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sabato 19 dicembre 2020

Il dilemma della coperta corta, quando dobbiamo scegliere tra due opzioni negative





Probabilmente ti è successo in più di un’occasione. Hai freddo, quindi tiri la coperta per coprirti la testa, ma così facendo i piedi restano scoperti. Presto senti di nuovo freddo, quindi torni ad aggiustare la coperta, ma coprendoti i piedi, esponi la testa. È frustrante.

Il dilemma della coperta corta è una teoria intuitiva secondo cui è impossibile coprire contemporaneamente testa e piedi perché la coperta non è abbastanza lunga. Pertanto, siamo costretti a scegliere tra due possibilità, ma nessuna delle due ci soddisfa pienamente.

Il problema inizia quando applichiamo quel tipo di ragionamento ai conflitti più complessi della vita e presumiamo – o ci fanno credere – che abbiamo solo due opzioni e che dobbiamo decidere tra queste, anche se sono pessime o insoddisfacenti.

Una condanna permanente all’insoddisfazione e alla frustrazione

Nei dilemmi della coperta corta le due possibilità che abbiamo sono imposte; cioè, di solito derivano da limitazioni esterne. Il mondo ci pone degli ostacoli e ci presenta due soluzioni insoddisfacenti. Nessuna delle alternative è il risultato di una profonda riflessione, ma piuttosto di una limitazione. Pertanto, qualunque sia la soluzione che scegliamo, diventerà fonte di frustrazione.

Poiché nessuna delle due opzioni soddisfa davvero il bisogno di fondo, è comprensibile che la frustrazione continui a crescere. Limitarci a scegliere l’opzione meno negativa non ci lascia un buon sapore in bocca. Piuttosto, ci farà guardare continuamente indietro per riconsiderare i nostri passi.

Per questo motivo, molti problemi della coperta corta tendono a generare dubbi e rimpianti. Ci chiediamo cosa sarebbe successo se avessimo scelto l’altra possibilità. Saremmo stati altrettanto infelici? Quando questi dubbi si estendono agli aspetti importanti della nostra vita, è difficile che ci sentiamo soddisfatti e in pace con le nostre decisioni.

Il pensiero intrappolato nel circolo vizioso della dualità

Una delle principali trappole che ci tendono i dilemmi della coperta corta è rinchiudere il nostro pensiero in uno schema  in cui ci sono solo due soluzioni. Diventano un limite che ci impedisce di contemplare qualsiasi soluzione che vada oltre gli stretti limiti stabiliti.

Infatti, esporre i dilemmi della coperta corta è una strategia di manipolazione sociale abbastanza comune. È normale che ci vengano date solo due soluzioni tra cui scegliere. Destra o sinistra? Salute o economia? Sviluppo o minore contaminazione?

Il problema è che consumiamo così tante risorse cognitive per valutare i pro ei contro delle due soluzioni predeterminate che dimentichiamo di guardare oltre per trovare un percorso alternativo. Forse l’alternativa che troveremmo non sarebbe ideale, ma almeno potrebbe essere più pratica o soddisfacente delle due possibilità iniziali.

Altre volte siamo noi che creiamo e cadiamo in questo falso dilemma. A volte siamo così presi dal problema o accecati dalle emozioni che non siamo in grado di vedere oltre le possibilità evidenti. Questi tipi di situazioni possono indurci a considerare false dicotomie. Potremmo pensare, ad esempio, che possiamo solo decidere tra mantenere una relazione insoddisfacente o lasciarci e restare soli per sempre.

Quando le emozioni prendono il sopravvento, non pensiamo chiaramente e tendiamo a cercare soluzioni estreme e opposte. In pratica, i dilemmi della coperta corta rinchiudono il nostro pensiero in una scatola molto piccola. Alimentano un modo di pensare dicotomico in termini di buono o cattivo, nero o bianco, positivo o negativo. Ciechi di fronte ad altre possibilità, non siamo in grado di esplorare soluzioni alternative, quindi scegliamo di seguire il copione che altri hanno scritto per noi o che ci siamo imposti.

Rompere gli schemi

“A volte siamo eccessivamente disposti a credere che il presente sia l’unico stato di cose possibile”,scriveva Marcel Proust. Per sfuggire all’effetto della coperta corta, dobbiamo smettere di pensare che ci siano solo due soluzioni.

Invece è molto più costruttivo dirci che, finora, abbiamo visto solo le due soluzioni più ovvie o le due alternative che qualcuno ci ha proposto, ma ciò non significa che non ci siano altre strade da esplorare.

Per risolvere il problema della coperta corta dobbiamo cambiare il nostro approccio. Forse non siamo in grado di allungare la coperta, ma possiamo assumere una posizione fetale per coprirci meglio. Possiamo anche usare una seconda coperta. Oppure indossare dei calzini più spessi.

La chiave è essere consapevoli che il nostro problema può essere la lunghezza della coperta, ma il bisogno da soddisfare è proteggerci dal freddo. Cambiando l’obiettivo su cui concentrarci, usciamo dalla dicotomia apparentemente insormontabile per trovare una soluzione più soddisfacente al vero bisogno di fondo.

A volte dobbiamo solo guardare oltre il problema o conflitto. Quando ci concentriamo sul bisogno, senza risposte predeterminate – o superandole – possiamo scoprire una gamma più ampia di soluzioni che possono essere più soddisfacenti e appropriate alle nostre circostanze.


Dal Sito: angolopsicologia.com 

Dolore emotivo: Ciò che non ti uccide ti rende più forte 




“Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati”disse Ernest Hemingway. Sfortunatamente, ci sono persone che non si riprendono mai dai colpi che la vita dà loro, non sono in grado di permettere che le loro ferite guariscano, e queste terminano condizionando sia il loro presente che il loro futuro.

Il dolore emotivo può diventare molto più resistente e intenso del dolore fisico. Purtroppo, ci hanno educato a evitare il dolore, invece che affrontarlo e usarlo come trampolino di lancio per la crescita. Pertanto, non è strano che quando affrontiamo situazioni che ci causano sofferenza, attiviamo delle strategie che ci fanno sentire ancora peggio e ritardano la guarigione emotiva.

10 modi dannosi di affrontare il dolore emotivo

Il dolore emotivo genera di solito risposte diverse. Se non abbiamo sviluppato le nostre risorse psicologiche di coping, è probabile che agiremo automaticamente, ripetendo comportamenti che abbiamo imparato dai nostri genitori o da chi abbiamo vicino. In questi casi, è molto facile cadere in un ciclo di negatività in cui non troviamo l’uscita.

1. Fuga. Si traduce nel tentativo di allontanarsi con ogni mezzo dall’evento doloroso, dalla situazione che ci sta causando sofferenza. Ma dal momento che il dolore emotivo ha una grande componente soggettiva, non c’è posto al mondo in cui possiamo scappare da noi stessi, quindi questa strategia di evitamento di solito non è molto efficace.

2. Repressione. È un meccanismo di difesa che attiviamo quando crediamo di non essere in grado di affrontare il dolore emotivo. Consiste nel cercare di dimenticare gli eventi, in modo tale che non causino sofferenza. Il problema, ancora una volta, è che non possiamo semplicemente dimenticare perché quei contenuti rimarranno attivi, dal momento che non li abbiamo elaborati come parte della nostra narrativa di vita.

3. Negazione. Abbiamo scelto di ignorare la sofferenza, agendo come se non esistesse. Ogni volta che sentiamo una fitta di dolore diciamo a noi stessi che non sta succedendo nulla, che tutto sta andando bene. Ovviamente, negare la realtà non la farà scomparire.

4. Proiezione. In questo caso il dolore emotivo viene proiettato sugli altri. Quando mettiamo in azione questo meccanismo ci diciamo che noi stiamo bene, che sono gli altri a soffrire. Crediamo che non riconoscendo la sofferenza, questa scomparirà come per magia.

5. Regressione. Quando il dolore emotivo è molto forte, a volte ci rifugiamo in periodi precedenti della nostra vita, in cui ci sentiamo molto più a nostro agio e al sicuro. La nostalgia, e il bisogno di guardare indietro per sentirsi bene, indicano spesso che stiamo vivendo un presente che non ci piace. Tuttavia, per superare qualsiasi tipo di dolore emotivo è essenziale guardare avanti, non rimanere bloccati nel passato.

6. Isolamento. Più profonda è la ferita, più privato è il dolore. A volte non troviamo un modo per esprimere quella sofferenza, così finiamo per isolarci, viverlo in privato e permettergli di consumarci. Il problema è che l’isolamento genera solitudine e la solitudine innesca la depressione, introducendoci in un circolo vizioso che alimenta la sofferenza.

7. Razionalizzazione. Se crediamo di essere una persona profondamente razionale, che non può essere influenzata dalle emozioni, rifiuteremo il dolore emotivo e cercheremo delle cause razionali che possano confortarci. Il problema è che spesso questo processo porta all’autocolpevolizzazione, che genera problemi ancor maggiori a livello emotivo.

8. Spostamento. In questo caso cercheremo di trovare un colpevole fuori di noi, a cui possiamo attribuire la responsabilità del nostro dolore. Ma la verità è che la ricerca del capro espiatorio ci impedisce di assumere la nostra parte di responsabilità e imparare dall’esperienza. Pertanto, quel dolore sarà stato inutile.

9. Sostituzione. In questo caso, la strategia che scegliamo per affrontare il dolore emotivo è sostituire i pensieri che ci feriscono con altri, per evitare la sofferenza. All’inizio, non ci sarebbe nulla di sbagliato in questo, il problema si presenta quando la sostituzione dei pensieri viene fatta con l’obiettivo di negare l’evento o quando usiamo affermazioni ingenue come “stai molto bene, non succede assolutamente nulla”.

10. Ripetizione. È una delle peggiori strategie che possiamo usare per affrontare il dolore emotivo perché consiste nel ripassare, più e più volte, l’accaduto. La nostra mente si trasforma in un cinema in cui proiettiamo continuamente i fatti, cercando di ricostruire anche il più piccolo dettaglio nel tentativo di trovare consolazione o una spiegazione. Ovviamente, questa strategia non fa che alimentare il problema.

3 passi per superare il dolore emotivo

1. Il dolore non è tuo amico, ma neppure il tuo nemico

Il dolore è dentro di noi, non possiamo sfuggirgli, anche se è vero che in alcuni casi è conveniente allontanarsi dalla fonte che lo causa. Ma è sempre necessario fare un profondo lavoro interiore.

Negare il dolore non è il modo migliore per affrontare la sofferenza. Il dolore emotivo è un sintomo, il segno che qualcosa non va e dobbiamo “ripararlo”. Pertanto, il primo passo per superarlo è accettarne l’esistenza e imparare a conviverci finché poco a poco scomparirà.

Quando soffriamo un’esperienza traumatica le tracce dolorose rimangono impresse nel nostro cervello. I neuroscienziati dell’Università di Harvard chiesero a delle persone che avevano subito un trauma di ascoltare una descrizione dell’accaduto, nel frattempo veniva scannerizzato il loro cervello. Scoprirono così che quando le persone non erano in grado di voltare pagina, si attivavano soprattutto l’amigdala, il nucleo della paura e la corteccia visiva, il che significa che stavano rivivendo questi eventi in modo particolarmente intenso.

Al contrario, nelle persone che erano riuscite a superare il trauma, si attivò l’area di Broca, responsabile del linguaggio. Ciò significa che queste persone trasformarono l’evento doloroso in un’esperienza narrativa che incorporarono nella loro storia di vita, così da riuscire ad alleggerirlo, almeno in parte, del suo impatto emotivo.

All’inizio, l’idea è quella di prendere atto del dolore, come potremmo prendere atto del resto delle cose che ci circondano, ma cercando di non drammatizzare ancora di più. Per esempio: “provo dolore, ne sono consapevole ed è una risposta normale che svanirà con il passare dei giorni”. Certo, non si tratta di accettare solo quel dolore, ma anche tutti i sentimenti che porta con sé, dalla rabbia alla frustrazione.

2. Accettazione radicale: a mali estremi, rimedi estremi

Lo psicologo William James scrisse: “accettare ciò che è accaduto è il primo passo per superare le conseguenze di qualsiasi disgrazia”. Se continuiamo a rimuginare sull’accaduto, non potremo mai voltare pagina.

Tara Brach ci propone di praticare l’accettazione radicale, che consiste in “riconoscere chiaramente ciò che proviamo nel presente così da poter affrontare quell’esperienza con compassione”. Questo significa accettare tutto ciò che ci accade nella vita senza opporre resistenza. Non significa rassegnarsi, ma assumere che certe cose sono successe e non possiamo cambiarle, invece di emettere continuamente giudizi di valore che ci immergono in un ciclo di negatività, come ad esempio: “non doveva andare cos씓non è giusto” o “perché proprio a me?”

Quando accettiamo un evento, per quanto doloroso, riusciamo a capire che questo evento fa parte del passato e che ciò che condiziona il nostro presente sono i pensieri e le emozioni che stiamo alimentando. Certo, non è facile, l’accettazione non arriva in un colpo solo, è un processo che richiede un arduo lavoro psicologico.

Mentre accetti che l’accaduto appartiene al passato, il tuo cervello lo elaborerà finché non riuscirai a “sconnetterlo” dal tuo presente. Quando accetti che non puoi cambiare quello che è successo, il cervello smetterà di cercare soluzioni, il che significa che smetterai di rimuginare e rivivere l’esperienza dolorosa nella tua mente.

3. Ricomporre i pezzi rotti che il dolore lascia dietro di sé

L’avversità colpisce tutti, siamo noi che dobbiamo imparare non solo a sopravvivere, ma anche ad uscire rafforzati dall’esperienza. Essere dei sopravvissuti che trascinano con sé il dolore emotivo può diventare un vero incubo.

Ci sono persone che hanno la capacità innata di ricomporre i pezzi rotti, sono persone resilienti che dispongono di risorse straordinarie per il recupero emotivo. Altri devono sviluppare quelle abilità. Secondo lo psicologo Guy Winch, “la perdita e il trauma possono fare a pezzi la nostra vita, devastare le nostre relazioni e sovvertire la nostra stessa identità”, ma è necessario ricomporre quei pezzi.

In realtà, le esperienze traumatiche che lasciano dietro di sé una grande sofferenza sono così dolorose, tra le altre ragioni, perché fanno a pezzi le nostre convinzioni rispetto al mondo, facendoci notare che non è un posto così sicuro come pensavamo. Questa scoperta può essere piuttosto destabilizzante, perché non si tratta solo di riprendersi dal colpo subito, ma ci rende consapevoli che la vita può infliggerci colpi ancor più dolorosi.

Per curare la ferita abbiamo bisogno di tempo e di un profondo lavoro introspettivo. Infatti, molto spesso non si tratta di rimettere i pezzi rotti al loro posto, come faremmo con un vaso rotto, ma trovare nuovi modi di far combaciare quei pezzi. Questo significa che potresti trovare un nuovo significato della vita, capire in che modo questa esperienza ti ha reso più forte o addirittura sentirti incoraggiato a intraprendere nuovi progetti. Se usi il dolore come un’opportunità per crescere, invece di vederlo solo come una fastidiosa pietra sul tuo cammino, non sarà stato invano.


Dal Sito: angolopsicologia.com 


lunedì 25 marzo 2019

Dolore emotivo: il più difficile da curare

Il dolore emotivo è la ferita che nessuno vede e la più difficile da curare. Tutti noi ne abbiamo una, o forse più di una. Tuttavia, lungi dal doverlo considerare una sconfitta o simbolo di debolezza, dobbiamo imparare a riconoscerlo come parte della nostra essenza.


Durante il nostro ciclo vitale, abbiamo sperimentato vittorie e sconfitte. Nessuno è immune alla sofferenza, ma solo pochi sono capaci di trasformarla in lezione: la resilienza.

Perché voi non siete le vostre sconfitte né le vostre perdite. Voi siete la persona che è riuscita a guardare in faccia le avversità, per affrontarle e andare avanti; anche se è qualcosa difficile da scoprire, perché il dolore emotivo fa sempre male, e ci ricorda sempre “dov’è la ferita”.

Il dolore emotivo che nessuno vede e che tutti nascondiamo

Potremmo dire, senza sbagliarci, che in questa vita ci sono due tipi di persone:

  • Quelle che interiorizzano il loro dolore emotivo e lo gestiscono giorno dopo giorno con coraggio e superamento personale. Sono persone che non si lasciano abbattere e che conservano le loro cicatrici, sapendo che fanno parte della loro vita, e che hanno portato degli insegnamenti.
  • Le persone che hanno fatto del loro dolore emotivo il proprio rancore personale. Si lamentano così tanto da generare malessere nelle persone che le circondano. Hanno smesso di credere in se stesse e negli altri, e vedo ogni giorno con negatività.

Si dice spesso che chi non ha sofferto non sa ancora cos’è la vita. Tuttavia, non è necessario esagerare tanto. Ognuno di noi vive la vita che gli tocca e dobbiamo prenderci ciò che il destino ci offre.

Il dolore emotivo è sempre quella ferita interna che, se non viene gestita in modo adeguato, può trasformarsi in malattia. Vale a dire che, quando un problema emotivo non si supera, tutto il nostro organismo ne soffre le conseguenze, fino a sfociare in diversi problemi di salute. Ecco i più comuni

Emicranie

Cefalee

Problemi musco-scheletrici

Mal di pancia

Cattiva digestione

Insonnia

Ansia

Vertigini

Nausea

Tutti, in qualche modo, abbiamo avuto momenti difficili, in cui la sofferenza è passata dai pensieri e dal mondo emotivo al nostro fragile involucro fisico.

È inevitabile, ma questo non significa che dobbiamo arrenderci a questo malessere emotivo. La vita continua il suo corso e ci meritiamo di continuare a respirare, ad entusiasmarci e a sperare. Vi spieghiamo come fare.

Come gestire giorno dopo giorno il dolore emotivo

Avete il diritto di piangere e di arrabbiarvi

Siete persone, e come tali, avete bisogno di canalizzare le vostre emozioni. Non seguite mai i consigli di chi vi dice: non piangere, guarda avanti e dimentica tutto, come se non fosse successo niente.

Da quando bisogna ignorare quello che ci fa male? Non fatelo mai. Guardate il vostro nemico dritto in faccia, capitelo e scoprite perché vi ha ferito. Per concludere una fase, avete bisogno di capire, di comprendere, e non di fuggire.

Piangere è necessario, igenico e salutare, così come provare rabbia o arrabbiarsi. È quello che viene denominato sfogo emotivo, e come tale dev’essere vissuto, durante un breve periodo di tempo. Chi non si sfoga, non si “scarica”, e questo, a lungo andare, ha delle conseguenze.

Lo sfogo emotivo dev’essere puntuale e non durare più di due settimane. Nel caso vi troviate a piangere per un mese e a farvi trasportare dalle emozioni negative, correrete il rischio di cadere in depressione.

Avete il diritto di essere la vostra priorità

Non solo dovete essere la vostra priorità, ma è anche un vostro dovere permettervi quello che volete e quello di cui avete bisogno.  

  • Avete bisogno di tempo? Prendetevi una settimana per voi stessi.
  • Volete sentirvi utili? Prendete delle decisioni e ponetevi nuovi obbiettivi, per ricominciare ad entusiasmarvi.
  • Avete bisogno di essere felici? È possibile che ci siano cose della vostra quotidianità che dovete lasciarvi alle spalle. È il momento di riflettere e di prendere delle decisioni.

Basta con il “ritrovare se stessi”. Adesso dovete “reinventarvi”

Passiamo gran parte della nostra vita dando la priorità alla “ricerca di noi stessi”. Adesso che avete già fatto le vostre esperienze, che avete ottenuto degli insegnamenti e che avete vissuto il dolore emotivo nelle sue svariate forme, è giunto il momento di “reinventarvi”. 

  • Sapete come siete. Ora pensate a come vorreste essere: Più coraggiosi? Più sicuri? Persone capaci di realizzare i propri sogni?
  • Per reinventarvi, avete bisogno di alimentare nuove speranze e ambizioni. Non è mai troppo tardi per cambiare, per prendere di nuovo quel treno che un giorno avete lasciato passare.
  • Circondatevi di persone che favoriscano la vostra crescita personale, che vi aiutino e che non mettano dei muri tra la vostra identità e la vostra autostima.

Il dolore emotivo si supera con nuove ambizioni, nuovi respiri e nuove speranze. Sono ferite interne che si cicatrizzano poco a poco, e che ogni giorno faranno meno male.

(Vivere più sani)

Dal Sito: lamiatempestaperfetta.it