Se Iron Man può avere gli attacchi di panico e salvare il mondo dai
mostri, io potrò ben soffrire d'ansia e sentirmi Wonder Woman. O no?
È
tutta una questione di prospettive: dalla mia io sono una personcina
piuttosto efficiente, capace di fare 37 cose in una volta. So parlare in
pubblico e camminare sui tacchi senza franare giù, so fare i tortelli e
il ragù, so scrivere libri anche senza firmarli lasciando ad altri
l'onore della gloria, ma vado nel panico ogni volta che devo viaggiare.
Ognuno ha i suoi punti deboli: il mio è questo. Posso stare in
equilibrio su uno stiletto di 12 centimetri parlando a 3mila persone e
posso sentirmi morire su un accidente di autostrada che alterna viadotti
e gallerie.
Per anni mi sono vergognata come una ladra di questa
cosa che a me l'idea di viaggiare (anche per 100 chilometri e su
qualunque mezzo non siano i miei piedini) mandasse nel panico e al resto
del mondo non facesse fare un plissé, poi mi sono guardata Iron Man con
la tachicardia e la sudarella e mi son detta: "ma sai che c'è? C'è che
se lui è un figo anche quando muore di paura, per la proprietà
transitiva posso esserlo anche io, quindi basta vergognarsi: IO SOFFRO
DI ATTACCHI DI PANICO".
Sono un'impacciata a intermittenza: posso stare anni senza avere niente e
poi un bel giorno vengo invasa dalle formiche che mi intorpidiscono le
mani e mi affannano il respiro per giungere al risultato finale di farmi
sentire prossima alla morte come uno che stanno legando alla sedia
elettrica. Eppure vivo, faccio tutte le mie cose: lavoro, giro in
macchina più o meno tutti i giorni, scrivo un sacco e leggo anche di
più, ho una famiglia composta da un fidanzato riottoso al matrimonio e
da una carlina grassottella e molto dolce che si sono abituati a me e a
tutte le mie mille preoccupazioni. Preoccupazioni che si trasformano in
ansia, quando non in un vero e proprio attacco di panico, allo scattare
della mia mano sinistra che, con consumata sicurezza, si precipita verso
il mio collo per prendere i battiti cardiaci nei momenti meno opportuni
(tipo in corsia di sorpasso in autostrada, quando ovviamente a guidare
sono io).
Sono fatta così, ormai ho smesso di combattermi come un
ninja autolesionista che si massacra pronto all'harakiri ogni volta che
non rispetta i suoi altissimi standard. Sono un'impanicata ed è del
tutto inutile che io continui ad 'invidiare' chi si macina migliaia di
chilometri all'anno da solo, in macchina, treno o aereo.
So che
in un modo o nell'altro ce la faccio anche io, solo che il mio modo di
farcela è un po' più nevrotico di quello del resto del mondo. Ma
insisto: se Iron Man si ritrova il cuore nei calzini e ci salva dai
mostri, io posso ben trovamelo nelle autoreggenti e salvare me stessa.
Il
vero problema, almeno il mio, in effetti non è quell'attacco bastardo
che mi dura 3 minuti e mi fa sentire una morta vivente, il vero problema
è che non me lo scordo e passo il resto del mio tempo a cullarmi nella
paura che mi torni... Riuscendo nella non invidiabile impresa di farmelo
tornare.
Che poi ci sono anche quelli che mi dicono: "vabbè ma
non pensarci", e io li picchierei perché vorrei capire come posso non
pensare a qualcosa che mi occupa una fetta di cervello larga come la
Cina. "Fai finta di niente", sentenzia qualcun altro, che di nuovo
picchierei: ma provaci te a far finta di niente quando le tue mani sono
invase da un esercito di formiche sul piede di guerra, il tuo respiro è
quello di un novantenne asmatico senza un polmone e il tuo cervello ti
consiglia di salutare i parenti perché tra due minuti non ci sarai più.
"Vabbè
ma poi ti passa, no?", è la lucidissima frase che mi regala qualcun
altro, che ancora picchierei per terra, anche se so che ha ragione:
perché il fatto che passi non mi rassicura davanti alla prospettiva che
arrivi. Ed è nella consapevolezza che prima o poi arriverà che viviamo
più o meno sempre noi impacciati a corrente alternata.
"Sono tutte
pipe, le tue, se tu avessi dei problemi veri non avresti tempo di farti
venire l'ansia e gli attacchi di panico", frase che qualcuno (a rischio
della sua stessa sopravvivenza) mi ha sventolato sotto al naso
facendomi diventare una jena furiosa. Come se io, e quelli come me, un
bel giorno si fossero svegliati e avessero pensato: "Mah, guarda, oggi
non so proprio come far passare il tempo... Magari provo a vedere se con
una bella crisi di ansia riesco ad arrivare a sera".
Morale della
favola: gli attacchi di panico sono un po' come i miei occhi, il mio
naso a patata e il mio talento linguistico che mi fa ripetere qualunque
parola al oirartnoc (contrario) senza nessuna difficoltà. Sono parte di
me (e di Iron Man e di milioni di altre persone al mondo): sono una
malattia fastidiosa, anche molto, ma non mortale con la quale mi sono
allenata a convivere e, soprattutto, a scherzare. Perché, nonostante il
cuore che fa le capriole, le mani occupate da un'armata di formiche,
probabilmente rosse, e l'ossigeno che sembra incapace di prendere la
strada dei miei polmoni io mi ostino a vivere ridendo. Anche di questa
paura della paura che vorrebbe rinchiudermi in casa e farmi perdere la
gioia di scoprire il mondo.
Sì, sono fermamente convinta: la mia
risata, alla fine, seppellirà anche loro, i miei attacchi di panico
automobilistici. E se anche dovessero uscire dalla tomba in cui li ho
cacciati e trasformarsi in famelici zombie, mi infilerò nelle orecchie
"Thriller" di Michael Jackson, canterò a squarciagola inventandomi le
parole e li stordirò di stecche e cialtroneria.
Del resto sono Wonder Woman e la mia arma segreta è l'allegria.
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