giovedì 11 gennaio 2018

Ansia e attacchi di panico: le domande più frequenti





La sensazione è che si sia perso il controllo del proprio corpo e delle proprie emozioni: il battito del cuore è accelerato, le gambe tremano, il petto è come stretto in una morsa e la mente è in corto circuito su pensieri come “cosa mi sta succedendo?”, “sto impazzendo?”, “sto morendo?”, “sto per svenire?”. Sono gli attacchi di panico: in alcuni casi, realmente si sviene o si perde conoscenza fino a ritrovarsi sdraiati in un lettino del pronto soccorso, in altri, invece, dopo aver raggiunto un picco, quel forte senso di apprensione e di allarme si attenua un po’ alla volta, lasciando però spazio alla paura che possa succedere ancora.

Nella storia clinica di molte persone che riferiscono di soffrire di attacchi di panico, in realtà, di attacchi propriamente detti ce ne sono stati pochi, a volte solo 2 o 3. Quello che, invece, rimane costante e con cui bisogna fare i conti è la paura che quel terribile episodio possa ripetersi, specie in contesti sociali in cui sarebbe particolarmente imbarazzante perdere il controllo di sé. Tutto questo porta, poi, ad evitare quelle situazioni “ad alto contenuto emozionale” che potrebbero far scattare il sistema di allarme dell’organismo, alimentando così la reazione a catena di evitamento, fuga e progressiva chiusura relazionale.

Eh si, è proprio così, ansia e attacchi di panico rappresentano una sorta di “antifurto” che entra in azione per allertarci e avvisarci che c’è un pericolo da cui dobbiamo difenderci, anche se questo pericolo può essere avvertito in situazioni innocue, come una cena in famiglia, una festa con amici, ecc. E non è sufficiente cercare di disinnescare l’antifurto, occorre capire cosa lo ha fatto scattare e, soprattutto, in quali “stanze” della nostra psiche si è agitato qualcosa di insopportabile. Il rapporto con il partner, il lavoro, le relazioni con la famiglia di origine? Oppure…ci sono stanze della nostra psiche dove non possiamo accedere, finestre che non possiamo/vogliamo aprire per fare entrare aria nuova?

"E' possibile guarire dagli attacchi di panico?”

Ansia e attacchi di panico non hanno una sola spiegazione e la loro origine va ricercata nella storia unica e personale di ciascuno. Desidero, però, rispondere ad una domanda che, come psicoterapeuta, mi rivolgono in tanti: “è possibile guarire dagli attacchi di panico?”.

La risposta è si, ma con una precisazione. Innanzitutto, non mi piace la parola “guarigione”, preferisco sempre parlare di crescita e di cambiamento evolutivo perché per liberarsi dall’ansia occorre permettere al bambino che si nasconde dentro di noi, anche se ben camuffato dal successo professionale o da uno stile di vita da adulto, recitato in maniera quasi ineccepibile, di crescere. E per crescere abbiamo bisogno di tanto amore, abbiamo bisogno di vivere in maniera autentica le nostre emozioni, senza doverle reprimere o mascherare per renderle non giudicabili, abbiamo bisogno di relazioni che siano ponti verso l’ignoto e non vincoli o strettoie, abbiamo bisogno di sperimentarci in situazioni nuove e di sbagliare osando, sbagliare e ricominciare. È importante, quindi, essere dotati di un antifurto che attivi in noi un processo di riflessione, che ci avvisi che nella nostra vita qualcosa deve cambiare, che non possiamo più essere quelli di prima, che ci sono porte e finestre che dobbiamo spalancare per aprirci ad una parte di noi stessi che non può più essere negata.


"Come guarire da ansia e attacchi di panico?”

Un’altra domanda frequente è “come guarire da ansia e attacchi di panico?”. In molti mi chiedono consigli su come imparare a gestire la propria ansia, cosa fare per evitare di avere attacchi di panico: la cattiva notizia è che non esistono ricette da seguire e che nessun professionista è dotato di una bacchetta magica che consenta immediatamente e senza fatica di far sparire un certo malessere. Quella buona, invece, è che la psicoterapia rimane la forma di trattamento più efficace per affrontare simili problematiche e non sempre è necessario ricorrere alla terapia farmacologica. Occorre, tuttavia, essere disposti a pagare un prezzo alto in termini emozionali, bisogna aprirsi, mettersi in discussione e osare per cambiare quei meccanismi, quegli schemi mentali, quelle abitudini relazionali che inconsapevolmente mettono in allerta il nostro organismo.

“La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare!”

Un giorno, quando la psiche non avrà più la necessità di inviarci segnali di allarme e di malessere, potremmo essere grati all’ansia per averci permesso di vedere quello che c’era prima con sguardo critico, di spalancare gli occhi su una realtà nuova e di accedere alla parte più vitale e creativa del nostro essere…ma nel frattempo, lavoriamo su noi stessi!

Dott.ssa Valentina Nappo

Dal Sito: www.medicitalia.it

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