sabato 21 dicembre 2019

Per combattere le fobie il cervello ha bisogno della sua “copertina di Linus”




L’ansia e lo stress possono trasformare in un incubo alcuni episodi della vita quotidiana che in verità non nascondono alcun pericolo. Succede a una persona su tre
Una canzone o un motivo musicale, un pupazzo di peluche, un volto amico, la copertina di Linus.  Ricorrere a questi strumenti per combattere l’ansia che paralizza chi soffre di qualche fobia può essere più efficace della terapia cognitivo comportamentale o degli antidepressivi. Lo suggerisce uno studio dell’Università di Yale appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences che invita chiunque abbia questo problema a individuare la sua personale ancora di salvezza. 

Le sedute dal terapeuta o gli psicofarmaci aiutano circa la metà delle persone che soffrono di ansia scatenata da situazioni non realmente pericolose (paura dei ragni, del buio, degli spazi chiusi ecc..), per tutti gli altri queste strategie non sono in grado di offrire un apprezzabile sollievo. 




«Un segnale di sicurezza potrebbe essere un brano musicale, una persona o persino un oggetto come un animale di peluche che rappresenta l'assenza di minaccia», ha affermato Paola Odriozola, coautore dello studio. 

L’ansia e lo stress possono trasformare in un incubo alcuni episodi della vita quotidiana che in verità non nascondono alcun pericolo. Succede a una persona su tre: i ragni, gli ascensori chiusi, le piazze affollate, il buio possono scatenare attacchi di panico incontrollabili e difficili da gestire anche per chi ne è testimone. 

I ricercatori di Yale invitano a fare affidamento su un segnale che dà sicurezza, un simbolo, un suono, un peluche o qualunque altra cosa che non sia mai stata associata a un evento negativo. 

Questo “trucco” funziona perché agisce sull’ansia attraverso un canale neurale completamente diverso rispetto a quello attivato dalla terapia cognitivo-comportamentale che prevede una graduale esposizione alla fonte delle paure fino a quando il paziente arrivi a comprendere che il pericolo non è reale. Chi è affetto da aracnofobia viene così lentamente costretto a entrare in contatto con i temutissimi insetti fino a quando riuscirà a considerarli innocui. Non sempre però il piano funziona.  

I ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti sia su uomini che su animali per trovare una soluzione alternativa. Nel primo caso le persone sono state indotte ad associare una determinata forma a un evento ansiogeno e una forma differente a un evento non minaccioso. Nel caso degli animali, al posto delle figure sono stati usati dei suoni. In un primo momento i soggetti coinvolti nella sperimentazione sono stati esposti esclusivamente al segnale associato al pericolo e solo successivamente a entrambi.

L'aggiunta del secondo elemento non minaccioso, il segnale di sicurezza, ha soppresso la paura dei soggetti in confronto alla risposta alla sola forma correlata alla minaccia.

Dalle immagini cerebrali è emerso che questo stratagemma ha attivato, sia negli gli uomini che nei topi, una rete neurale diversa da quella attivata con la terapia basata sulla graduale esposizione alla fonte delle paure. Il che suggerisce che il segnale che dà sicurezza potrebbe essere usato per rendere più efficaci le attuali terapie. 




«La terapia basata sull'esposizione graduale punta alla graduale estinzione della paura e sebbene durante la terapia si formi una memoria di sicurezza, questa è sempre in concorrenza con la memoria della minaccia precedente.  Questa competizione rende le attuali terapie soggette a ricadute delle fobie,  ma non esiste alcuna memoria negativa associata ai segnali di sicurezza», ha spiegato Dylan Gee coautore dello studio. 

I ricercatori sono convinti che questo semplice intervento possa potenziare gli effetti delle attuali strategie terapeutiche, sia psicologiche che farmacologiche, che non sempre funzionano e quando funzionano non è detto che i benefici durino a lungo.

Dal Sito: healthdesk.it

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