martedì 27 novembre 2018

Il cambiamento e la via di fuga



Sii come la fonte che trabocca e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua.
Paulo Coelho

L’acqua stagnante in breve tempo diventa torrida e fetida, così la nostra vita, se bloccata, andrà incontro allo stesso processo.
Lasciarsi andare ai mutamenti, senza opporre resistenza, sarebbe la naturale strada da seguire. Come l’acqua di un ruscello viaggia verso il suo percorso, fino a diventare fiume e poi mare, così noi, in continuo movimento, dovremmo evolvere verso nuove conoscenze e nuove esperienze.

Ma quali sono gli ostacoli che diventano così insormontabili da non permetterci di proseguire lungo il nostro cammino?
– La paura del cambiamento
– La mancanza di fiducia nelle nostre potenzialità.
– La paura del nuovo.
– L’attaccamento alle abitudini, anche se dannose.

Ogni cambiamento ha un simbolismo iniziatico: si deve prima “morire”, lasciando il passato per entrare in una nuova vita.

La metafora del bruco, avvolto dapprima nel bozzolo, che lo protegge come un utero materno, e poi la trasformazione in una farfalla, che vola libera, posandosi di fiore in fiore, rende bene l’idea della trasformazione, processo naturale, a cui noi tutti siamo invitati a seguire.


Ci deliziamo nella bellezza della farfalla, ma raramente ammettiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza.
Maya Angelou

Per cambiare bisogna attraversare delle sofferenze, non esiste un cambiamento indolore. Là dove la nostra resistenza diventa incancrenita, fino a diventare ciechi e sordi al richiamo di un equilibrio, il mal d’essere ci renderà ancora più aspri e deboli.

Il disagio è un sintomo che a lungo andare può diventare un vero disturbo. L’ansia, l’insoddisfazione, l’apatia, la depressione, gli attacchi di panico, non sono altro che dei segnali che ci stanno avvertendo che il nostro organismo si sta ammalando, che bisogna trovare una via di fuga.

Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare la barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.
Henri Laborit – Elogio della fuga

La prima causa dell’angoscia è l’impossibilità di realizzare l’azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o con la lotta è anch’esso un modo di gratificazione, di sfuggire all’angoscia.
Henri Laborit

Nel film ‘Mon oncle d’Amerique’, che consiglio di vedere, è narrata la vita di tre personaggi e la loro quotidianità e disagio, ed ognuno si muove secondo la teoria di Henri Laborit, tra scelta di cambiamento o assenza di fuga. Ognuno dei tre, in base al proprio libero arbitrio, alla propria scelta avrà un risultato: la salvezza nella fuga, la malattia per mancanza di fuga.

Attraverso degli esperimenti con i ratti, Henri Laborit, dimostrò che in condizioni di estremo stress, cioè in situazioni in cui l’animale non può lottare, né fuggire per evitare una situazione spiacevole, i ratti somatizzano fino a produrre ulcere, cosa che non avviene se possono fuggire o sfogare l’aggressività combattendo.

Alla luce di tutto questo chiediamoci se il costo da pagare, in termine di salute, mentale e fisica, non sia abbastanza alto.

Ognuno è chiamato a dover rivedere il proprio programma di vita su questa Terra, a fare il bilancio di ciò che si è vissuto, di come si è vissuto e del grado di soddisfazione o insoddisfazione rispetto ai propri desideri.

Secondo il manuale di Epitteto, una sola zona ci appartiene, ed è l’unica zona che ci permette di poter agire: i nostri pensieri, le nostre decisioni.

Se imparassimo ad usare questo grande potere che ci appartiene, il libero arbitrio, potremmo essere davvero protagonisti della nostra vita.
Impariamo a ritrovarci, a riconoscerci, ad amarci per ciò che siamo, a mutare là dove duole, dove la sofferenza si insinua creando il nostro disagio, il mal di vivere.

Non tutte le prigioni hanno le sbarre, spesso non ci accorgiamo di essere prigionieri ed evadere é più difficile. Sono i nostri preconcetti ed automatismi culturali che castrano l’immaginazione, fonte della creatività.


Mentre cerchiamo di capire, il tempo passa e la vita con lui.
Henri Laborit



Dal Sito: expartibus.it

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