettura del sonno. Nella situazione di elevate temperature che stiamo vivendo si registra un grande aumento di persone sofferenti di attacchi di panico. La sensazione di spossatezza, affaticamento nel compiere anche azioni banali, talvolta giramenti di testa, difficoltà di attenzione scatena, in persone che già vivono nel l'ansia di un accadimento negativo, la convinzione che nel loro corpo stia avvenendo qualcosa di grave, di minaccioso. Da lì allo scatenamento di un attacco di panico il passo è breve".
Ecco dunque qualche consiglio mirato:
1) quando la sensazione di stanchezza e spossatezza aumenta, prendetevi del tempo mentale in cui visualizzare qualcosa di fresco e piacevole: ad esempio un prato con una cascata, oppure una brezza; respirate lentamente con il diaframma, entrate nella vostra visualizzazione, per rilassare le tensioni e abbassare il livello di adrenalina.
2) prestate attenzione alla vostra sensazione soggettiva di fatica e adeguate gli sforzi in base ad essa. Non costringetevi al di là di quello che il vostro fisico può affrontare.
3) non affrontate situazioni conflittuali in questo periodo, valutate attentamente le conseguenze rispetto a espressioni aggressive proprie e altrui.
4) evitate, quando possibile, di esporvi ad ulteriori agenti stressanti.
5) pianificate la giornata tenendo in considerazione la situazione reale e non seguendo unicamente ciò che si deve fare o ciò che desiderate fare.
6) bevete frequentemente per evitare il rischio di disidratazione, in quanto "può avere conseguenze anche sull'umore e sul comportamento".

Adnkronos 

venerdì 26 giugno 2015

31 Segreti che solo chi soffre di ansia può conoscere.

L'ansia è una vera e propria patologia che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Un male silenzioso che colpisce uomini e donne in parti uguali, ma che allo stesso tempo non è mai stato indagato a sufficienza. Per questo motivo, il sito web americano The Mighty ha chiesto ai suoi lettori, cosa significa vivere con questo male, e soprattutto quali sono gli aspetti meno conosciuti di questa vera e propria condizione dell'anima.



1- "Mi rendo conto che le cose che preoccupano sono ridicole, ma riesco a smettere di farlo" - Erika Strojny Myers
2- "Potrebbe anche sembrare che non sto facendo niente, ma nella mia testa sono molto impegnata" - Diane Kim
3- "Non sempre riesco a capire perché sono ansioso - Teri-Marie Harrison
4- "E' paralizzante" - Marlene Pickering
5 - Non sono solo nervoso, la metà delle volte che sto avendo un attacco di panico non lo sono nemmeno. Sono ansioso, qualche volta per ragioni che non riesco a identificare, mi rendo conto che molte di queste sono irrazionali, ma non riesco a uscirne, la mia mente e il mio corpo non collaborano con la ragione - Alex Wickham
6 - "Non sto facendo la ridicola o l'esagerata" - Melissa Kapuszcak
7 - "Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi come se fossimo matti, abbiamo bisogno di compassione". - Kristen Cunningham
8- "Non mi voglio sentire in questo modo". - Jenny Genoway
9 - Dopo una giornata frenetica, soprattutto dopo essere stata in mezzo a una folla di gente, o dopo aver parlato con più persone, il giorno dopo ho il "people hangover. Ho bisogno di stare da solo, per rigenerarmi, devo riposare e rilassare la mente, se non lo faccio, mi sentirò sfinita e nervosa" - Lisa Shuey.
10 - "E' possibile essere ansiosi, e allo stesso tempo essere estroverso" - May Daonna
11- "Non puoi smettere di preoccuparti, non esiste un pulsante per spegnere o accendere l'ansia" - Kim Derrick-Bené
12- " Anche se all'esterno, sembra tutto ok, l'ansia sta devastando le nostre viscere - Cynthia Adams McGrath
13- "Sono attaccata da qualcosa da cui non riesco a scappare" - Sherri Paricio Bornhoft
14- "Non importa quanto possa sembrare irrazionale, per me non lo è" - Lorri Smith
15 - "Dirci starai meglio, non aiuta" - Thea Baker
16 - "Non è una scelta, non scegli di avere l'ansia, e lei a sceglierti" - Patricia Lynn
17 - "E' qualcosa che ti stanca e ti distrae, per questo motivo potrei essere smemorato o poco produttivo, ma non è da me essere sconsiderato, pigro o cercare scuse - Anna Powers
18 - "E' reale, non sto esagerando" - Kimberly Warren
19- L'ansia è una malattia, non puoi superare con semplicità una malattia mentale" - Heather Morello
20 - "Ansia e preoccupazione, non sono la stessa cosa". - Amy Hrynyk
21 - "Pregare non la fa scomparire" - Kayla Gosse
22 - "Solo perché non riesco a spiegare i miei sentimenti che causano la mia ansia, non la rende meno importante" - Lauren Elizabeth
23 - "Non sono pazza" - Peggy Hess 24- "Tutta la logica del mondo, non riuscirà ad evitare che il mo cuore sia martoriato nel profondo" - Rebecca V Cowcill
25 - "Anche i compiti più semplici, possono essere schiaccianti a volte" - Rhonda Bodfield
26 - "E' incontrollabile" - Asia Pope
27 - "Solamente perché non lo capisci, non vuol dire che le mie paure non siano reali" - Vicki Happ
28 - "Ti fa sentire come se il peso del mondo fosse tutto sulla tua testa, ti senti soffocato" - Danielle Nicole Box
29 - "Non lo faccio perché cerco attenzione" - Georgia Tsaganis Johnson
30 - "Le cose più insignificanti possono farmi star male, più mi sento in trappola, più mi sento peggio, il mio spazio personale, mi farà stare sempre meglio". - Manda Ree
31 - "La mente è il mio nemico, così ho bisogno di averti dalla mia parte, A volte ho anche bisogno di te, per combattere accanto a me." - Erin Farmer-Perrine
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