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giovedì 22 febbraio 2018

Disturbo Borderline di Personalità



Che cos’e’ il disturbo Borderline

Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo di personalità caratterizzato da repentini cambiamenti di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri, marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri. Questi elementi si rinforzano reciprocamente, generando notevole sofferenza e comportamenti problematici. Ne consegue che le persone con questo disturbo, pur essendo dotate di molte risorse personali e sociali, realizzano con difficoltà e a fatica i propri obiettivi.
Tra i disturbi di personalità, il disturbo borderline è quello che giunge più comunemente all’osservazione clinica. Colpisce il 2% della popolazione, più frequentemente il sesso femminile. L’esordio avviene in adolescenza o nella prima età adulta.
Come si manifesta

Tra le caratteristiche principali di chi presenta il disturbo borderline figura l’instabilità emotiva, che si manifesta con marcati e repentini cambiamenti dell’umore: queste persone possono oscillare rapidamente, ad esempio, tra la serenità e la forte tristezza, tra l’intensa rabbia e il senso di colpa. A volte emozioni contrastanti sono presenti contemporaneamente, tanto da creare caos nel soggetto e nelle persone a lui vicine.
Queste “tempeste emotive” si scatenano soprattutto in risposta ad eventi relazionali spiacevoli, come, ad esempio, un rifiuto, una critica o una semplice disattenzione da parte degli altri. La reazione emotiva di chi ha questo disturbo è molto più immediata, marcata e duratura rispetto a quella delle altre persone (vulnerabilità emotiva), per cui gestire le proprie emozioni diventa più difficile (disregolazione emotiva).
Nel tentativo di controllare i propri picchi emotivi, le persone con disturbo borderline di personalità ricorrono all’azione impulsivamente, agiscono senza riflettere. L’impulsività si può esprimere con esplosioni di rabbia, litigi violenti fino alla rissa, abuso di sostanze, abbuffate di cibo, gioco d’azzardo, promiscuità sessuale, spese sconsiderate. Possono anche manifestarsi, a volte anche in modo ricorrente, atti autolesivi (es. procurarsi dei tagli sul corpo con delle lamette o delle bruciature con dei mozziconi di sigaretta, ingerire dosi eccessive di psicofarmaci) o tentativi di suicidio.
Un’altra caratteristica importante di chi ha questo disturbo è la difficoltà a riflettere sulle proprie esperienze, sui propri stati d’animo e sui propri rapporti interpersonali in modo coerente e lineare. Le conversazioni di queste persone appaiono in genere ricche di episodi, scene e personaggi, ma prive di un filo conduttore evidente. In altri casi, invece, sembra che stiano raccontando “tutto ed il contrario di tutto”: il loro punto di vista su sé stessi o sulle altre persone risulta contraddittorio.
I soggetti con disturbo borderline presentano, inoltre, relazioni con gli altri tumultuose, intense e coinvolgenti, ma ancora una volta estremamente instabili e caotiche. Non hanno vie di mezzo, sono per il “tutto o nulla”, per cui oscillano rapidamente tra l’idealizzazione dell’altro e la sua svalutazione (es. possono dividere il genere umano in “totalmente buoni” e “totalmente cattivi”). I rapporti iniziano generalmente con l’idea che l’altro, il partner o un amico, sia perfetto, completamente e costantemente protettivo, affidabile, disponibile, buono. Ma è sufficiente un errore, una critica o una disattenzione, che l’altro venga catalogato repentinamente nel modo opposto: minaccioso, ingannevole, disonesto, malevolo. In molti casi le due immagini dell’altro, quella “buona” e quella “cattiva,” sono presenti contemporaneamente nella mente del soggetto borderline, generando ulteriore caos.
Tutte queste difficoltà incidono drammaticamente sulla stima di sé, per cui i soggetti con questo disturbo si percepiscono, contemporaneamente, sbagliati e fragili. Espressioni come “Non valgo niente!”, “Sono un bluff!”, “Sono inconsistente!”, “Sono orribile!” compaiono frequentemente nei loro pensieri. Trascorrono la maggior parte del tempo a cercare di correggere questi presunti difetti, trattandosi con severità e pretendendo da se stessi cambiamenti impossibili: è una battaglia già persa in partenza, che conferma la loro iniziale percezione di essere sbagliati.
In questo contesto, a volte l’altro è sentito come giudicante e come se fosse un nemico da cui difendersi. In questi momenti queste persone si sentono fragili, facilmente feribili ed esposte, senza possibilità di difesa e di aiuto, ad un mondo potenzialmente minaccioso e pericoloso. Soprattutto in situazioni di stress, questi soggetti possono presentare degli episodi di ideazione paranoide durante i quali pensano che gli altri abbiano intenzioni malevole e ostili verso di loro. In altri casi, invece, rispondono allo stress con delle crisi dissociative durante le quali perdono transitoriamente le capacità critiche ed il senso di sé. In questi casi, l’emozione dominante è la paura, a cui spesso si associa una sensazione di assoluta solitudine e di totale abbandono da parte degli altri.
A volte riescono a sottrarsi alle forti pressioni cui sono sottoposti distaccandosi da tutto e da tutti: entrano in uno stato di vuoto nel quale avvertono una penosa mancanza di scopi. Si tratta di una condizione pericolosa, in quanto in questi stati sono frequenti le tendenze all’azione, come le abbuffate di cibo, l’abuso di sostanze stupefacenti, gli atti autolesivi e i tentativi di suicidio.
Come capire se si soffre di disturbo borderline di personalità

In sintesi, i soggetti affetti dal disturbo borderline di personalità presentano disregolazione emotiva ed affettiva con improvvisi attacchi di rabbia, ansie intense ed episodiche, sentimenti di vuoto, instabilità nella percezione di sé e degli altri e comportamenti impulsivi.
Alcuni di questi sintomi si possono ritrovare anche in altre patologie, per cui, per ricevere una diagnosi seria ed accurata, è necessario rivolgersi a persone qualificate.
E’ possibile, comunque, fare delle precisazioni che possono aiutare a distinguere questa categoria diagnostica da altre ad essa assimilabili.
Il disturbo borderline di personalità ha delle caratteristiche in comune con i disturbi dell’umore, in particolare con il disturbo bipolare. Entrambi i disturbi, infatti, presentano degli stati intensi di euforia e di depressione. Il disturbo borderline, tuttavia, è caratterizzato da una disregolazione emotiva pervasiva e da oscillazioni dell’umore dipendenti dal contesto, in particolare dalle relazioni interpersonali. Nel disturbo bipolare, invece, le oscillazioni dell’umore si presentano in modo ciclico ed indipendente dal contesto. Una corretta diagnosi è ulteriormente complicata dal fatto che circa il 50% dei pazienti borderline manifesta anche un disturbo dell’umore (depressione e disturbo bipolare).
Il disturbo borderline di personalità, inoltre, può essere confuso con il disturbo dissociativo dell’identità, con cui ha in comune un senso di confusione riguardo alla propria identità e le rapide fluttuazioni tra tipi completamente diversi di umore e comportamenti. Nel disturbo borderline, tuttavia, le alterazioni dell’identità non si aggregano in distinte personalità con diversi nomi, età, preferenze, ricordi e amnesie per eventi passati, come avviene nel disturbo dissociativo dell’identità.
Bisogna anche differenziare il disturbo borderline di personalità da altri disturbi di personalità con caratteristiche simili, in particolare il disturbo dipendente di personalità e il disturbo istrionico di personalità, con i quali ha in comune il timore dell’abbandono da parte delle persone significative, il senso di vuoto e l’idea di essere sbagliato. Un’ultima distinzione va fatta tra il disturbo borderline e la schizofrenia. I due disturbi hanno in comune alcuni sintomi psicotici, ma nel disturbo borderline questi risultano temporanei e dipendenti dallo stato del paziente o dal contesto. I soggetti borderline, infine, hanno un funzionamento personale e sociale maggiore rispetto alle persone affette da schizofrenia.
Cause

La letteratura è concorde nell’indicare come fattori di rischio del disturbo borderline di personalità due aspetti che interagirebbero tra loro potenziandosi reciprocamente:
un’infanzia trascorsa in un ambiente invalidante, cioè un contesto in cui il soggetto può essere stato esposto a svalutazione dei propri stati mentali (pensieri, emozioni e sensazioni fisiche), interazioni caotiche ed inappropriate, espressioni emotive intense, carenze di cure, maltrattamenti e abusi sessuali;
fattori genetico-temperamentali, che predisporrebbero il soggetto allo sviluppo della disregolazione emotiva.
Conseguenze

Tra le conseguenze principali di questo disturbo figurano l’instabilità nei rapporti interpersonali, lo scarso rendimento lavorativo nonostante le capacità del soggetto, l’abuso di alcool e di droghe e, in casi estremi, il ricorso ad atti autolesivi e suicidari.
Differenti tipi di trattamento

Il disturbo borderline di personalità è tra i disturbi più studiati. Il trattamento raccomandato dagli esperti per la cura di questo disturbo è la psicoterapia, eventualmente affiancata dalla farmacoterapia. Orientamenti terapeutici diversi hanno realizzato diversi tipi di terapie per la cura specifica del disturbo borderline. Attualmente risultano maggiormente efficaci i trattamenti che includono terapie diverse e intensive.
La terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan è un trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato. Secondo la Linehan, la principale difficoltà di chi ha il disturbo borderline è quella di gestire le proprie intense emozioni (disregolazione emotiva). Obiettivi peculiari di questa terapia sono la riduzione dei comportamenti suicidari e dei comportamenti che interferiscono sia con la terapia, che con la qualità della vita del paziente. Questi obiettivi, unitamente alle modalità di cura e alle regole da rispettare, vengono definiti da terapeuta e paziente in uno speciale accordo (contratto terapeutico). Il trattamento della Linehan prevede due ore a settimana di terapia individuale e due o tre ore a settimana di incontri di gruppo (gruppi di skills training e di mindfulness). Negli incontri di gruppo vengono potenziate quelle abilità in cui il paziente risulta carente, in particolare la regolazione delle sue intense emozioni negative. Tale trattamento sembra essere particolarmente indicato per le persone che presentano atti autolesivi e suicidari.
La schema-focused therapy (SFT) di Jeffrey Young è un trattamento che integra l’approccio cognitivo-comportamentale con approcci basati sulle relazioni oggettuali e sulla Gestalt.
Secondo quest’approccio, nel paziente borderline sarebbero attivi degli schemi disadattavi precoci e delle strategie di padroneggiamento delle difficoltà che darebbero origine ad altri specifici schemi (es. Bambino abbandonato, Bambino arrabbiato e impulsivo, Genitore punitivo). Questo tipo di terapia mira, in particolare, al cambiamento degli schemi disfunzionali, alla regolazione emotiva e allo sviluppo di relazioni sane per il paziente.
La terapia centrata sul transfert (TFP) di Clarkin, Yeomans e Kernberg è una terapia di stampo psicoanalitico. Il suo obiettivo principale è quello di aiutare il paziente a riconoscere, a partire dalla relazione col terapeuta, le rappresentazioni di Sé e dell’altro non integrate (es. dire della stessa persona, a distanza di pochi minuti: “E’ la persona più buona della Terra!” e “E’proprio un infame!”) e a integrarle (es. “E’ una persona disponibile, anche se stavolta mi ha risposto male”). Il contratto tra terapeuta e paziente impegna quest’ultimo a ricorrere anche ad ulteriori risorse terapeutiche (es. terapia farmacologica, periodi di ricovero) nel caso in cui manifestasse comportamenti che minacciano la sua salute e il prosieguo della terapia. Questo trattamento è strutturato in due sedute di terapia individuale a settimana, per la durata di circa due anni.
Il trattamento basato sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy, di derivazione psicodinamica, è stato applicato finora solo su pazienti in strutture di semiricovero (day hospital). Secondo gli autori, la difficoltà principale di chi soffre di disturbo bordeline è quella di mentalizzazione, che consiste nella capacità di rappresentarsi gli stati mentali propri e altrui, di spiegarsi il comportamento e di prevederlo. Questa terapia, dunque, è volta all’incremento della capacità di mentalizzazione dei pazienti. Il trattamento consiste in tre ore a settimana sia di terapia individuale, che di terapia di gruppo analitica e in un’ora a settimana di terapia espressiva e psicodramma. A questi incontri vanno aggiunti quelli per il controllo della terapia farmacologia e quelli mensili con il gestore del caso.
Altre terapie per la cura del disturbo borderline, con prove di efficacia inferiori rispetto alle terapie già menzionate, sono la terapia cognitiva per i disturbi di personalità di Beck e Freeman e la terapia cognitivo-analitica di Ryle.
La terapia cognitiva per i disturbi di personalità (CTPD) di Beck e Freeman è un trattamento cognitivo-comportamentale che si focalizza sul riconoscimento e sulla messa in discussione delle credenze disfunzionali su di Sé, sugli altri e sul mondo. Queste credenze sarebbero generate da distorsioni della realtà (distorsioni cognitive) e costituirebbero gli schemi cognitivi (strutture cognitive di base che permettono di organizzare l’esperienza ed il comportamento). Nel trattamento del disturbo borderline di personalità, il paziente viene aiutato ad individuare e modificare, in particolare, una distorsione cognitiva (pensiero dicotomico) in base alla quale classifica le esperienze solo in due categorie che si escludono a vicenda (es. buono/cattivo). Questo tipo di trattamento dura circa un anno e prevede sedute a cadenza settimanale.
La terapia cognitivo-analitica di Ryle è un trattamento che integra l’orientamento cognitivo con quello psicoanalitico. Si basa sulla ricostruzione e sul padroneggiamento delle immagini di sé e dell’altro e delle loro transizioni. Questo protocollo risulta indicato per quei pazienti le cui difficoltà principali riguardano il disturbo dell’identità e delle relazioni, piuttosto che i disturbi del comportamento. Si tratta di un trattamento breve (24 sedute e 4 incontri di follow-up) e altamente strutturato.
La terapia farmacologica attualmente viene utilizzata come supporto alla psicoterapia, per il trattamento dei sintomi del paziente. La sintomatologia di questi pazienti può essere suddivisa in tre grandi aree. Nella prima e nella seconda area vengono incluse rispettivamente le difficoltà di regolazione delle proprie emozioni e dell’impulsività, sintomi che sembrano rispondere molto bene agli antidepressivi di nuova generazione. Nel caso di rabbia molto intensa o di comportamenti a rischio, si ricorre anche a basse dosi di neurolettici atipici. Quando il trattamento con gli antidepressivi risulta insufficiente, si possono utilizzare gli stabilizzatori dell’umore. Nella terza area sintomatologica sono incluse idee persecutorie, idee suicidarie e sintomi dissociativi, per i quali si usano bassi dosaggi di neurolettici, da aumentare se la risposta è insufficiente. Nei casi in cui l’incolumità del soggetto è gravemente a rischio, si può ricorrere ad un ricovero ospedaliero. A questo proposito vanno distinte due situazioni estreme: i tentativi reiterati di suicidio e l’ideazione suicidaria conseguente ad un evento negativo o ad una fase depressiva acuta. Nella prima situazione, generalmente si raccomanda il ricovero in centri specializzati, dove il soggetto riceve, per periodi anche di qualche mese, cure psicoterapeutiche specifiche per le condotte suicidarie. Nel secondo caso è indicato un ricovero generalmente breve in ospedale o in clinica psichiatrica finalizzato ad un adeguato e controllato trattamento psicofarmacologico.

Il trattamento cognitivo-comportamentale

Nell’ambito della terapia cognitiva sono stati realizzati diversi programmi di trattamento per i disturbi di personalità.
Presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva è stato messo a punto un modello di trattamento denominato metacognitivo-interpersonale per diversi disturbi di personalità, tra cui quello borderline. Il trattamento è strutturato essenzialmente in una psicoterapia individuale, in genere a cadenza settimanale. Obiettivi finali della terapia sono la riduzione della sofferenza e il miglioramento della qualità di vita del paziente, in accordo con le sue esigenze e priorità e tenendo conto delle sue difficoltà.
Il processo terapeutico comprende i seguenti passaggi, applicati con flessibilità:
la creazione, fin dalle prime sedute, di una buona alleanza tra paziente e terapeuta, realizzata evitando il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche (cicli interpersonali disfunzionali) e ricorrendo ad un accordo sugli obiettivi del lavoro. Dal momento che chi ha il disturbo borderline di personalità è capace di instaurare, nonostante le sue difficoltà, relazioni intense e significative, il terapeuta lo aiuta ad utilizzare questa sua risorsa per creare, a partire proprio dalla relazione terapeutica, rapporti nei quali possa sperimentare un senso di accettazione di sé, di aiuto e di protezione;
l’intervento diretto sulle disfunzioni metacognitive tipiche di questo disturbo. Il terapeuta aiuta il paziente a focalizzare la sua attenzione sulle sue difficoltà metacognitive: ne spiega la natura, le caratteristiche e le strategie per affrontarle; lo incoraggia, inoltre, ad osservare il problema al di fuori della seduta e ad applicare le strategie individuate in seduta;
l’intervento diretto sugli stati mentali problematici, che comprende l’identificazione degli stati d’animo problematici del paziente durante la seduta, la ricostruzione dei fattori di rischio per la comparsa delle crisi ed i compiti di auto-osservazione degli stati d’animo fuori della seduta;
l’aiuto per ricordare i contenuti delle sedute. Questo intervento risulta necessario in quanto i pazienti borderline possono manifestare degli stati dissociativi e non ricordare ciò che avviene in seduta. Una tecnica semplice per aiutarli a rievocare i contenuti della terapia è il ricorso a promemoria compilati insieme al terapeuta.
Nelle situazioni in cui è a rischio l’incolumità stessa del soggetto (es. stati suicidari, atti automutilanti, abuso di sostanze, guida pericolosa), la sola terapia individuale può non essere sufficiente e viene applicato un trattamento integrato, in cui la terapia individuale metacognitivo-interpersonale è affiancata da incontri con i familiari e/o incontri di gruppo (gruppi di skills training e di mindfulness) e/o dalla farmacoterapia. Questo tipo di trattamento prevede che le varie figure professionali lavorino in équipe.
Le funzioni degli interventi aggiuntivi sono molteplici. Incontrare i familiari, ad esempio, per spiegare loro cosa succede al loro congiunto e come funziona la terapia, può creare un contesto tranquillizzante attorno al paziente ed avere un effetto benefico sulla sintomatologia. Questo intervento rappresenta, inoltre, una preziosa risorsa nella gestione delle emergenze. Gli incontri di gruppo, invece, possono aiutare il soggetto a rinforzare la comprensione del disturbo, riconoscere e gestire i momenti di crisi, potenziare le abilità interpersonali, ridurre il caos nei rapporti con gli altri e incrementare l’accettazione degli stati di sofferenza.

Dal Sito: www.terzocentro.it

giovedì 11 maggio 2017

Disturbo bipolare e disturbo borderline: separati alla nascita?


Il disturbo bipolare e il disturbo borderline di personalità presentano somiglianze diagnostiche ma anche delle differenze e richiedono trattamenti diversi

Disturbo borderline e disturbo bipolare (bipolarismo): entrambi evidenziano caratteristiche comuni quali l’impulsività, l’umore instabile, la rabbia inadeguata, un elevato rischio suicidario e relazioni affettive instabili, tuttavia i pazienti con disturbo borderline di personalità tendono a mostrare una maggiore instabilità e impulsività e ostilità rispetto ai pazienti con bipolarismo. In secondo luogo, il disturbo borderline di personalità è più fortemente associato ad una storia di infanzia di abusi, anche rispetto ai gruppi di controllo che sembrano avere altri disturbi di personalità o depressione maggiore.
Fulvio Bedani, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI BOLZANO

Dal cervello, e dal cervello solo, sorgono i piaceri, le gioie, le risate e le facezie così come il dolore, il dispiacere, la sofferenza e le lacrime. Il cervello è anche la dimora della follia e del delirio, delle paure e dei terrori che ci assalgono di notte o di giorno.

– Ippocrate
Tra il V e il IV secolo a.C., con questa frase, Ippocrate forniva i presupposti della sua successiva trattazione riguardante i disturbi mentali, trattazione destinata a costituire nel corso dei secoli una solida base per la creazione delle attuali teorie cliniche. In tale ottica, molte delle descrizioni fenomenologiche e sintomatologiche redatte da Ippocrate trovano ancora una certa validità e conferma nei più aggiornati e riveduti criteri diagnostici moderni.
Tuttavia, nella realtà mutevole e dinamica delle “scienze della mente”, uno spazio importante e quanto mai discusso è rappresentato dalla necessità di una corretta definizione di disturbi che mostrano una sottile e non sempre netta linea di demarcazione; a tal proposito, tra le diatribe attualmente più in “auge”, spicca il confronto fra disturbo bipolare e disturbo di personalità borderline. Tale confronto viene continuamente dibattuto tra varie correnti di specialisti, come dimostra la sempre più estesa produzione scientifica.
Il problema della diagnosi
Sin dai tempi antichi, l’individuazione di una corretta diagnosi ha costituto il passo essenziale col quale iniziare il percorso terapeutico. Una diagnosi mancata, invertita, o genericamente errata, pone problematiche di non poca rilevanza, se si considerano le possibili conseguenze di un processo terapeutico inadeguato.
Nel caso specifico, una diagnosi errata tra disturbo bipolare e disturbo borderline può determinare una sequela di conseguenze di difficile gestione.
Ad esempio, quando un paziente bipolare viene diagnosticato come borderline (disturbo borderline di personalità), viene potenzialmente escluso dall’utilizzo di terapie farmacologiche efficaci. Dall’altro lato, attribuire una diagnosi di bipolarismo a un paziente con disturbo di personalità espone lo stesso al rischio di trattamenti che hanno una bassa valenza o possono essere fallimentari, piuttosto di un più adeguato trattamento psicologico. A queste problematiche vanno aggiunti anche il notevole impatto sociale e l’elevato rischio di stigmatizzazione della malattia.
Quali sono le basi su cui si crea questa difficoltà di riconoscimento diagnostico?
L’origine di tale frequente errore diagnostico risiede primariamente nel fatto che il disturbo di personalità borderline e il disturbo bipolare presentano una considerevole sovrapposizione sintomatologica.
Da un lato, il disturbo bipolare è considerato come una malattia del cervello, caratterizzata dalla fluttuazione del tono dell’umore, tra fasi “calde” e fasi “fredde”, ovvero mania/ipomania e depressione.
La prevalenza di tale disturbo si colloca all’incirca al 2% nella popolazione generale, con un’elevata percentuale di casi nei quali è possibile evidenziare una storia famigliare positiva per malattia, con trasmissione su base ereditaria.

Sintomo cardine del disturbo bipolare è la presenza di fasi di mania/ipomania, seguita da un successivo episodio depressivo. Sebbene i pochi studi clinici attuali non evidenzino una correlazione fra dimensioni della personalità e disturbo bipolare, è possibile evidenziare la presenza di disturbi di personalità concorrenti (soprattutto del cluster B) che possono influire negativamente sulla risposta al trattamento.
Sul lato opposto, il disturbo di personalità borderline è caratterizzato da un quadro duraturo e inflessibile di pensieri, sentimenti e comportamenti che ostacola la funzione psico-sociale o professionale di un individuo. La sua prevalenza stimata è di circa l’1%, anche se recenti stime ipotizzano il 6%. Nel caso del disturbo borderline di personalità, le influenze genetiche svolgono un ruolo eziologico minore rispetto al disturbo bipolare.

Entrambi i disturbi evidenziano caratteristiche comuni quali l’impulsività, l’umore instabile, la rabbia inadeguata, un elevato rischio suicidario e relazioni affettive instabili, tuttavia i pazienti con disturbo borderline di personalità tendono a mostrare una maggiore instabilità e impulsività e ostilità rispetto ai pazienti con disturbo bipolare.
In secondo luogo, il disturbo borderline di personalità è più fortemente associato ad una storia di infanzia di abusi, anche rispetto ai gruppi di controllo che sembrano avere altri disturbi di personalità o depressione maggiore.
Il rapporto maschio-femmina per il disturbo bipolare e il disturbo borderline di personalità è discretamente sovrapponibile, situandosi approssimativamente a 1:3 nel DB e a 1:4 nel disturbo borderline di personalità.
Sia disturbo bipolare che il disturbo borderline di personalità sono associati infatti ad un notevole rischio di suicidio o di tentativo suicidario nonché comportamenti autolesionistici.

Disturbo borderline di personalità e disturbo bipolare spesso coesistono

A contribuire al problema della diagnosi, concorre anche il fatto che DB e disturbo borderline di personalità possono coesistere nello stesso paziente: si stima, infatti, che circa il 20% dei pazienti con disturbo borderline abbia comorbidità per un disturbo bipolare e che nel 15% dei pazienti con disturbo bipolare sia coesistente un disturbo di personalità borderline. Tale concorrenza si verifica molto più spesso di quanto ci si aspetterebbe (15-20% dei casi), suggerendo alcune ipotesi. In primo luogo è possibile che la prevalenza stimata del bipolarismo nei soggetti con disturbo borderline di personalità sia troppo bassa o, viceversa, la prevalenza di disturbi borderline in pazienti con disturbo bipolare sia troppo alta. Secondariamente, è possibile che il disturbo bipolaresia meno comune di quanto realmente stimato nella popolazione.

Il bias diagnostico per bipolarismo e disturbo borderline

Trovandosi di fronte al paziente, lo specialista, sia esso un medico o uno psicologo, ricerca i sintomi della malattia. Nel caso dei disturbi in esame, la presenza di un disturbo bipolare o disturbo borderline di personalità può aumentare il rischio che una delle due malattie venga mal diagnosticata; questa condizione può verificarsi qualora nel paziente si manifestino sintomi comuni ad entrambi i disturbi. Il riconoscimento di tali sintomi come elementi “diagnostici” specifici di una precisa malattia inficia il percorso diagnostico. Ad esempio, una diagnosi di disturbo borderlinepotrebbe rappresentare un disturbo bipolare parzialmente trattato o resistente al trattamento.
Si assiste, inoltre, a un frequente “bias orientativo”.

Joel Paris, nel suo “Lo spettro bipolare – Diagnosi o moda?”, pone in esame come i clinici tendano a diagnosticare con maggiore probabilità il disturbo di cui sono maggiormente esperti. Lo stesso Paris evidenzia come, negli ultimi anni, vi sia stato un incremento del numero di diagnosi di bipolarità, correlando tale incremento ad un fattore “moda” dettato più dal momento storico e ideologico “bipolarista” che dalla realtà clinica effettiva. Senza entrare nel merito della correttezza o meno di tale affermazione, si evidenzia tuttavia una maggiore predisposizione dei clinici a porre più frequentemente diagnosi di disturbo bipolarerispetto a disturbo borderline di personalità. Le basi di tale “bias” potrebbero risiedere in numerosi fattori, verosimilmente da iscriversi al fatto che la ricerca scientifica degli ultimi decenni si è maggiormente concentrata sul disturbo bipolare rispetto al disturbo borderline di personalità e che, spesso, i pazienti bipolari mostrano un maggior “appeal” clinico rispetto ai pazienti borderline, storicamente e frequentemente descritti come “manipolativi, eccentrici, drammatici, sprezzanti, oppositivi”.

Sul piano clinico, a far pendere l’ago della bilancia verso la diagnosi di bipolarismo si situa un miglior outcome sul lungo periodo nel bipolarismo rispetto al disturbo borderline di personalità; in aggiunta, la riconosciuta predisposizione ereditaria del disturbo bipolare costituirebbe una verosimile più solida base diagnostica che, oltre a rassicurare il clinico, lo aiuterebbe anche nel descrivere al paziente la diagnosi; diagnosi che, nel caso del disturbo borderline di personalità, spesso viene difficilmente accettata e maggiormente stigmatizzata.

Un bias di natura pratica risiede invece nella tendenza degli specialisti nel raccogliere la storia del paziente, concentrandosi soltanto sui sintomi trasversali; ad esempio quando un paziente con disturbo bipolare mostra una prominente labilità dell’umore o la sensibilità interpersonale durante un episodio di alterazione dell’umore, ma non quando si trovi in eutimia.

Il problema del disturbo bipolare II

Come è noto, il disturbo bipolare viene suddiviso in due forme principali: disturbo bipolare di tipo I e bipolare di tipo II; a questi si aggiungono anche ciclotimia e disturbi bipolari sotto soglia. Dal punto di vista diagnostico, si incontrano minori difficoltà nel distinguere un paziente bipolare di tipo I da uno affetto da disturbo borderline, dal momento che il sintomo cardine del bipolarismo di tipo I è la mania, ovvero uno stato di elevata eccitabilità e iperattività e/o aggressività generalmente di agevole riconoscimento e che, a volte, porta a manifestazioni assai marcate come la psicosi.
Le problematiche diagnostiche maggiori, invece, si verificano quando il paziente presenta criteri diagnostici sfumati e non chiaramente identificabili. Gli stati di elevazione dell’umore o ipomaniacali possono mimare le fluttuazioni di umore tipiche dei disturbo borderline di personalità. Inoltre, il paziente bipolare II può presentare alcuni tratti tipici degli stati maniacali ma in forma più attenuata. Mentre impulsività o aggressività sono più caratteristici del disturbo borderline di personalità, il bipolare II è simile al disturbo borderline di personalità sulle dimensioni dell’instabilità affettiva, sebbene quest’ultimo tendi ad evidenziare fluttuazioni molto più rapide rispetto al bipolarismo.
Su tale componente affettiva, comune ad entrambi i disturbi, si sono dibattuti numerosi studiosi del nostro secolo.

Disturbo bipolare e disturbo borderline come fratelli separati alla nascita

A partire dagli anni ’80 e ’90 del novecento, numerosi studiosi hanno avanzato teorie e ipotesi sulla relazione fra disturbo bipolare e disturbo borderline; il fondamento teorico alla base di tali teorie riguarda gli aspetti affettivi nei due disturbi.
Akiskal nel suo “Borderline: an Adjective in Search for a Noun”, rileva come i famigliari di pazienti con disturbo borderline abbiano una predisposizione genetica per disturbi affettivi più alta dei pazienti bipolari stessi e ipotizza che il disturbo borderline di personalità possa configurarsi come precursore del disturbo bipolare.
Sulla base di tale teoria, sono emerse quindi diverse ipotesi classificatorie:
1. disturbo PTSD complicato;
2. disturbo bipolare di spettro;
3. disturbo di asse I a sé stante.

Nel 2008, New et al., sul Biological Psychiatry , hanno evidenziato le differenze tra gli studi a favore o contro l’eziologia traumatica nel disturbo borderline di personalità.
A favore di tale ipotesi si evidenziava come abitualmente gli adulti con diagnosi di disturbo borderline di personalità riportassero più spesso (rispetto ai non borderline) abusi psichici e sessuali precoci e di come fossero stati testimoni di violenze domestiche. Inoltre, il disturbo borderline di personalità viene predetto nell’adulto qualora si sia verificato un abuso sessuale, una negazione emozionale da parte di figure parentali maschili e il trattamento inconsistente nelle figure parentali femminili.
Sul fronte opposto veniva evidenziato come tra il 20-45% dei pazienti borderline non ci fossero in anamnesi episodi di abusi sessuali e, contemporaneamente, soggetti con pregressi abusi sessuali nell’80% dei casi non sviluppino un disturbo di personalità. Infine, la familiarità per i disturbi dello spettro nevrotico, l’abuso sessuale nell’infanzia, la separazione o lo stile genitoriale sfavorevole predicono indipendentemente il disturbo borderline di personalità nell’adulto.

Numerosi studiosi propongono di considerare il disturbo borderline di personalità come un disturbo bipolare di spettro, basandosi sull’elevato tasso di comorbidità e sulla sovrapposizione sintomatologica precedentemente evidenziata. Tuttavia, lo stesso Akiskal nel 1985 e Gunderson nel 2006 hanno evidenziato come la relazione fra disturbo borderline di personalità e bipolarismo sia modesta e la possibilità di una relazione forte di spettro sia inverosimile.

Risolvere il problema della diagnosi dei disturbi borderline e bipolare

Nonostante le teorie e le ipotesi dei diversi studiosi, il problema del clinico rimane il medesimo: come distinguere nella quotidianità i due disturbi e porre una diagnosi di certezza?
Allo stato attuale, per condurre una diagnosi corretta è necessario conoscere adeguatamente i criteri diagnostici più recenti (DSM-5), nonché affidarsi allo strumento di più grande rilievo nel campo psicologico/psichiatrico: l’anamnesi.

La raccolta della storia di vita e della malattia del paziente rappresenta la base essenziale per ogni ulteriore provvedimento. La stesura di una storia psichiatrica, in modo completo e rigoroso, consente al clinico di discernere fra un disturbo bipolare e un disturbo di personalità borderline.
Essenziale è il decorso: poiché i disturbi di personalità sono da considerarsi come un pattern di comportamento cronico, costante durante la vita, sarà utile lo studio del decorso longitudinale e non solo dei sintomi trasversali. In altre parole, la presenza di una modalità di comportamento e di “espressione umorale e funzionale” sostanzialmente costante nel tempo, depone maggiormente per un disturbo borderline di personalità, rispetto ad un decorso caratterizzato da ciclicità, nel quale a fasi di disturbi dell’umore e di perdita di capacità funzionali, si alternano periodi di benessere e eutimia. I pazienti con disturbo borderline spesso evidenziano fasi di fluttuazioni umorali che mutano velocemente nell’arco di minuti e/o ore, molto difficilmente di durata superiore.
Inoltre, nell’iter diagnostico-terapeutico occorre tener presente le caratteristiche psicologiche del disturbo. I pazienti con disturbo borderline di personalità evidenziano, infatti, un tipico pattern di attaccamento insicuro, differentemente dai pazienti bipolari. I pazienti con disturbo borderlinetendono a gestire in modo incostante e tumultuoso le relazioni, differentemente dai pazienti con bipolarismo che mostrano una maggiore costanza.

Trattamento per i disturbi bipolare e borderline

L’approccio terapeutico al disturbo bipolare e al disturbo di personalità borderline consta di numerose opportunità, alcune delle quali anche condivise.
L’iter del trattamento prevede sia un intervento di natura farmacologica che di natura psicoterapica.
Sul piano farmacologico, la scelta verte sostanzialmente sull’utilizzo di antidepressivi, stabilizzanti dell’umore e antipsicotici. In linea generale, e assolutamente semplicistica, gli stabilizzanti dell’umore (litio, acido valproico, carbamazepina, lamotrigina) trovano impiego sia nel disturbo bipolare che nel disturbo borderline di personalità, con lo scopo di ridurre le fluttuazioni dello stato umorale e garantire al paziente una maggiore stabilità del tono affettivo. Gli antidepressivi trovano maggior utilizzo nelle fasi “down” del disturbo borderline di personalità; appare invece controverso e molto discusso il loro utilizzo nei casi di disturbo bipolare, nei quali l’uso di tale classe farmacologica incrementerebbe il rischio di “switch” dalla depressione alla mania. Gli antipsicotici sono sfruttati per la loro efficacia durante le fasi maniacali dei pazienti bipolari, con lo scopo di “raffreddare” l’iperattività e l’eccessivo incremento della produzione ideica del soggetto.

Psicoterapia per il disturbo borderline e il disturbo bipolare

Sul piano psicoterapico la gamma dei possibili approcci è piuttosto ampia e, salvo alcuni interventi specifici per un determinato disturbo, gli stessi sono in gran parte condivisi tra bipolarismo e disturbo borderline di personalità.
Lo scopo della psicoterapia deve focalizzarsi in particolare sugli aspetti che maggiormente inficiano sulla qualità di vita del paziente, ovvero impulsività (suicidalità), ostilità, irritabilità, comportamenti “risk-taking” e di abuso, sensitività interpersonale.

Stilare una lista completa delle possibili tecniche psicoterapiche comporterebbe un lungo elenco di scarsa utilità. Si ritiene, invece, più rilevante citare e descrivere brevemente alcuni approcci di nota efficacia clinica.
PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE:
I terapisti cognitivo-comportamentali si pongono come obiettivo lo sviluppo della capacità di riconoscimento e coping dei sintomi prodromici e la capacità di problem solving rispetto a diversi aspetti della malattia. Questo approccio psicoterapico risulta essere, allo stato attuale, la terapia di maggiore efficacia per il trattamento dei disturbi bipolari e disturbo borderline di personalità. Nel caso specifico per il disturbo borderline, è possibile avvalersi della terapia dialettico-comportamentale. Di derivazione cognitivo-comportamentale, è stata introdotta negli anni ’90 dalla psicologa Marsha Linehan e pone come obiettivo l’educare il paziente alla gestione delle emozioni disforiche e la ricerca di possibili comportamenti alternativi, soprattutto nei confronti delle espressioni più autolesive tipiche del disturbo borderline.

Family focus treatment:
sviluppato da Miklowitz, prevede un intervento suddiviso in moduli volto inizialmente alla psicoeducazione del paziente e del gruppo famigliare e successivamente alla valutazione delle relazioni disfunzionali interne al gruppo della famiglia, offrendo possibili soluzioni ai principali problemi interpersonali.

Psicoterapia interpersonale e dei ritmi sociali:
Utilizzata principalmente con i pazienti con diagnosi di bipolarismo, si concentra sulla gestione dei ritmi circadiani del paziente, importanti per il ripristino di una adeguata routine quotidiana. La base teorica su cui si fonda tale approccio prevede che il paziente con bipolarismo abbia una particolare “vulnerabilità circadiana” e che gli eventi traumatici possano determinare alterazioni dei principiali ritmi biologici (sonno-veglia) e sociali.

Trattamento basato sulla mentalizzazione:
la MBT è stata introdotta da Bateman e Fonagy all’inizio degli anni Duemila. Si basa sul concetto secondo il quale i pazienti borderline non sono in grado di mentalizzare, ovvero porsi “al di fuori” delle proprie emozioni come osservatori esterni col fine di analizzare le stesse e le relative conseguenze emotive e relazionali. Acquisendo tale capacità, il paziente disturbo borderline di personalità riesce maggiormente a comprendere le dinamiche relazionali personali e altrui, migliorando la propria qualità di vita.

Schema focused therapy:
si tratta di una terapia “mista”, costituitasi dalla combinazione fra CBT e terapia analitica. Introdotta da Young alla fine degli anni ’90, ha come scopo il modificare gli schemi maladattivi che derivano da esperienze negative nell’infanzia.
IN CONCLUSIONE:
Appare evidente come disturbo bipolare e disturbo di personalità borderline configurino due entità nosologiche differenti, sebbene presentino aspetti sintomatologici e fenomenologici comuni e possano presentarsi come disturbi coesistenti nello stesso soggetto. L’errore nel riconoscimento diagnostico fonda le sue radici su molteplici aspetti. Un’approfondita conoscenza dei criteri diagnostici nonché una maggiore attenzione alla cronologia e agli eventi della storia di vita e del disturbo del paziente possono contribuire a superare questo bias interpretativo, fornendo così al paziente la possibilità di fruire di un adeguato trattamento, evitando, al contempo, una sequela di conseguenze di difficile gestione sia sul piano terapeutico, sia sul piano psico-sociale, riducendo il rischio di stigmatizzazione e emarginazione del paziente.

Dal Sito: www.stateofmind.it


PER SAPERNE DI PIÙ: HTTP://WWW.STATEOFMIND.IT/2016/01/DISTURBO-BIPOLARE-BIPOLARISMO-BORDERLINE-SIMILITUDINI-DIFFERENZE/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2016/01/disturbo-bipolare-bipolarismo-borderline-similitudini-differenze/