sabato 14 luglio 2018

VERSO LA SALUTE E IL BENESSERE


Esperienze di vita come dolore, malessere fisico ed esperienze di profonda tristezza ci limitano nel condurre la vita che desideriamo. Vi sono, infatti, scenari che si ripetono dandoci la sensazione che nulla possa cambiare e realizzare i nostri desideri. A volte abbiamo la senzazione di subire semplicemente la vita senza dare a noi stessi la possibilità di scegliere quello che desideriamo essere.

La distanza fra come vorremmo fosse la nostra vita e come realmente è si esprime spesso sotto forma di problemi psicologici, dolore fisico, frequente stress o ansia, ricorrenti stati d'animo negativi e indesiderati. Forse, sentiamo il desiderio di cambiare ma non sappiamo come farlo.
Il primo passo verso un reale cambiamento richiede la volontà di imparare come queste esperienze si manifestano nella nostra vita. Ognuno di noi ha la capacità di scegliere di andare oltre i limiti creati da questa condizione tramite anche un' aumento delle capacità per raggiungere i propri obiettivi.

Nel corso della nostra vita, a volte, abbiamo imparato a reagire alle diverse situazioni, in modo ripetitivo o condizionato. Manifestiamo queste risposte con tutto il nostro modo di essere, con le nostre relazioni, con il nostro comportamento, con il nostro modo di muoverci, respirare, pensare, agire e reagire emotivamente.

Vivendo secondo questa definizione tendiamo a mantenere la ripetione nella nostra vita. Limitando la nostra curosità e il bisogno di scegliere e di imparare impediamoalla nostra capacità di espressione di manifestarsi completamente.Con il passare del tempo il ripetersi di questi modi di fare e di essere possono portare al verificarsi di condizioni patologiche persistenti come cattive relazioni, ansia, panico, depressione.....

Anche se sappiamo quello che ci sta accadendo o di cosa soffriamo, spesso non riusciamo a modificare questi comportamenti ed atteggiamenti.
Non li consideriamo come il possibile risultato di un'abitudine o di un comportamento appreso, diciamo semplicemente "Io sono fatto così" ed impariamo a conviverci consentendo a questa situazione di limitarci ulteriormente. Abitudini, malesseri e stati d'animo si esprimono anche fisicamente nei nostri corpi. Nello stesso modo in cui li abbiamo imparati, possiamo disimpararli e riuscire a fermarli e per poterlo fare dobbiamo scoprire come si manifestano e che motivo hanno di esistere.

L'irrazionalità di "potercela fare da soli" è spesso alla base stessa di un modo di pensare insidioso. Se l'imperativo di essere autoterapeuti è la punta di un iceberg che rivela l'impossibilità a fidarsi, l'illusione della totale autosufficienza, il dovere forte di essere forti, allora è proprio l'avvicinarsi iniziale alla relazione terapeutica che può illuminare il cammino psicologico. Scegliere uno psicologo può essere semplice, proseguire e arrivare al profondo con impegno e costanza, con coraggio e distensione rappresenta il lavoro più duro che deve fare il paziente. Come dice Confucio, "Se al mattino un uomo ha sentore della strada giusta, la sera può morire senza rimpianto".


Dott. Lorenzo Flori

venerdì 13 luglio 2018

Attacchi di panico, quando l’ansia diventa una vera e propria patologia


Tra i tanti sentimenti che ognuno di noi prova ogni giorno, uno di quelli più destabilizzanti è senza dubbio l’ansia.

Può capitare a chiunque, in certi momenti della vita, di sentirsi particolarmente sotto pressione, in stress e, quindi, scattare per un nonnulla, avvertendo tensione emotiva e apprensione indeterminata.

Ma quando si arriva a una situazione di ansia diffusa e indeterminata, apparentemente senza cause specifiche, si arriva a provare anche un malessere somatico.

Ed in periodi particolarmente stressanti e pieni d’ansia, non di rado si verificano attacchi di panico.

Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi e destabilizzanti dal forte impatto fisico ed emotivo. Nella manifestazione classica hanno una durata di una ventina di minuti e sono caratterizzati da sintomi fisici tra cui tachicardia, dolore al petto, tremori, sudorazione, brividi, nausea e dolori addominali e da sintomi più cognitivi: sensazione di irrealtà, di distaccamento da sé, paura di impazzire, di morire o di perdere il controllo.

Possono presentarsi singolarmente oppure con maggior frequenza, arrecando notevole sofferenza e impattando negativamente sulla qualità della vita di chi ne soffre.

Dopo aver provato una volta la spiacevole esperienza di un attacco di panico, la persona colpita teme ovviamente che possa accadere di nuovo. Si innesca, dunque, un circolo vizioso che può trasformare il singolo attacco di panico in un vero e proprio disturbo di panico. Si apprende così ad avere “paura della paura”.

Psicologicamente si può avere la sensazione di essere lontani dalla realtà concreta della situazione e da se stessi, mentre al termine della crisi di angoscia ci si sente esausti e sfiniti. La situazione peggiore è quella in cui la persona sente l’angoscia salire ed è anche costretta in uno spazio-tempo confinato, quindi non può muoversi neanche fisicamente.

La predisposizione genetica, il clima familiare in cui si è cresciuti, il carattere, lo stress, le preoccupazioni, l’aver subito traumi o aggressioni, e le difficoltà personali, sociali e lavorative possono essere annoverate tra le possibili cause degli attacchi di panico, ma l’esperienza ci dice che queste forme di ansia acuta non sono in genere legate ad una specifica situazione, o ad una singola “causa”.

Una delle cause fisiologiche dell’attacco di panico è anche l’ipoglicemia ovvero un calo del livello di zuccheri del sangue che per una serie di reazioni biochimiche fa scattare come campanello d’allarme la sintomatologia dell’attacco. E’ importante quindi che il livello della glicemia nel sangue sia costante durante il giorno.

Generalmente, come abbiamo già detto, la maggior parte degli attacchi si risolve tuttavia nel giro di pochi minuti, correlata da esercizi di controllo della respirazione al fine di poter recuperare uno stato di calma.

In altri casi gli attacchi di panico richiedono un intervento terapeutico mirato, laddove gli episodi risultano fortemente invalidanti sia per la salute dei soggetti che per quella delle persone a loro vicine.

La forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace, nei più brevi tempi possibile, è quella “cognitivo-comportamentale”. Si tratta di una psicoterapia breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema e, insieme al terapeuta, si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico, nell’intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo.

Anche gli antidepressivi sono stati creati per curare la depressione, ma si sono rivelati efficaci anche nella terapia dei disturbi d’ansia. Questi farmaci iniziano a modificare i processi chimici cerebrali già dopo la primissima dose, ma per diventare pienamente efficaci devono modificare equilibri che richiedono un’assunzione regolare per almeno 4-6 settimane prima che i sintomi inizino ad attenuarsi.

Infine, che gli attacchi di panico siano dovuti a stati ansiosi, stress o dipendano direttamente da malattie organiche come l’ipertiroidismo o da altri fattori come abuso o astinenza di droghe o alcol, rivedere il proprio stile di vita e il rapporto con il proprio corpo non può che migliorare la situazione. L’attività fisica svolge un ruolo fondamentale, poiché permette all’organismo di scaricarsi e stare bene fisicamente, e conferisce autostima, sicurezza dei propri mezzi e serenità psicologica.

Dal Sito: veb.it

giovedì 12 luglio 2018

Attacchi di panico: quando la paura diventa una patologia



Gli attacchi di panico sono in grado di alterare la percezione della realtà dei soggetti colpiti, dimostrandosi spesso totalmente invalidanti, associati alla paura della morte, ad un senso di catastrofe imminente, sino a comportare crisi respiratorie senza un vero e proprio motivo alla base di tali reazioni.

Quando si giunge alla diagnosi di un attacco di panico ci si riferisce generalmente a vere crisi ansiose, esaltate alla massima delle potenze. Sotto un normale equilibrio psicofisico l’ansia rispecchia una parte fondamentale presente nella vita di tutti i soggetti, spesso associata anche a conseguenze positive fatta eccezione per gli attacchi di panico.

In condizioni normali l’ansia si dimostra in grado di prevenire le eventuali minacce esterne, consentendoci di reagire preventivamente a specifiche situazioni. Nel caso degli attacchi di panico invece il soggetto risulta totalmente in balia delle emozioni, raggiungendo picchi elevati d’ansia al punto da risultare ingestibili.

Ad un attacco di panico viene associato un corredo sintomatico fisico composto da un’accelerazione del battito cardiaco, difficoltà respiratorie, tremori diffusi, parestesia, sudorazione eccessiva, sensazione di soffocamento, assenza di concentrazione e difficoltà linguistiche, conseguente confusione a livello mentale.

Nei casi più estremi il soggetto affetto da un attacco di panico potrebbe necessitare di un’ospedalizzazione, provocando nella psiche un vero e proprio black out.

Generalmente la maggior parte degli attacchi si risolve tuttavia nel giro di pochi minuti, correlata da esercizi di controllo della respirazione al fine di poter recuperare uno stato di calma.

In altri casi gli attacchi di panico richiedono un intervento terapeutico mirato concentrato sulle sedute di psicoterapia cognitiva comportamentale, laddove gli episodi risultano fortemente invalidanti sia per la salute dei soggetti che per quella delle persone a lui vicine.

L’utilizzo dei psicofarmaci non viene consigliato da tutti i terapeuti, limitando tale decisioni ai casi psichici altamente invalidanti, non privi di effetti collaterali e pericolose dipendenze dal farmaco stesso.

Di Serena Baldoni
Dal Sito: www.esauriente.it

martedì 10 luglio 2018

Quel grido di aiuto chiamato attacco di panico


Tachicardia, brividi, nausea e sudorazione, misti a paura di impazzire e perfino di morire: sono solo alcuni dei sintomi più frequenti degli attacchi di panico, che nascono in situazioni in cui ci si sente bloccati o non all’altezza.
E che ci ricordano che possiamo essere fallibili


Era mercoledì e Sharon camminava tra i banchi del supermercato pensando a cosa avrebbe potuto cucinare per la cena di Shabbat. Era stanca e preoccupata. Voleva fare bella figura con sua suocera, ma non le veniva in mente nulla che fosse all’altezza.Tra il lavoro e i suoi tre figli, il tempo per mettersi ai fornelli era veramente scarso.
Manuel, il più piccolo era con lei e le sorrideva dal carrello cercando di attirare la sua attenzione. Ma quel sorriso e quei richiami non riuscivano a infonderle gioia, bensì le ricordavano che se lasciati inascoltati ancora a lungo si sarebbero tramutati ben presto in urla. L’avrebbero sentita tutti, compresa quell’insopportabile pettegola della cugina del marito che aveva incontrato poco prima. Si sentiva un fallimento. Sua suocera, di figli ne aveva avuti 5 e non mancava mai di ricordarle quanto, senza aiuto, fosse riuscita a cimentarsi in pranzetti succulenti per il marito e per tutta la famiglia. Possibile che lei, Sharon, fosse così incapace? Possibile non essere in grado di gestire ciò che per gli altri sembrava essere tanto banale? A un tratto le mani si fecero fredde e sudate, il cuore le scoppiava in gola, aveva la nausea. Voleva solo scappare via, ma sapeva di dover finire. Era certa, stava diventando pazza, quella sensazione di estraneità e quei pensieri terrorizzanti non l’avrebbero più lasciata e avrebbe finito per rovinare la vita a suo marito e ai suoi figli.
Nathan sta aspettando come ogni mattina la metropolitana, sono ormai tre anni che tutte le mattine la sveglia suona alle 6:30 e gli ricorda che un altro giorno è arrivato e un’altra giornata di sacrifici sta per cominciare. Non era sempre stato così. Tempo fa aveva un lavoro appagante, guadagnava bene, aveva un bell’ufficio con un parcheggio dedicato alla sua Alfa. Come gli piaceva la sua macchina. Il suo piccolo mondo che lo accoglieva con la musica preferita o con un silenzio meraviglioso a seconda delle situazioni. Quegli anni erano lontani così come la metropolitana che tardava ad arrivare.
“Resisti, Nathan, resisti”, si ripeteva. Per continuare a concedere alla famiglia il tenore di vita che richiedeva aveva cominciato a fare due lavori raggiungibili facilmente solo con i mezzi e quella maledetta metropolitana piena di persone, rumori e odori non sempre gradevoli, gli ricordava tutti i giorni il sacrificio che gli era richiesto, ma che nessuno sembrava riconoscere. A un tratto, di nuovo quel dolore acuto al petto, la mancanza di aria, insopportabile. Una volta era anche svenuto e lo avevano portato in ospedale. Attacchi di panico avevano detto. Che vergogna, svenire come una dama dell’Ottocento. Questa volta non sarebbe successo. E se fosse stato un infarto? No, non poteva chiedere aiuto. Avrebbe comunque resistito a tutti i costi.


Come riconoscerlo
Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi e destabilizzanti dal forte impatto fisico ed emotivo. Nella manifestazione classica hanno una durata di una ventina di minuti e sono caratterizzati da sintomi fisici tra cui tachicardia, dolore al petto, tremori, sudorazione, brividi, nausea e dolori addominali e da sintomi più cognitivi: sensazione di irrealtà, di distaccamento da sé, paura di impazzire, di morire o di perdere il controllo.
Ovviamente non tutti i sintomi sono presenti contemporaneamente e ogni attacco di panico può avere delle manifestazioni peculiari. Possono inoltre presentarsi singolarmente oppure con maggior frequenza, arrecando notevole sofferenza e impattando negativamente sulla qualità della vita di chi ne soffre.
Se Nathan e Sharon si conoscessero, è possibile che considererebbero sciocco il motivo per cui l’altro si trovi ad affrontare il panico. A Sharon potrebbe addirittura piacere la praticità della metropolitana, potrebbe essere confortata dal vedere tanta gente che, come lei, fatica e si arrangia come può. Al contempo Nathan potrebbe suggerire a Sharon di prendere un aiuto in più in famiglia e di parlare con la suocera per organizzare dei turni per gli inviti dello Shabbat. Ciascuno penserebbe che l’altro stia esagerando nel lasciarsi abbattere.
L’attacco di panico spesso sopraggiunge quando ci si costringe a vivere in una “situazione bloccata”, in cui ogni tentativo di uscire dall’impasse viene vissuto come impraticabile e impossibile. Sharon non riesce a tollerare di non essere la moglie, la madre e la nuora perfetta e Nathan sente di non poter tollerare la frustrazione della famiglia. Entrambi vivrebbero l’ammissione del limite come una sconfitta intollerabile.
Ecco perché potrebbe essere utile figurarsi l’attacco di panico come un grido di aiuto. Come un tentativo estremo di ascoltare una parte di noi stessi, forse apparentemente meno nobile e certamente meno “performativa”, meno efficiente. Ha a che fare con l’accettazione del limite, con il dover fare i conti con la fallibilità.

Dagli attacchi di panico si può guarire con la psicoterapia e, a volte, con l’ausilio dello psichiatra, che prescriva farmaci adatti a rendere più tollerabile la sofferenza.
Semplificando molto, potremmo dire che un disturbo da attacchi di panico, per poter trovare risoluzione, richieda un sacrificio importante: immolare il proprio ideale di perfezione, che ha una costruzione lontana e radicata poiché spesso condivisa a livello familiare e quindi, ancor più difficile da scalfire.
Al di là dell’ideale però, si può trovare il reale e l’“uomo” dietro e al di là della maschera. Superare il limite imposto, per trovare lo slancio creativo per andare verso qualcosa di diverso. Che ci rispecchi maggiormente per quelli che siamo e più affine a chi sentiamo di essere.
Insomma. Se aveste una bacchetta magica, dovreste trovare la forza di non sperare che vi passino gli attacchi di panico, bensì scegliere di avere il coraggio di costruirvi una vita che vi rispecchi maggiormente.

Psicologo,  psicoterapeuta,  psichiatra:  quali le differenze?

Lo psicologo: in ambito clinico può occuparsi di diagnosi e di sostegno ma non di terapia. Ha seguito generalmente un corso di studi di 5 anni.
Lo psicoterapeuta: generalmente ha studiato 9/10 anni specializzandosi così in un particolare tipo di terapia psicologica (tra gli orientamenti più famosi troviamo quello cognitivo-comportamentale, quello psicoanalitico, quello sistemico-relazionale) ma non si occupa di terapia farmacologica.
Lo psichiatra: ha studiato generalmente 10 anni, prescrive farmaci e se è specializzato anche in psicoterapia (altri 4 anni) si occupa anche di psicoterapia.


di Claudia Hassan 

Dal Sito: www.mosaico-cem.it

mercoledì 4 luglio 2018

Cara Ansia, ti scrivo. E ti leggo


Se l’ansia avesse il dono della parola, e potesse scrivere una lettera di presentazione, immagino che potrebbe suonare più o meno così:

Ciao, mi chiamo Ansia, e sono un’emozione. Sono nata e cresciuta nella mente un po’ più evoluta dell’uomo, la mia famiglia di origine è quella della Paura. Sono una dipendente dell’SNS (Sistema Nervoso Simpatico) e lavoro nel tuo corpo, tra i tuoi pensieri e le tue immagini. Il mio  è un mestiere molto variegato: posso farti accelerare il battito cardiaco, aumentare la sudorazione, posso tendere i tuoi muscoli, sollecitare il tuo stomaco e intestino… Di base lavoro come consulente e motivatrice: ti metto in guardia da ipotetici pericoli e, se collabori con me, posso migliorare le tue prestazioni e farti apprezzare i lati migliori dell’Adrenalina, il mio braccio destro. Nel tempo libero mi diverto a farti delle candid camera, tipo Scherzi a parte. Ti faccio spaventare, ma in realtà è tutta finzione, e spesso lo scopri per tempo!

…Lo so, altre volte ti faccio agitare moltissimo, e per questo inizi ad avere paura di me e a credere che gli scherzi che ti faccio siano la realtà. Inizi ad odiarmi, a temermi, o a vergognarti di me, a orchestrare pensieri e azioni per evitarmi. Queste tue strategie, però, funzionano come delle pompe di gonfiaggio e, se prima ero un palloncino, dopo divento una mongolfiera. E tu ti spaventi ancora di più, pur senza volerlo! Ma se ti rifiuti di conoscermi e di fare due chiacchiere con me, come posso mostrarti che in verità sono innocua, una ragazza della porta accanto, così, Ansia e sapone; che insieme possiamo fare anche cose buone, e che in fondo voglio solo il tuo bene?

Firmato:    Ansia


Bene, la nostra “amica” Ansia è stata abbastanza sincera. E’ una parente stretta della paura, ma con una sua caratteristica distintiva: mentre la paura è un’emozione primordiale che si attiva di fronte a pericoli reali immediati, l’ansia si innesca per quelle che sono percepite come minacce future ipotetiche. Si è inoltre “raffinata” di pari passo allo sviluppo della neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello, quella che, tra le varie cose, ci consente di rappresentarci mentalmente la realtà, dunque anche di prefigurarla. La differenza tra paura e ansia è semplice: se subisco una rapina in strada sperimento paura, se invece esco di casa temendo di subire una rapina, sperimento ansia. L’evento-rapina ha un relativo margine di probabilità di accadimento, ma non si verifica realmente nel momento in cui vivo la preoccupazione, e potrebbe non verificarsi mai. Per questo l’ansia è spesso definita anche come “paura senza oggetto”. Tuttavia, essa è in grado di allarmarci e attivarci quanto la paura, dal punto di vista fisiologico (il cervello mobilita gli organi interni, i muscoli, il metabolismo, i sistemi sensoriali, come se l’organismo avesse davvero di fronte un pericolo, per dotarlo delle energie sufficienti ad attaccare o fuggire) e psichico.

L’ansia produce nella nostra mente delle vere e proprie candid camera, dei filmati in cui avvengono cose temibili, ma che in quel momento appartengono solo alla finzione. A volte ci rendiamo conto dell’ (auto)inganno, valutiamo che, per quanto lo scenario sia verosimile, non è necessariamente vero. Altre volte, invece, crediamo che quel filmato sia davvero una realtà che a breve avverrà, e questa è una nostra scelta di pensiero. Se si deve dare un esame e si teme la bocciatura, l’ansia ci mostra il filmato di una verosimile bocciatura. Da amica, viene a dirci che “potremmo bocciare”, come incentivo per affrontare al meglio un compito, ma non che “bocceremo sicuramente”, e che quindi qualsiasi impegno sarà vano.

Se “collaboriamo” con essa, preparandoci per superare l’esame, avremo trovato un’amica, poiché ci darà la giusta attivazione per la performance (come spiegato dalla “Legge di Yerkes-Dodson”: livelli intermedi di attivazione psicofisiologica determinano le prestazioni migliori, mentre un’attivazione troppo scarsa o eccessiva è di ostacolo). Se invece vedremo l’ansia come un ospite sgradito, portatore di cattive notizie o di uno stato indesiderabile, incontreremo un’altra serie di nemici che la “gonfieranno” e, dal palloncino che era, diventerà un’enorme mongolfiera. Due di questi nemici sono:

La paura o la vergogna per la propria ansia. E’ ancora diffuso un pregiudizio culturale circa la suddivisione ragione-emozione (che invece operano in concerto) e la “forza” della ragione Vs. la “debolezza” delle emozioni, soprattutto alcune. Ancor più in una società “performante” come la nostra attuale, richiedente elevate prestazioni, funzionalità, competitività, l’ansia può essere vista come un indice di disfunzione, di debolezza, di “perdente”; dunque, fonte di imbarazzo e vergogna, o timore di “non farcela”. In realtà si tratta di una fisiologica emozione con una precisa funzione adattiva, al pari delle altre emozioni, che non fa di noi né dei perdenti – anzi, può essere un prezioso stimolo per migliorarci – né dei deboli, bensì degli esseri umani.

Strategie protettive.Quelle che attiviamo per liberarci dell’ansia, di cui una molto diffusa, è l’evitamento. Ad esempio evitare di uscire di casa per paura di una rapina, o evitare gli esami per paura di bocciare. Se sul momento ci tranquillizzano, queste strategie hanno un effetto boomerang, tendono a far fuoriuscire l’ansia dai suoi naturali confini, a diminuire il senso di autoefficacia, ossia la percezione delle proprie capacità per affrontare efficacemente compiti o situazioni, e tolgono gradi di libertà e piacere alla nostra vita.

Leggere la “lettera di presentazione” dell’ansia, ovvero conoscerla per quello che è, come una ragazza della porta accanto nel condominio dei nostri stati d’animo, significa ridimensionare lo spazio che occupa e il potere che ha, leggere il vero messaggio che porta e lo scopo delle sue visite.Facendo un esercizio immaginativo, potremmo anzi avviare una corrispondenza con lei,chiederle di volta in volta perché è qua, come può aiutarci, come possiamo aiutarci ad affrontare qualcosa di prossimo che ci preoccupa. Imparando a ringraziarla per ciò che può lasciarci in termini di consapevolezza e funzionalità, e a congedarla nel modo più sereno quando è arrivata l’ora che torni al proprio appartamento.

Dott.ssa Serena Raspi
Psicologa

Dal Sito: leviedellapsiche.it

10 frasi che una persona ansiosa dice sempre (vi ritrovate?!)


In Italia quasi due milioni e mezzo di persone soffrono di un qualche disturbo d’ansia: panico, paura, angoscia e fobia sono tra i mali più diffusi di questo secolo.

Ma come si manifesta l’ansia? Come riconoscerla?

Non tutta l’ansia è uguale

L‘ansia può avere forme e manifestazioni anche molto diverse, da quelle più lievi a quelle croniche e più invalidanti. Quando parliamo di ansia è importante fare una distinzione tra ansia fisiologica e quella patologica.

L’ansia normale o fisiologica è quella di cui tutti noi facciamo esperienza, è uno stato di allarme e di tensione transitorio che implica l’attivazione generalizzata di tutte le risorse dell’individuo, tale da consentire la messa in atto di comportamenti utili a contrastare o porre fine allo stato d’ansia in questione, provocato da uno stimolo realmente esistente, conosciuto, o da situazioni che creano ansia.

L’ansia patologica è invece caratterizzata da ansia e preoccupazioni eccessive, altamente disturbanti, in grado di alterare il nostro funzionamento psichico e le capacità di adattamento, spingendoci a reagire ad un evento o un oggetto con l’evitamento o la fuga. Spesso, quando si è preda dell’ansia, è difficile far comprendere agli altri il proprio stato d’animo e ciò di cui si ha bisogno. Chi soffre d’ansia tende il più delle volte a voler normalizzare la situazione, a comportarsi come se nulla fosse e ad inviare (più o meno consapevolmente) richieste d’aiuto, a volte di difficile interpretazione, a chi li circonda per fargli capire che qualcosa non va.

Proprio a questo scopo, di seguito vi forniamo una lista delle 10 frasi che una persona ansiosa pronuncia più spesso, messaggi che ci dicono che l’altro sta soffrendo ed ha bisogno d’aiuto.

Cosa dice chi soffre d’ansia

“Scusami” – Le persone che soffrono d’ansia hanno spesso il timore di ferire i sentimenti degli altri, di non essere all’altezza delle aspettative altrui e quindi di aver fatto qualcosa di male, fattori che li inducono a scusarsi eccessivamente anche senza che ve ne sia un reale bisogno.

“Sto bene” – È la frase che viene ripetuta più spesso proprio dalle persone che soffrono con l’intenzione di non far preoccupare gli altri ma anche per non attirare l’attenzione su di loro cosa che non farebbe altro che aumentarne la reazione ansiosa.

“Ce l’hai con me?” – Anche quando tutto sembra andare bene, la persona ansiosa sente la necessità di sviare il discorso e riportare la discussione sul piano emotivo dell’altro. Questa frase esprime anche il bisogno, tipico dei soggetti ansiosi, di essere continuamente rassicurati sulla stabilità del legame e della relazione.

“Ma non c’è troppa gente qui?” – Le persone che soffrono di disturbi d’ansia spesso fanno fatica a tollerare la folla, la sensazione di soffocamento che queste occasioni provocano tende a essere risolta con l’evitare delle situazioni che implicano il radunarsi di molte persone. L’ansia suscitata da questi eventi è provocata dalla paura di avere un attacco di ansia o panico mentre si è circondati da tanta gente, fattore che genera un circolo vizioso che alimenta l’ansia e la possibilità che gli attacchi si ripetano.

“Tutto OK, mi sento solo stanca” – Quando gli altri ci vedono giù di morale è più facile rispondere che si è semplicemente stanchi piuttosto che raccontare che eventi o situazioni specifiche ci mettono ansia. Nella mente di chi soffre d’ansia, questo tipo di risposta è socialmente più accettabile della verità, in quanto nell’immaginario comune una persona in preda al panico e all’ansia è una persona debole ed in balia degli eventi.

“Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” – L’ansia e la paura provocano una serie di reazioni fisiologiche a catena che comprendono l’aumento del battito cardiaco, sensazione di asfissia, sudorazione intensa e vertigini, tutti sintomi che inducono chi è preda dell’ansia a voler uscire all’aria aperta, per respirare a pieni polmoni, allontanandosi dagli occhi indiscreti della gente. Dire “Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” serve a confondere le persone che gli sono accanto, nascondendo la natura reale del problema, cioè l’ansia.

“Mi sento strana” – Ansia, paura e attacchi di panico, come abbiamo visto, hanno conseguenze dirette sul nostro corpo. Spesso chi ne soffre non è cosciente dei cambiamenti fisiologici che il corpo subisce nel corso di un attacco d’ansia. Quindi può servirsi di questa frase per segnalare la presenza di un problema, del quale però non riconosce la causa.

“Lo faccio io” – Spesso chi soffre d’ansia tende a proporsi come tutto fare, anche senza che gli altri avanzino alcuna richiesta. Questa strategia nasce dall’esigenza di tenere sotto controllo la situazione e di impedire il verificarsi di imprevisti e situazioni che potrebbero generare l’ansia.

“Adesso non sono al 100%”
– Quando le persone pensano che qualcuno non si senta bene, tendono a lasciarle in pace, senza porre troppe domande. Questa strategia è utile per allontanare da sè ogni sospetto, senza il bisogno di dare ulteriori spiegazioni, che non farebbero altro che perpetrare il circolo vizioso dell’ansia.

“Oggi non son proprio dell’umore” – Anche in questo caso, questa frase riflette il bisogno tipico delle persone ansiose di spazio, di distanza e quindi di eludere le domande dell’altro vissute come intrusive, in modo da trovare lo spazio e il tempo utile a calmarsi e ad alleviare la sensazione d’ansia.

Quelle che vi abbiamo proposto sono solo alcune delle frasi che una persona ansiosa solitamente pronuncia per comunicare al mondo l’esistenza di un problema, una sorta di campanello d’allarme in grado di aiutarci a capire se le persone che ci sono accanto hanno o meno bisogno del nostro aiuto.


  Martina Valizzone

Dal Sito: pazienti.it

sabato 30 giugno 2018

Superare l’ansia da prestazione



La paura del fallimento, una scarsa autostima, la mancanza di forze possono bloccarci. Bisogna dunque imparare a gestire ciò che proviamo e ad andare avanti, un passo alla volta.

Cosa accomuna una venticinquenne appena laureata che vuole trovare lavoro, una trentasettenne libera professionista che vuole aumentare il numero dei suoi clienti, un cinquantenne che vuole far sopravvivere la sua azienda, un diciannovenne che vuole superare l’esame in modo eccellente? Sono tutte persone focalizzate sul voler ottenere dei risultati finali(obiettivo-risultato), delle conclusioni che hanno degli esiti specifici. Ciascuno di loro ha un obiettivo da voler raggiungere, seppur ancora non perfettamente chiaro e definito, ma cosa gli permette di arrivare al traguardo? E dopo che hanno raggiunto la linea di arrivo, sono sicuri di aver trovato la felicità?

Probabilmente appena giunti alla meta avranno già il prossimo obiettivo. In alcuni casi la corsa si blocca all’inizio del percorso con uno stallo dovuto all’ansia di raggiungere un risultato, un sogno che sembra lontano e inafferrabile, conflittuale con le esigenze del momento. A volte si resta immobilizzati guardando l’obiettivo, «lo desidero tanto ma… non ce la farò mai!».

L’immobilità può essere dovuta a vari fattori, molto spesso la rintracciamo nella paura del fallimento o nel non “sentirsi all’altezza” (per scarsa autostima), si ha la percezione che il tempo necessario sia infinito, di non avere le forze per affrontare ostacoli interni ed esterni. Come uscire allora da questa impasse frustrante e disarmante?

Questi obiettivi-risultato si possono trasformare (senza perderne il contenuto) in obiettivi-performance, caratterizzati da strategia e azioni, da un percorso. Il risultato non va abbandonato, ma va visualizzato, in esso si trovano i sogni e i desideri più profondi che animeranno e motiveranno le azioni e l’energia necessaria per realizzarli.

Per essere efficace un obiettivo innanzitutto deve essere chiaro, specifico, definito nel tempo, misurabile, condivisibile. La definizione non deve generare ansia, al contrario deve essere caratterizzata da tutto ciò che è sotto il governo della persona. Dopo aver chiarito bene qual è l’obiettivo da voler raggiungere, occorre quindi tradurlo in azioni semplici e motivate. Quindi si può trasformare in una serie di “azioni per”, rivolgendo la concentrazione su quest’ultime. Per il giovane inoccupato la performance sarà, per esempio, attuare una ricerca attiva del lavoro e definire un’ottima presentazione del proprio profilo sul web. Nel caso dell’azienda un obiettivo performance può essere apportare un miglioramento specifico al prodotto realizzato. Nel caso dell’esame può essere concentrarsi totalmente sui contenuti, con un programma di studio ben definito, piuttosto che pensare continuamente al professore. Nel caso del libero professionista concentrarsi su tutte le azioni di autopromozione piuttosto che su quello che fanno i propri competitor.

Se ripartiamo da cosa si può fare, da azioni piccole e concrete, ci accorgeremo che dal punto di partenza a quello dell’arrivo c’è una scala fatta di tanti gradini che ogni giorno possiamo percorrere, uno dopo l’altro.

Dopo aver realizzato le performances, arrivati ad uno scalino, è importante auto-valutarsi, anche solo incoraggiarsi perché l’abbiamo raggiunto (chissà con quale fatica e impegno), riconoscere ciò che è andato bene del proprio comportamento e ciò che ancora può migliorare.

A volte non è facile ammettere gli errori, ma è solo integrandoli al percorso che si può imparare, dal passato apprendiamo elementi di miglioramento che fanno sì che la nostra storia si arricchisca ogni giorno. È possibile che ad un certo punto della salita ci saremo scordati di avere l’ansia, perché effettivamente non c’è più, e probabilmente non ricorderemo di aver fatto tutta quella fatica nel superare il blocco, ma ricordare di aver superato tutto questo potrebbe essere importante… Un giorno potrebbe servirci!

Dal Sito: cittanuova.it

Come superare la paura di volare



Sette italiani su dieci hanno paura di prendere l’aereo: dalle bevande alle distrazioni, ecco come gestire la propria ansia in volo.

Pronti per le vacanze? Sole se la destinazione non è troppo lontana: 7 italiani su 10 infatti hanno paura di volare e preferiscono viaggiare in treno, auto o nave. Questo il risultato di un sondaggio realizzato da Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), a cui hanno risposto 568 persone tra i 25 e i 65 anni.

A monte delle paure dell’aereo ci sono diverse cause: il 77% delle persone teme un possibile attentato, il 67% detesta l’aereo perché ha la sensazione di non avere il controllo del mezzo e quindi della situazione e il 69% preferisce spostarsi con mezzi alternativi come il treno (37%) o altri mezzi su strada (45%). Solo il 17% degli italiani ama prendere l’aereo per raggiungere le mete dei loro viaggi.

Nell’epoca in cui si può raggiungere qualsiasi luogo del mondo e, grazie alle compagnie aeree low-cost, tutti possono viaggiare all’estero, a fermarci è la paura: “Sono dati allarmanti, quindi è necessario tentare di risolvere, o almeno imparare a gestire questa forte ansia, che conduce alla paura di volare”, dice la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente di Eurodap e direttore scientifico di Bioequilibrium. Di seguito alcuni consigli pratici per superarla:

Affidarsi al personale di bordo
A volte a scatenare la paura sono interpretazioni erronee di normali avvenimenti di bordo o turbolenze: chiedere informazioni al personale aiuta molto a diminuire l’ansia. Inoltre, rendere il personale di bordo partecipe delle proprie ansie è sempre una buona idea: stuart ed hostess sono perfettamente addestrati ad intervenire e sapranno come aiutarvi.

Bere camomilla invece del caffè 
Evitare sostanze eccitanti come tè o caffè prima e durante il volo è fondamentale. Se l’ansia è troppo forte, prima della partenza si può anche consultare un medico che deciderà se è il caso di prescrivere degli ansiolitici.

Distrarsi (anche con le foto!)
Pensare ossessivamente al volo non fa che alimentare l’angoscia. Meglio cercare di distrarsi con libri, chiacchere, musica o sfogliando le foto del proprio album sul telefono. Può aiutare anche portare con sé una foto della meta della destinazione, soprattutto se è un luogo di vacanza: guardare le immagini di una spiaggia o di un paesaggio di montagna rilassa la mente e controlla lo stress.

Imbarcarsi riposati
Stancarsi nei giorni precedenti per dormire sull’aereo non è una buona idea: la mancanza di sonno potrebbe accentuare lo stato di alterazione fisiologica legata alla paura del volo.

Fare un corso
Ci sono molti corsi specifici di un giorno mirati a combattere la paura di volare attraverso tecniche di terapia comportamentale (respirazione, simulazioni di volo, interazione con i piloti di linea) e cognitiva. Alcuni li propongono le stesse compagnie aeree, come il corso di British Airways.

Dal Sito: glamour.it


Attacchi di panico: come aiutare una persona che ne viene colpita


Chi soffre di attacchi di panico lo sa: giungono all’improvviso e, a volte, fanno sì che si instauri una catena di ansia e paure immotivate.

Abbiamo chiesto alla dr.ssa Martina Valizzone, psicologa, di aiutarci a riconoscerli, dando anche qualche valido consiglio per affrontarli al meglio.

Come fare a riconoscere un attacco di panico?

Un attacco di panico è un episodio di malessere improvviso, caratterizzato da una reazione di paura e angoscia intense, che si manifesta in assenza di un reale pericolo.

Questi episodi, solitamente della durata di qualche minuto, sono accompagnati da sintomi cognitivi e somatici ben precisi (come palpitazioni, sudorazione intensa, tremori, sensazione di asfissia) dovuti a una iperattivazione del sistema nervoso simpatico, che porta chi ne è vittima a temere di perdere il controllo, di impazzire o a sperimentare una sensazione di morte imminente.

Gli individui che soffrono di disturbo di panico, solitamente, vivono nella costante paura che gli attacchi possano ripresentarsi al punto da mettere in atto, in maniera del tutto inconsapevole, una serie di strategie per difendersi dalle situazioni a rischio.

Iniziano, dunque, a evitare luoghi e situazioni potenzialmente ansiogene o dove si sono verificati in precedenza degli attacchi, fino ad arrivare a soluzioni estreme, tali da comportare il ritiro sociale e l’isolamento.

Lo stato costante di ansia e tensione che i soggetti con disturbo da panico vivono, anticipano il ripetersi degli attacchi, alimentando così un circolo vizioso che non fa altro che aumentare la probabilità che episodi simili possano ripetersi.

Quali sono i sintomi?

Secondo il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) per essere confermata la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti almeno 4 di questi sintomi, tra somatici e cognitivi:

Tachicardia

Palpitazioni

Sudorazione intensa (brividi o vampate di calore)

Tremori

Formicolio alle mani o agli arti (parestesia)

Respiro corto, sensazione di asfissia o iperventilazione

Oppressione, fastidio o dolore al petto

Nausea

Vertigini, sbandamento o instabilità

Derealizzazione (la realtà esterna appare strana ed irreale)

Depersonalizzazione (avere la sensazione di essere staccati dal proprio corpo)

Sensazione di perdere del controllo, di stare impazzendo o di morte imminente

Un attacco di panico solitamente si esaurisce nel giro di pochi minuti, ma le sensazioni che questi suscitano hanno la capacità di dilatare la percezione del tempo, facendoli apparire (agli occhi di chi vi assiste o del soggetto che ne soffre) interminabili.

Per quanto riguarda la frequenza e la severità dei sintomi, queste variano ampiamente a seconda delle circostanze, così come da persona a persona. Il disturbo di panico è in grado di incidere in maniera estremamente negativa nella vita di chi ne soffre, a tal punto da provocare (nei casi più severi) un profondo stato depressivo, che va ad aggiungersi al disturbo d’ansia già presente, complicandone il quadro e il decorso clinico.

Cosa fare per far passare il panico?

La prima regola fondamentale da mettere in atto quando si avverte l’imminenza di un attacco di panico è quella di evitare di resistervi o fare finta di niente, in quanto entrambe queste strategie contribuiscono a incrementare i livelli d’ansia e a inasprire i sintomi, finendo comunque per sfociare in un attacco di panico.

Quando si verifica un episodio di panico è opportuno tentare di calmarsi, quindi spostarsi in un luogo appartato e tranquillo lontano dalla confusione, dove sia possibile sedersi o sdraiarsi.

Nel tentativo di ridurre la risposta emotiva che accompagna gli attacchi di panico, è possibile mettere in atto una serie di strategie, quali:

Iniziare a contare da 0 fino a 50, quindi tornare indietro da 50 a 0. Si tratta di una tecnica di distrazione cognitiva efficace nel ridurre l’ansia e lo stress, che aiuta a concentrare il pensiero su un dato esterno distraendolo dalle sensazioni di ansia e paura.

Controllare la respirazione. Fare respiri profondi contribuisce a calmare i nervi e ad alleviare la sensazione di asfissia e l’iperventilazione tipiche degli episodi di panico.

Mettere in pratica le tecniche di rilassamento. Praticare con regolarità yoga, pilates, training autogeno o altre tecniche di rilassamento, aiuta a ridurre i livelli di ansia e a prevenire l’insorgenza degli attacchi di panico. La pratica di queste discipline può essere d’aiuto anche nella gestione dell’attacco di panico, andando a limitarne i sintomi e l’intensità della risposta emotiva.

Un altro fattore utile a contrastare gli attacchi di panico è imparare a riconoscere le varie fasi che li contraddistinguono: sapere che il normale decorso di un episodio di panico è costituito da un esordio, un apice e una progressiva riduzione dei sintomi, fino alla loro estinzione, aiuta a comprendere che questi episodi hanno un inizio e una fine ma soprattutto che non sono mortali.

Per finire, è opportuno ricordare che gli attacchi di panico sono solo il sintomo di una problematica più ampia, frutto di un disagio interiore che ha trovato espressione attraverso il corpo e la mente.

Per questo, è bene ascoltare il proprio corpo, in modo da riuscire a cogliere anche il minimo segno di disagio e rivolgersi all’aiuto di un professionista, psicologo o psicoterapeuta, qualora lo si ritenga opportuno per indagare il sintomo alla base del problema e risolverlo definitivamente.

Dal Sito: tantasalute.it

mercoledì 27 giugno 2018

Che fatica l’ansia!


Ascoltiamo la nostra voce interiore? Cosa ci sta dicendo? Quali sono le sensazioni e i bisogni che avvertiamo?

Perché arriva l’ansia

Abbiamo la convinzione di sapere tutto di noi stessi, di sapere come stiamo, cosa vogliamo e cosa non vogliamo: nulla di più falso.

Spesso abbiamo timore di sapere, di ascoltarci, di sentirci; fermarsi e prendere consapevolezza di cosa siamo in questo momento può provocare l’ansia del contatto pieno con la realtà, di scoprire mancanze e difficoltà pratiche.

Fare cose e cose, serve solo a coprire i rumori della voce interiore, ma non può durare a lungo: il corpo ad un certo punto avrà la meglio e attraverso svariati sintomi proverà ad esprimersi, a modo suo, e non sempre in modalità piacevole, ad esempio: stanchezza, distrazione,offuscamento mentale, stati d’ansia, umore labile, muscoli tesi e doloranti, calo della vitalità e della voglia di progettare.

Inoltre, il voler mantenere a tutti i costi il ritmo quotidiano senza mai staccare la spina, sul lungo termine può provocare la chiusura delle sensazioni: il corpo s’irrigidisce talmente tanto da “pietrificarsi” fino a non sentire il tocco di una carezza, il tepore del sole o il sapore intenso di una bevanda; tutto ciò che facciamo diventa atto meccanico, lo scorrere del tempo si congela e la memoria non riesce ad immagazzinare immagini: la sera non ci saranno ricordi della giornata ma solo voglia di andare a letto.

Come si sente chi soffre d’ansia?

L’ansia si veste di tantissimi ruoli, ognuno scelto inconsapevolmente per dare spiegazioni a sintomi fisici a cui non diamo ascolto; sono svariati i comportamenti che adottiamo per gestirne le sensazioni sgradevoli, ad esempio:

– controllare il nostro ambiante: disturbo ossessivo

– evitare situazioni e/o relazioni: ritiro sociale

– chiuderci nei ricordi del passato: fuga dalla realtà

– modificare la nostra personalità creandoci un alter ego, e cosi via.

Nello specifico:

La testa: i ricordi sono confusi e poco chiari, la percezione del tempo è dilatata e i minuti si moltiplicano, tante fantasie negative con catastrofi imminenti, incapacità di progettare a lunga scadenza.

Le emozioni: continuo allarme e agitazione, preoccupazioni incessanti, indecisioni e paure.

L’attività fisiologica:respiro alto, affannoso, percezioni di morte imminente, attivazione costante (battito cardiaco, peristalsi intestinale ecc.).

La postura:movimenti agitati a scatti, posture rigide e muscoli tesi.

L’ansia non è un mostro

Mi capita spesso di sentire descrivere l’ansia come un essere vivente, una sorta di demone interiore, un’entità che ci guida o ci comanda, un qualcosa a cui siamo assoggettati: umanizzare l’ansia crea un mostro con una sua vita, che con immotivata cattiveria schiaccia la nostra esistenza.

Apriamo gli occhi al mattino e ci ritroviamo di fronte una forza da combattere, per tutto il giorno fino a sera, quando sfiniti ci rimettiamo a letto, schiavi di un «qualcuno invisibile» che assorbe le nostre energie.

 Ansia: cosa non fare

1) Evitare la ricerca continua di notizie, perlopiù, in internet dove tutti scrivono tutto: una marea di interpretazioni personali anche allarmanti rispetto ai sintomi aumenta solo la confusione;

2) Non cadere nei paragoni poiché ognuno di noi ha una propria configurazione funzionale sia del decorso che della risoluzione del disturbo, non sprechiamo tempo nella ricerca di consigli, di suggerimenti sul “come hanno fatto gli altri”; la realtà, soprattutto in momenti di crisi, viene vissuta in maniera del tutto personale.

3) Individuare il centro dell’ansia, ossia, il respiro: l’ansia è fondamentalmente alterazione del respiro, la famosa “fame d’aria” non è altro che l’incapacità del diaframma di allargarsi e prendere aria.

Piccolo test

Bastano pochi minuti per renderci conto di come sia sbarrata la porta delle sensazioni, di quanto le esperienze sbagliate abbiano bloccato la comunicazione tra noi e il corpo.

Mettiamoci seduti o distesi, in un posto tranquillo e proviamo a fare dei respiri profondi, uno, due, tre, quattro respiri profondi.

Qual è la sensazione?

Sangue alla testa, lieve vertigine, oppressione toracica. Tutti segnali dell’iperventilazione, conseguenza dell’alterazione del respiro.

Ora, proviamo ad individuare nel corpo la zona in cui si trova la rabbia. Poi, individuiamo la tristezza. Proviamo a soffermarci su una zona del corpo fragile, una zona che ha bisogno di cure e coccole. Non ci fermiamo su dolori vari, ma sulle SENSAZIONI.

Cosa ci sta dicendo il nostro corpo?

Non riuscire a sentirci è tra le principali cause che provocano reazioni psicosomatiche: il corpo comunica continuamente e tenere la mano sulla sua bocca non lo zittisce, ma anzi, lo fa scalciare sempre più violentemente, fino all’esplosione.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

Dal Sito: corrieredellacitta.com