Molti di loro soffrono di
attacchi di panico e stati d'ansia dopo il grande spavento di quella
notte, quando la Costa Concordia ha urtato gli scogli dell'Isola del
Giglio, la notte del 13 gennaio 2012.
Oggi per la
prima volta i naufraghi parlano al teatro Moderno di Grosseto,
trasformato in aula giudiziaria per il processo all'ex comandante
Francesco Schettino. Hanno raccontato di quei drammatici momenti in cui
"cambiò tutto, dall'allegria e dalla meraviglia di essere in crociera -
ha detto Claudia Poliani, parrucchiera di Roma - noi passeggeri entrammo
di colpo nel panico, cademmo, era buio, nessuno ci assisteva". "Non
abbiamo visto ufficiali - ha ricordato ancora la donna - c'erano solo
camerieri in divisa; il personale non parlava italiano e male l'inglese,
prendemmo i giubbotti salvagente da soli e provammo a indossarli". Lei,
in particolare, per lo stress non riesce più a guidare con tranquillità
la macchina, "perciò, siccome vivevo fuori Roma, ho dovuto cambiare
casa e avvicinarmi alla città". Analoghi problemi per un'altra
testimone, Ivana Codoni: "Soffro di attacchi di panico. Non mi era mai
successo prima del naufragio. Sono sempre sotto controllo medico". In
merito a quella notte ha ricordato: "Il personale ci diceva di tornare
in cabina ma capimmo che era una trappola e scappammo verso i ponti
all'esterno. Eravamo come in autogestione". E per Liliana Dobrian, che
vive a Grosseto: "Dopo il naufragio io e mio marito non dormivamo più,
avevamo dolori alla testa, ci ha visitato uno psichiatra, da allora
abbiamo paura e ansia".
Luigi D'Eliso ha raccontato
dello stato di paura delle persone a bordo: "C'era chi dava in
escandescenze; al ristorante tiravano pugni contro gli arredi, le mani
sanguinavano. Uno chiedeva: come faccio a salvarmi? Come faccio a
salvare i miei figli? E la risposta dei camerieri era laconica: non lo
sappiamo nemmeno noi". Anche sua moglie ha ben chiaro il momento in cui
"la gente batteva i pugni sui tavoli. Il padre di un bambino urlava. Ci
dicevano che c'era stato un guasto tecnico, ma capivamo che non era
così. Infatti volevo andare in cabina a recuperare i vestiti ma non lo
feci, la nave si inclinò e rinunciai perché pensai di fare la morte del
topo".
L'Unione Sarda.it
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