domenica 19 settembre 2010

Storie di Panico- Quella Galleria!-Evitamento, Ansia e Agorafobia




I gatti giravano in continuazione e come ballerine su un palcoscenico sembravano attenti ad ogni loro passo, tirai fuori dallo zaino le sigarette e con gli occhi cercai un posacenere, lei allungò la mano e me lo porse.

 Lo stereo mandava una canzone sussurata, mi accesi la sigaretta e le dissi,
“Ti voglio raccontare una cosa mia, una cosa che sanno solo altre due persone”
“Ti ascolto” mi disse,
e si avvicinò al muretto incominciando a prepararsi una sigaretta.
Le raccontai di quella galleria e della luce che non arrivava mai. Sono passati circa vent’anni da quel giorno ma per me è come fosse successo ieri.

La galleria era lunga sembrava interminabile, circa a metà incominciai a sentire che il respiro si faceva sempre più affannoso, il cuore incominciò ad andare per conto suo e l’aria era sempre meno, aprii per un attimo il finestrino della macchina, fu peggio, l’odore che mandava il tubo di scappamento del camion che avevo davanti invase l’abitacolo.
Ebbi una sensazione improvvisa di dolore al petto e l’ansia conquistò tutto me stesso.
Sentivo un nodo alla gola che non lasciava passare neanche un filo d’aria, nella mia mente la sensazione della morte si concretizzò, pensavo fosse questione di attimi.

Dovevo arrivare prima che questo succedesse in fondo alla galleria, mi buttai senza guardare sulla corsia di sorpasso e iniziai una folle corsa verso l’uscita. Quel puntino luminoso mi sembrava sempre più irraggiungibile, la macchina andava da sola e il sudore mi colava dappertutto. Il tutto durò al massimo pochi minuti ma quella cicatrice è ancora viva. Appena fuori della galleria fermai la macchina.
Ero stremato e il respiro era ancora affannoso, mi girai verso mia moglie e le guardai la pancia, mi convinsi che non avrei mai visto gli occhi di quella vita appena formata.

Ripresi il viaggio cercando di convincermi che non mi fosse successo nulla, ma durò poco. In fondo al rettilineo l’autostrada spariva come inghiottita dalle viscere della terra, c’era un’altra galleria. Incominciai a rallentare cercando una via di fuga, ero obbligato per forza a passare lì sotto, di nuovo il respiro divenne affannoso e il cuore sembrava mi dovesse sfondare il petto. Accostai vicino al cartello che indicava la lunghezza, 1.200 metri, poco più di un minuto andando a velocità moderata.
Di nuovo come prima, fu un incubo, decisi di uscire al primo svincolo.

La convinzione di avere un male incurabile mi portò nei mesi successivi a fare il giro di tutti i medici della città. Mi dicevano tutti la stessa cosa,
“Non ha niente, è solo un po’ di esaurimento” e giù medicine ed io sempre peggio. Ormai per me tutto era diventato un tabù, ma anche fare le cose più semplici e banali rappresentavano un ostacolo, le crisi invece che diminuire erano sempre più frequenti, mi sentivo un invalido, riuscivo ad andare a mala pena a lavorare.
Gli occhi di quella creatura erano del colore del mare, ora è una donna, ma di tutto questo non sa niente.

Ci sono voluti degli anni prima di abituarmi a convivere con le “crisi di panico”, ora sono solo un ricordo che mi porto dentro e che non condiziona più la mia vita..
“Tua moglie in questi anni ti è stata d’aiuto!” mi chiese, dalla sua domanda mi resi conto che aveva capito.
Ci sedemmo sul divano, in bocca mi ero era rimasto il sapore del caffè, fu un attimo e anche la sua bocca aveva lo stesso sapore della mia.

 
(G.S.)

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