venerdì 7 luglio 2017

La storia di Massimo


MASSIMO

Io, non voglio mettermi a fare il medico, e nemmeno lo psicologo, qui. Ma poiché ho capito alcune cose sul panico mi fa piacere comunicarvele, anziché annoiarvi con i soliti sintomi degli attacchi, che avrete sentito già tante volte. lo ho capito ad esempio che la paura della morte che si prova nelle crisi di panico non è del tutto infondata, inventata di sana pianta. Attenzione, non voglio dire che davvero noi corriamo il pericolo di morire durante una crisi. Però voglio farvi capire che se ci viene in mente ,la morte deve pur esserci una ragione. E se si va a scavare nella storia di ognuno di noi sofferenti di panico troviamo anche la spiegazione. Prendete me, ad esempio. Sono un caso tipico, da. questo punto di vista. Prestissimo, già a sei anni, capii subito che la morte può capitare a chiunque e può esserti molto vicina, spaventosamente vicinissima, anche quando sei un bambino. Era ospite in casa mia un bambino poco più grande di me quando improvvisamente morì. Non seppi e tuttora non so il perché. E questo, forse, peggiorò la situazione. Ci mancava solo il prete. Sì, proprio un prete. Uno sconsiderato che venne a raccontarmi di un bambino che era morto durante la cerimonia della prima comunione tanta era la sua felicità. Lui lo raccontava per sottolineare la gioia che si prova in quella occasione. E non capiva che così mi terrorizzava. Logicamente il giorno della mia prima comunione, mentre ero inginocchiato all'altare, non resistetti a lungo e improvvisamente, mentre la chiesa era piena di gente e tutti stavano in ginocchio, mi alzai e cominciai a correre come una saetta per scappare via dalla chiesa. Ero convinto che ormai la morte fosse vicina e stesse lì lì per acchiapparmi. D'altra parte non potevano certo rassicurarmi i miei familiari. Cioè mia mamma, mia nonna e le mie zie. lo vivevo con loro. E loro erano certamente ancora più ansiose di me.' Dunque la paura di morire e la tristezza, il malessere caratterizzarono la mia infanzia. Vi sembrerà strano: soprattutto nei giorni di festa, quando le altre famiglie erano più felici, a casa mia invece c'era un'atmosfera ancora più triste. Perché aspettavamo mio padre. Lunghe, interminabili, inutili è drammatiche attese. E lui non arrivava mai. Mio padre era emigrato all'estero ,e lì era rimasto. A Natale, a Pasqua prometteva sempre di tornare. Ma non veniva mai. Ricordo ancora con una profonda malinconia quelle atmosfere festive piene di tragicità, proprio come se fosse morto qualcuno. La verità era che lui si era fatta un'altra famiglia all'estero. Tutti lo immaginavano o lo sapevano, in paese. Anche i miei compagni che mi prendevano in giro per questo. Tranne mia madre, che non volle rendersene conto, fino a quando mio padre non trovò il coraggio di confessarglielo. Ma lui non ebbe neanche la capacità e la sensibilità di dirglielo di persona. Lo fece per lettera. Dopo un anno mia madre si ammalò di cancro: E presto morì. lo trovai subito il coraggio di andare di persona da mio padre. Litigai ferocemente' con lui e fu la rottura definitiva. Non ci  vedemmo ne sentimmo più fino alla  sua sua morte. Morì esattamente l'anno precedente il mio primo attacco di panico. A proposito, quella prima crisi mi venne in macchina. E anche questo, secondo me, non fu casuale: alcuni anni prima avevo assistito alla morte di un uomo per infarto proprio alla guida della sua macchina . Ma anche dopo un anno di storia di panico la morte, quella vera, non quella dell'angoscia tipica delle crisi, continuò a perseguitarmi. E questa volta fu una perdita davvero grave: Da vari anni avevo un carissimo, fraterno amico. Una persona eccezionale. lo che non avevo mai avuto un padre avevo trovato in lui una figura paterna eccezionale. Un amico paterno, buono, protettivo, solido, forte, in tutti i sensi. Dava la sensazione dell'immortalità. Un sogno che finì presto, troppo presto. Morì giovanissimo, con un cancro, un anno dopo il mio primo attacco di panico. Vedete, io sono convinto che fortunatamente la mia è una storia rara. Poche sono così funestate dalla morte. D'altra parte, in fondo, nonostante tutto, penso che il problema principale non sia la morte. La solitudine, la separazione, l'abbandono, che rassomigliano tanto alla morte vera, loro sì sono davvero molto importanti in noi che abbiamo o abbiamo avuto il panico. E, vi assicuro, ci fanno soffrire e ci fanno paura forse ancora di più della morte vera. 
Vorrei ora parlarvi della mia guarigione. Ma temo di prendermi io tutto lo spazio, sottraendolo agli altri. Concedetemi solo un minimo accenno. In una storia così triste sembrerebbe impossibile il lieto fine. E invece anche per me si è realizzato. Oggi io sono completamente libero dagli attacchi di panico: non ne ho da anni. Sono in grado di muovermi liberamente, senza paure, senza rinunce, senza l'aiuto di nessuno. Per motivi di lavoro frequento luoghi affollatissimi e faccio viaggi anche di centinaia di chilometri: senza alcun problema. A tutto questo ovviamente non si arriva casualmente o per fortuna. Per me è stato necessario un lungo e intenso lavoro: un po' con l'aiuto della terapia, ma in gran parte da solo, durante e dopo la terapia. Mi viene in mente l'immagine della pelle di un serpente. Quando la trovi, nei campi, la vecchia pelle di un rettile potrebbe far pensare alla morte dell'animale. Di fatto è una separazione, una perdita. Ma è stato lo stesso serpente a liberarsene per rinnovare se stesso e rinascere a nuova vita. Così io mi sono liberato della mia vecchia storia, del mio disagio, delle mie paure, per rinascere ad una nuova vita.


(Questa è la storia vera di uno di noi, uno del gruppo, ed è tratta dal volume di Vittorio CEI “Storie di Panico e Fobie – guarire si può” Armando Editori, 2006. Il nome del protagonista, naturalmente, è di fantasia.)

Nessun commento: