martedì 9 maggio 2017

Gestire la rabbia: “sfogarsi” o restare fermi finché l’emozione passa?


Uno studio ha dimostrato come per diminuire e gestire meglio la rabbia sia preferibile restare fermi finché l'emozione passa anziché sfogarsi fisicamente.

La rabbia è una delle emozioni di base, che ci segnala che qualcosa sta intralciando il nostro percorso verso un obiettivo importante. Davanti a un’esperienza di rabbia possiamo reagire in tanti modi diversi: alcune persone sono più propense a internalizzare, a tenere tutto dentro, altre cercano di non pensarci evitando l’oggetto della rabbia, altre la sfogano con parole o comportamenti, altre ancora continuano a pensare a quello che ha causato la rabbia, mantenendo contemporaneamente attiva l’emozione.

Una volta che la rabbia si è attivata e noi vediamo rosso, possiamo evitare le persone che ci hanno fatto arrabbiare, possiamo cercare di discutere della cosa con calma o possiamo esprimere la rabbia verso la persona o la situazione che l’ha causata in modo impulsivo e liberatorio. Ci sfoghiamo. Qualcuno ci taglia la strada e noi suoniamo il clacson, il nostro collega fa un guaio e noi gli urliamo contro, il nostro partner dice una cosa di troppo e si becca la sfuriata.

Se da una parte è stato più volte mostrato come rimuginare in modo rabbioso e tenere il muso sia controproducente sia nella relazione che per la regolazione emotiva, siamo certi che sfogare la rabbia sia di aiuto? Il professor Brad Bushman dice a riguardo che

Non è detto che una cosa sia positiva solo perché ti fa stare bene.

In sostanza, facciamo attenzione a sostenere l’utilità dello sfogo solo perché immediatamente dopo ci sentiamo meglio. Bushman ha condotto con il suo team di ricerca una serie di studi sul tema, giungendo a interessanti conclusioni. Una di queste ricerche ha coinvolto 600 studenti (metà maschi e metà femmine) suddivisi in 3 gruppi: a tutti gli studenti è stato chiesto di produrre un testo scritto, che in seguito è stato analizzato e criticato da un compagno; un primo gruppo ha poi ricevuto indicazione di colpire un pungiball immaginando che raffigurasse il compagno critico, un secondo gruppo ha dovuto colpire il pungiball pensando a quanto questo migliorasse la propria forma fisica e un terzo gruppo non ha ricevuto nessuna indicazione e non ha colpito il pungiball, rimanendo in attesa.

Tutti i soggetti hanno poi compilato dei questionari che valutavano la rabbia e l’aggressività. Secondo la teoria della catarsi, sfogarsi colpendo un oggetto e contemporaneamente pensando a una situazione o a una persona che ci ha causato rabbia dovrebbe aiutarci ad abbassare il livello di attivazione emotiva e calmarci. In realtà, è emerso il trend opposto: il gruppo di partecipanti che aveva colpito il pungiball ripensando alla persona che li aveva criticati ha mostrato i maggiori livelli di rabbia e ostilità al termine dell’esperimento, seguito dal campione che aveva colpito il pungiball pensando ad altro. Sorprendentemente, il gruppo di controllo che era rimasto in attesa senza fare nulla ha mostrato i minori livelli di rabbia e ostilità al termine dell’esperimento.

In altre parole, non fare nulla si è mostrato più utile che sfogarsi fisicamente per diminuire i livelli di rabbia. Se questi risultati sono in contraddizione con l’idea di catarsi, sono invece molto allineati con la Teoria Metacognitiva (Wells, 2012): se consideriamo la condizione di “sfogo” più da vicino, questa in sostanza prevede di impegnarsi in una forma di ruminazione rabbiosa, colpendo contemporaneamente il pungiball. Coerentemente con gli studi di Wells e colleghi, le forme di pensiero perseverante contribuiscono a mantenere l’attenzione focalizzata sulla situazione che ha attivato l’emozione negativa, mantenendo al contempo l’emozione stessa (in questo caso, la rabbia). Il fatto di rimanere fermi senza fare nulla (condizione di controllo per questo studio) ha invece molto a che fare con quello che Wells chiama “lasciare in pace i pensieri”: permettere cioè che il pensiero (in questo caso arrabbiato) semplicemente se ne vada come è arrivato, senza alimentarlo con ulteriori risorse cognitive e attentive, che lo mantengono attivato e vivido.

È interessante quindi notare come uno studio che comprende così tanti soggetti, pur partendo da un background teorico completamente differente e proponendosi di indagare meglio il ruolo della catarsi nella risoluzione di dinamiche di rabbia, giunga tuttavia alle stesse conclusioni di tanti studi sulle conseguenze negative del pensiero perseverante in termini attentivi ed emotivi. Questo fa pensare che in qualche misura, soprattutto per le cose che ci stressano nel quotidiano, la soluzione possa davvero essere imparare a lasciarsi in pace.

Scritto da: Chiara Manfredi

Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/11/gestire-rabbia/

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