giovedì 9 aprile 2015

Nuova ipotesi sugli attacchi di panico A provocarli potrebbe essere una forma di paura di aver paura

Palpitazioni o vertigini, percepite come catastrofiche, causano ansia, che a sua volta le amplifica. E ciò non fa che aumentare i timori.

Una strana forma di paura della paura potrebbe essere alla base dei tanto temuti attacchi di panico. È l’ipotesi avanzata da un modello cognitivo di questo disturbo che frequentemente inizia a presentarsi già nell’adolescenza e che colpisce soprattutto le donne, ma che non risparmia neppure gli uomini. All’attacco di panico spesso si associa la cosiddetta agorafobia, la specifica paura di trovarsi in luoghi nei quali può essere difficile o imbarazzante ricevere soccorso.
Secondo questo modello, alla base dell’insorgenza degli attacchi di panico ci sarebbe un’interpretazione erronea, di carattere catastrofico, di sensazioni di per sé normali e trascurabili provenienti dal corpo o dalla stessa mente. Interpretazione catastrofica vuol dire attribuire un esagerato significato negativo e patologico a sensazioni che magari un’altra persona quasi neppure noterebbe. «Le sensazioni che vengono più frequentemente mal interpretate sono soprattutto quelle collegate alle normali risposte ansiose - dicono alcuni ricercatori guidati da Myriam Rudaz, del Department of psychology dell’University of California di Los Angeles, autori di un articolo pubblicato sulla rivista Depression and Anxiety , dedicato proprio alla paura della paura -. Ad esempio, si tratta di palpitazioni o di vertigini, ma includono anche altre sensazioni fisiche o mentali, come la percezione di corpuscoli nel campo visivo o sensazioni di vuoto mentale. L’ipotesi è che, quando queste sensazioni sono percepite come catastrofiche, l’ansia che ne deriva produce un aumento delle stesse sensazioni. Ne risulta così un circolo vizioso di sensazioni, risposte ansiose e pensieri catastrofici che alla fine sfociano nell’attacco di panico». Quindi, secondo tale ipotesi, a provocare l’attacco di panico sarebbe, pur senza rendersene conto, la stessa persona che ne soffre.
Gli studi
Questo modello cognitivo della genesi degli attacchi di panico è più di una semplice ipotesi. Diversi studi hanno dimostrato che chi soffre di attacchi di panico ha davvero la tendenza a dare interpretazioni catastrofiche di innocui segnali provenienti dal suo interno. Un tratto che, pur con sfumature diverse, si trova più in generale in chi soffre di disturbi d’ansia, anche se in questo ultimo caso le interpretazioni catastrofiche tendono a coinvolgere principalmente i segnali provenienti dal mondo esterno. Sottoposte a questionari per la rilevazione della paura di segnali interni, come il Body sensation questionnaire, le persone che soffrono di attacchi di panico fanno registrare punteggi più elevati sia rispetto a chi soffre di disturbi d’ansia, sia nei confronti della popolazione generale.
Il legame con l’ipocondria
Un interessante legame esiste anche tra gli attacchi di panico e l’ipocondria, la paura delle malattie in generale, oggi ridefinita all’interno del DSM-5, l’ultima versione del manuale diagnostico e statistico dell’American Psychiatric Association. In questa nuova versione l’ipocondria non è più considerata in quanto tale, ma è stata sostituita da due diversi disturbi: il disturbo da sintomi somatici e quello da ansia di malattia. Il primo è caratterizzato da un elevato livello di ansia per la salute alla quale si associano sintomi somatici percepiti dalla persona; il secondo è costituito essenzialmente dalla sola ansia per la propria salute. Alcune ricerche hanno chiarito come in quasi la metà delle persone che soffrono di attacchi di panico con o senza agorafobia, prima che questi si manifestassero, erano già presenti altri sintomi correlabili alla fobia delle malattie.

Danilo Di Diodoro

Corriere della Sera 

 

 

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