mercoledì 27 maggio 2015

Anche Wonder Woman Soffre di Attacchi di Panico

Se Iron Man può avere gli attacchi di panico e salvare il mondo dai mostri, io potrò ben soffrire d'ansia e sentirmi Wonder Woman. O no?
È tutta una questione di prospettive: dalla mia io sono una personcina piuttosto efficiente, capace di fare 37 cose in una volta. So parlare in pubblico e camminare sui tacchi senza franare giù, so fare i tortelli e il ragù, so scrivere libri anche senza firmarli lasciando ad altri l'onore della gloria, ma vado nel panico ogni volta che devo viaggiare. Ognuno ha i suoi punti deboli: il mio è questo. Posso stare in equilibrio su uno stiletto di 12 centimetri parlando a 3mila persone e posso sentirmi morire su un accidente di autostrada che alterna viadotti e gallerie.

Per anni mi sono vergognata come una ladra di questa cosa che a me l'idea di viaggiare (anche per 100 chilometri e su qualunque mezzo non siano i miei piedini) mandasse nel panico e al resto del mondo non facesse fare un plissé, poi mi sono guardata Iron Man con la tachicardia e la sudarella e mi son detta: "ma sai che c'è? C'è che se lui è un figo anche quando muore di paura, per la proprietà transitiva posso esserlo anche io, quindi basta vergognarsi: IO SOFFRO DI ATTACCHI DI PANICO".
 

Sono un'impacciata a intermittenza: posso stare anni senza avere niente e poi un bel giorno vengo invasa dalle formiche che mi intorpidiscono le mani e mi affannano il respiro per giungere al risultato finale di farmi sentire prossima alla morte come uno che stanno legando alla sedia elettrica. Eppure vivo, faccio tutte le mie cose: lavoro, giro in macchina più o meno tutti i giorni, scrivo un sacco e leggo anche di più, ho una famiglia composta da un fidanzato riottoso al matrimonio e da una carlina grassottella e molto dolce che si sono abituati a me e a tutte le mie mille preoccupazioni. Preoccupazioni che si trasformano in ansia, quando non in un vero e proprio attacco di panico, allo scattare della mia mano sinistra che, con consumata sicurezza, si precipita verso il mio collo per prendere i battiti cardiaci nei momenti meno opportuni (tipo in corsia di sorpasso in autostrada, quando ovviamente a guidare sono io).
Sono fatta così, ormai ho smesso di combattermi come un ninja autolesionista che si massacra pronto all'harakiri ogni volta che non rispetta i suoi altissimi standard. Sono un'impanicata ed è del tutto inutile che io continui ad 'invidiare' chi si macina migliaia di chilometri all'anno da solo, in macchina, treno o aereo.
So che in un modo o nell'altro ce la faccio anche io, solo che il mio modo di farcela è un po' più nevrotico di quello del resto del mondo. Ma insisto: se Iron Man si ritrova il cuore nei calzini e ci salva dai mostri, io posso ben trovamelo nelle autoreggenti e salvare me stessa.
Il vero problema, almeno il mio, in effetti non è quell'attacco bastardo che mi dura 3 minuti e mi fa sentire una morta vivente, il vero problema è che non me lo scordo e passo il resto del mio tempo a cullarmi nella paura che mi torni... Riuscendo nella non invidiabile impresa di farmelo tornare.
Che poi ci sono anche quelli che mi dicono: "vabbè ma non pensarci", e io li picchierei perché vorrei capire come posso non pensare a qualcosa che mi occupa una fetta di cervello larga come la Cina. "Fai finta di niente", sentenzia qualcun altro, che di nuovo picchierei: ma provaci te a far finta di niente quando le tue mani sono invase da un esercito di formiche sul piede di guerra, il tuo respiro è quello di un novantenne asmatico senza un polmone e il tuo cervello ti consiglia di salutare i parenti perché tra due minuti non ci sarai più.
"Vabbè ma poi ti passa, no?", è la lucidissima frase che mi regala qualcun altro, che ancora picchierei per terra, anche se so che ha ragione: perché il fatto che passi non mi rassicura davanti alla prospettiva che arrivi. Ed è nella consapevolezza che prima o poi arriverà che viviamo più o meno sempre noi impacciati a corrente alternata.
"Sono tutte pipe, le tue, se tu avessi dei problemi veri non avresti tempo di farti venire l'ansia e gli attacchi di panico", frase che qualcuno (a rischio della sua stessa sopravvivenza) mi ha sventolato sotto al naso facendomi diventare una jena furiosa. Come se io, e quelli come me, un bel giorno si fossero svegliati e avessero pensato: "Mah, guarda, oggi non so proprio come far passare il tempo... Magari provo a vedere se con una bella crisi di ansia riesco ad arrivare a sera".
Morale della favola: gli attacchi di panico sono un po' come i miei occhi, il mio naso a patata e il mio talento linguistico che mi fa ripetere qualunque parola al oirartnoc (contrario) senza nessuna difficoltà. Sono parte di me (e di Iron Man e di milioni di altre persone al mondo): sono una malattia fastidiosa, anche molto, ma non mortale con la quale mi sono allenata a convivere e, soprattutto, a scherzare. Perché, nonostante il cuore che fa le capriole, le mani occupate da un'armata di formiche, probabilmente rosse, e l'ossigeno che sembra incapace di prendere la strada dei miei polmoni io mi ostino a vivere ridendo. Anche di questa paura della paura che vorrebbe rinchiudermi in casa e farmi perdere la gioia di scoprire il mondo.
Sì, sono fermamente convinta: la mia risata, alla fine, seppellirà anche loro, i miei attacchi di panico automobilistici. E se anche dovessero uscire dalla tomba in cui li ho cacciati e trasformarsi in famelici zombie, mi infilerò nelle orecchie "Thriller" di Michael Jackson, canterò a squarciagola inventandomi le parole e li stordirò di stecche e cialtroneria.
Del resto sono Wonder Woman e la mia arma segreta è l'allegria.

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