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venerdì 26 giugno 2020

Cherofobia. Paura di essere felici: come gestirla e superarla

Esiste la paura di essere felici? Si può superare? La paura di essere felici si trasmette e può essere considerata contagiosa? Esiste un lato positivo nella paura di essere felici?

Conosciuta anche come Cherofobia, questa forma di ansia nasce dalla paura che la serenità possa in qualche modo essere vulnerabile. La dott.sa Rossella Valdré di Guidapsicologi.it racconta quali sono le origini della paura di essere felici e in che modo è possibile imparare ad arginarla, gestirla e superarla.

Perché abbiamo paura di essere felici?
«Esiste un paradosso nell’essere umano, che non si trova in nessun altro animale: la paura del benessere, del piacere, come si dice oggi con un termine più in voga della “felicità”.

Come mai accade questo, se è vero, come la psicoanalisi ci ha insegnato, che l’organismo è retto dal principio di piacere? Freud scoprì nel 1916 un tipo di personalità che chiamò “Coloro che soccombono al successo”: tutte quelle persone che sembrano avviate al fallimento, che ripetono relazioni o amicizie frustranti, che iniziano cose che già sanno non porteranno a termine… e via dicendo. Tutti noi ne conosciamo, e forse tutti noi qualche volta siamo stati tentati di scegliere la via dell’insuccesso. Freud diede la spiegazione, tuttora valida, che in questi casi la persona soccombe per il senso di colpa inconscio.

Badiamo bene, inconscio. Non ce ne rendiamo conto, ma è come se la nostra felicità e successo in qualcosa ci facesse sentire un insopportabile senso di colpa ad esempio verso i genitori, fratelli, paura di superarli, in fantasia, quindi, di ucciderli. Clinicamente è un assetto personologico che si trova frequentemente ed è difficile da trattare.»

Si può superare questa paura?
«L’unico modo è diventarne consapevoli, attraverso un percorso di conoscenza, psicoanalisi o psicoterapia. Occorre andare a fondo e scoprire le ragioni recondite, di cui sopra ne ho menzionato una tra le più note e importanti, ma possono essercene altre.

Ad esempio è frequente negli adolescenti ma non solo, la paura che se si ottiene un successo (ad esempio laurearsi, iniziare una relazione) dopo occorre assumersene la responsabilità. In questi casi non è tanto in gioco il senso di colpa inconscio quando la fuga dalla responsabilità.»

Esistono persone predisposte alla paura di essere felici?
I tipi menzionati sopra, persone gravate da un senso di colpa inconscio, spesso i depressi, anche in forme non gravi di depressione, o personalità narcisistiche e immature che, appunto, rifuggendo la responsabilità paradossalmente sfuggono anche al benessere.»

Di solito che tipo di soggetti tendono a soffrire di questa paura?
«Non esiste un tipo specifico. Nella mia pratica clinica ho visto il problema come trasversale ad uomini, donne, ricchi, poveri, giovani e no. Direi che è una problematica profonda, che si annida nel profondo dell’essere umano che nasce, ce lo dice anche la religione, colpevole “di facto”.
Siamo molto portati a sentirci in colpa, soprattutto le personalità depressive, o a non sentirci all’altezza, in questo caso le personalità narcisistiche.»

La paura di essere felici può considerarsi un ostacolo alla felicità?
«Certamente. Se è episodica,e la persona, con aiuto terapeutico o meno, ne individua le cause e la risolve, può affrontarla. Diversamente, se si radica nell’inconscio, diventa un “carattere”, come ha scoperto Freud, un modo di essere, e ora un serio impedimento alla serenità, termine che preferisco a quello di felicità. Perché la felicità è data da attimi, momenti, mentre la pace e la serenità possono essere stati d’animo duraturi.»

La paura di essere felici si trasmette e può considerarsi contagiosa?
«Contagiosa non certo in senso genetico ma sul piano psichico, poiché il bambino si identifica con i genitori, se un genitore soffre delle situazioni patologiche che abbiamo detto, il bambino può inconsciamente identificarsi e, in seguito, ripeterle lui stesso senza rendersene conto. Quindi direi di sì, all’interno di certe costellazioni familiari questo è possibile.»

Esiste un lato positivo della paura di essere felice? Ad esempio non farsi false illusioni, mantenere un atteggiamento razionale.
«Se vogliamo, vista da quest’ottica, sì. Non la chiamerei allora paura della felicità, ma un sano evitamento della maniacalità. Con questo termine si intende uno stato d’animo opposto alla depressione, dove si sente che tutto è possibile, ed è in realtà molto patologico. Quindi entro certi limiti, non lasciarsi troppo andare a facili illusioni, non sentirsi onnipotenti, ci aiuta a vivere nella realtà.»

Gli esperti di Guidapsicologi hanno stilato una lista di suggerimenti per affrontare la paura di essere felici.

1. Scrivere un diario personale: dove annotare ogni giorno come ci si sente, in che occasioni abbiamo provato paura e cosa invece ci fa stare bene. È importante essere costanti e rileggerlo. In questo modo si possono individuare i comportamenti e le abitudini distruttive e lavorare per eliminarle o trasformarle.
2. Frequentare persone positive: meglio evitare persone tossiche o negative. Per coltivare la felicità bisogna circondarsi di persone che permettono di mantenere scambi interessanti e con cui sentirsi bene.
3. Fare cose che ci fanno stare bene, senza uno scopo preciso: a volte basta fare delle cose fini a se stesse, per esempio uscire con gli amici, andare a ballare, fare sport, farsi un regalo. Rompere la routine e vivere appieno il momento e le proprie emozioni ci permette di credere nella felicità e di godere della bellezza dei singoli istanti della vita. Questo consiglio è molto utile per le persone che pensano troppo e che si fanno prendere dall’ansia prima che le cose succedano.
4. Parlare delle proprie emozioni: comunicare ciò che si sente, imparando a descrivere i propri stati è utile sia in termini di confronto con l’altro che per una maggiore chiarezza e quindi conoscenza di noi stessi.
5. Fare yoga o qualsiasi attività meditativa: aiuta a imparare a respirare, ossigenare la mente e calmare il corpo. Una corretta respirazione è fondamentale per mantenere uno stato di tranquillità e consapevolezza.


Dal Sito: reportageonline.it

venerdì 21 settembre 2018

Cherofobia, la paura di essere felici

Per qualcuno, l’idea di divertirsi e provare gioia è una prospettiva spaventosa. Succede quando si teme che scatti un meccanismo di compensazione per cui, quando ci si lascia andare, accada qualcosa di terribile.

Un periodo davvero fortunato, soddisfazioni sul lavoro, felicità in amore, coincidenze favorevoli. Se la maggior parte di noi non si augura altro, per qualcuno troppe circostanze positive, troppa gioia e troppo divertimento sono guardati, invece, con sospetto.

Ne parla il quotidiano inglese The Independent: le persone che hanno un’irrazionale avversione per la felicità soffrono di cherofobia. Non sono le attività divertenti a fare loro paura, ma il timore che se si lasciano andare, e si sentono felici e spensierate, allora accadrà qualcosa di terribile.
Oppure perderanno il controllo. Pensano che stato di serenità possa diventare una condizione di vulnerabilità che richiede l’attivazione di preoccupazioni e paranoie per prevenire pericoli e minacce. L’idea che esista un subdolo meccanismo di compensazione ha spesso origine da traumi ed esperienze negative.
Di cherofobia non si parla nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), ma alcuni esperti la classificano come una forma di ansia.
Ci sono alcuni sintomi ricorrenti, che accomunano le persone che hanno paura della felicità. Provano ansia quando sono invitati a partecipare a un evento sociale, si rifiutano di partecipare alle attività «divertenti», pensano che quando si è felici qualcosa di brutto debba per forza accadere.Ritengono che puntare alla felicità renda le persone peggiori e comporti uno spreco di tempo e di fatica, e che mostrarsi contenti sia pericoloso.
In un post pubblicato su Psychology Today, la psichiatra Carrie Barron spiega alcune possibili ragioni per cui le persone sviluppano la cherofobia. «Potrebbe sembrare strano che qualcuno tema le emozioni positive. Spesso succede quando, durante l’infanzia, si è creato un legame fra felicità e punizione. Se sei spaventato dal piacere, potrebbe essere perché, in passato, la punizione o l’umiliazione hanno distrutto la tua gioia. Adesso hai paura di sentirti felice perché temi che la bolla esploda di nuovo».
Gli introversi potrebbero avere più probabilità degli altri di sviluppare la cherofobia. In genere preferiscono svolgere le loro attività da soli o con una o due persone alla volta, e possono sentirsi intimiditi o a disagio in gruppo, nei luoghi rumorosi e troppo popolati. Anche i perfezionisti possono essere cherofobici, perché potrebbero essere convinti che la felicità sia un tratto tipico delle persone ingenue e superficiali.
Stephanie Yeboah, blogger che convive con la cherofobia, spiega che cosa significhi questa condizione: «In definitiva, è una sensazione di completa disperazione, che porta a sentirsi ansiosi o diffidenti all’idea di partecipare o fare cose per arrivare alla felicità, perché è come se si avesse la percezione netta che non durerà – ha detto -. La paura della felicità non significa necessariamente vivere sempre nella tristezza: nel mio caso la mia cherofobia è stata innescata o esacerbata da eventi traumatici, e anche cose positive come completare un compito difficile o conquistare un nuovo cliente mi mettono a disagio».
Risolvere questo problema non è semplice: «Non c’è molto che io possa fare – aggiunge Yeboah – perché non ci sono molte risorse specifiche contro la cherofobia: mi limito ad andare avanti e cercare di non pensarci».
Probabilmente la cherofobia è un meccanismo di difesa costruito dopo un conflitto o un trauma. Secondo Carrie Barron, può essere utile cercare di scavare nel proprio passato: trattamenti come la terapia cognitivo comportamentale sono utili per comprendere le cause del disturbo e cercare finalmente di annullare l’associazione negativa tra piacere e dolore.
Però non tutti devono necessariamente curare la loro cherofobia: alcune persone si sentono più sicure (e, paradossalmente, felici) quando evitano la felicità. A meno che il disturbo non interferisca con la qualità di vita o la possibilità di mantenere il posto di lavoro, potrebbe anche non esserci bisogno di alcun trattamento.
Dal Sito: vanityfair.it