Il disturbo di panico è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla regolare e frequente manifestazione di attacchi di panico.
L’attacco di panico è un episodio di ansia acuta, nel quale si verifica un repentino e incontrollato aumento della paura in risposta a qualcosa che viene percepito come un pericolo: tale paura insorge in modo improvviso e intenso, ma ha generalmente una durata molto breve. L’attacco di panico è spesso associato a altri disturbi d’ansia e da solo non viene considerato un disturbo, in quanto si tratta di un episodio circoscritto e transitorio, che chiunque potrebbe sperimentare almeno una volta nella vita. Si parla di Disturbo di Panico se gli attacchi di panico vengono sperimentati con una certa frequenza e in modo sistematico.
La diffusione del disturbo di panico
Negli Stati Uniti, il 2-3% della popolazione tra adulti e adolescenti soffre di disturbo di panico nell’arco di 12 mesi, mentre nei paesi asiatici, africani e latinoamericani le percentuali sono più basse (tra lo 0,1 e lo 0,8%). Per quanto riguarda il singolo episodio di attacco di panico, è stato stimato che il 30% della popolazione ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Tale disturbo interessa maggiormente le donne, sono infatti il doppio rispetto agli uomini a soffrirne (Fonte: DSM-5).
I sintomi dell’attacco di panico
Un attacco di panico può manifestarsi a partire da uno stato di agitazione o da una situazione di tranquillità, rendendo l’imprevedibilità una caratteristica molto temuta da chi soffre di questo disturbo.
L’intensa agitazione è correlata da sintomi fisici (almeno quattro), che possono essere:
Palpitazioni, percezione di un aumento del battito cardiaco e tachicardia;
Sudorazione eccessiva;
Tremori di lieve o forte intensità;
Mancanza d’aria o sensazione di soffocare;
Dolore o fastidio al petto;
Nausea o disturbi addominali;
Sensazione di vertigine, instabilità, percezione di svenimento (di “avere la testa leggera”), confusione mentale;
Brividi o vampate di calore;
Sensazioni di formicolio o intorpidimento;
Sensazione di irrealtà (pensare che ciò che si vede o sente non sia reale) e di essere staccati da sé stessi.
Vi sono due pensieri ricorrenti che di solito accompagnano l’attacco di panico:
Paura di perdere il controllo o di “impazzire”;
Paura di stare per morire.
Affinché il disturbo di panicovenga riconosciuto tale, è necessario che l’attacco di panicosia accompagnato, per almeno un mese, da una costante preoccupazione della persona di avere un altro attacco e da significative modifiche del comportamento. La persona che soffre di attacchi di panico può arrivare infatti a limitare la vita quotidiana, evitando situazioni o luoghi percepiti come pericolosi e mettendo in atto strategie, spesso poco utili e controproducenti, per proteggersi da un eventuale attacco.
Va sottolineato che tale alterazione comportamentale non deve essere il risultato di effetti farmacologici, ma deve essere messa in atto dal soggetto allo scopo di scongiurare l’insorgenza di un attacco. Allo stesso modo, gli attacchi di panico non devono essere riconducibili a un’altra condizione medica o altri disturbi psicologici.
Come si manifesta l’attacco di panico
Il momento di inizio di un attacco di panico coincide con l’improvviso e crescente aumento della paura, che si amplifica fino a raggiungere il picco massimo in circa 10 minuti, indipendentemente dall’ansia esperita in precedenza. Si possono distinguere due tipi differenti di attacchi di panico: attesi/situazionali o inaspettati. In un attacco di panico atteso/situazionale la persona che ne è coinvolta riesce ad identificare l’elemento che lo ha scatenato, la fonte della paura, mentre nell’attacco di panico inaspettato l’individuo prova una forte paura senza riuscire a trovare una possibile spiegazione.
È tipico che la persona che sperimenta attacchi di panicosviluppi preoccupazioni in merito (1) alla possibilità che gli attacchi si verifichino di nuovo e (2) alle conseguenze degli attacchi stessi: paura di avere un infarto durante l’attacco, di impazzire, di avere danni alla salute. In particolare la percezione del battito cardiaco amplificato e accelerato è spesso molto preoccupante: i sintomi possono ricordare quelli dell’infarto, mentre la tachicardia nell’attacco di panico è innocua e tende a scomparire nel giro di qualche minuto. La persona che non è consapevole dei meccanismi psicofisiologici alla base dell’ansia nel momento in cui avverte la minima agitazione teme di avere un nuovo attacco di panico, e questo la porta a agitarsi ancora di più. È comune infatti che molti attacchi si siano manifestati proprio perché la persona che ne ha sofferto teme fortemente che l’episodio si ripresentasse: questa paura agita il soggetto tanto da scatenargli realmente un nuovo attacco, creando un vero e proprio circolo vizioso del panico.
Per quanto riguarda la frequenza degli attacchi di panico, possono presentarsi in serie molto diverse tra di loro: possono verificarsi attacchi a cadenza settimanale per alcuni mesi, oppure episodi giornalieri con pause di qualche mese che poi si ripresentano. Tra i sintomi elencati in precedenza, una stessa persona può manifestarne diversi nei vari attacchi: l’irregolarità e l’imprevedibilità del Disturbo di Panico infatti lo rende particolarmente temuto.
I comportamenti correlati al disturbo di panico
La conseguenza comportamentale di chi soffre di disturbo di panicoconsiste in una serie di evitamenti: solitamente si evitano i luoghi dove si ha avuto un attacco, le zone affollate dalle quali non si può uscire in fretta, gli spazi chiusi o sconosciuti, i mezzi pubblici, si evita di compiere sforzi fisici che potrebbero aumentare il battito cardiaco. Si attuano inoltre comportamenti volti a prevenire l’attacco di panico, chiamati “comportamenti protettivi”, quali ed esempio: portare con sé farmaci, muoversi solo in vicinanza di strutture mediche, stare sempre in compagnia di persone di fiducia che possano fornire aiuto all’occorrenza, tenere d’occhio le possibili vie di fuga e le uscite di sicurezza.
La diagnosi di disturbo di panico
Per una corretta diagnosi, il Disturbo di Panico non va confuso con altri disturbi dello spettro ansioso: se si sperimentano sintomi tipici dell’attacco di panico senza tuttavia avere un attacco vero e proprio, l’individuo è verosimilmente nella condizione di soffrire di un disturbo d’ansia con altra specificazione, ma non di un Disturbo di Panico.
Se la causa degli attacchi di panico è attribuibile ad una particolare condizione medica (ipertiroidismo, disfunzioni vestibolari, disturbi cardiopolmonari, ecc.) non è corretto parlare di Disturbo di Panico: gli attacchi insorgono come riflesso di un’altra patologia ed è necessario fare appropriati accertamenti.
Allo stesso modo gli effetti o l’intossicazione da sostanze stimolanti che attivano il sistema nervoso centrale come cocaina, anfetamine, caffeina e cannabis o astinenza da sostanze, come alcool e barbiturici, possono generare condizioni di forte agitazione ed essere responsabili di attacchi di panico; anche in questo caso la causa sono gli effetti delle sostanze stesse e non si tratta di un disturbo psicologico.
È da considerare con attenzione invece la condizione nella quale si verificano attacchi di panicoanche molto tempo dopo l’uso delle sostanze, quando gli effetti e le condizioni di intossicazione sono ormai estinte. In questo caso gli attacchi possono essere comparsi inizialmente in seguito agli effetti degli stupefacenti e poi essersi mantenuti nella persona grazie al circolo vizioso di agitazione, dando origine al Disturbo di Panico.
L’età media di insorgenza del disturbo si colloca tra i 20 e i 24 anni nella popolazione degli Stati Uniti. Più raramente è possibile osservare casi di attacchi di panico nell’infanzia o esordi attorno ai 45 anni. Se il disturbo non viene trattato si può protrarre per diversi anni, spesso con una diversi sintomi che cambiano nei differenti attacchi singoli. Una complicazione del disturbo tipica consiste nell’uso di sostanze con la funzione di autocura, allo scopo di tranquillizzarsi proteggendosi da ulteriori attacchi.
Le cause del disturbo di panico
Non si conosce tuttora un’unica causa responsabile del disturbo di panico, tuttavia sono stati identificati numerosi fattori di rischio, ad esempio il temperamento della persona, in particolare la sua tendenza ad avere un atteggiamento orientato al pessimismo e ad esperire emozioni negative. Anche la sensibilità all’ansia fornisce una buona predisposizione al verificarsi di attacchi di panico, rendendo l’individuo maggiormente predisposto al Disturbo di Panico. Storie di vita particolari e traumatiche, come essere stati vittime di abusi nell’infanzia, sono un potente fattore di rischio per gli attacchi di panico in età adulta, oppure eventi molto stressanti e destabilizzanti avvenuti poco prima del primo attacco (morte di familiari, problemi lavorativi e relazionali, incidenti). Infine l’iperventilazione (respirare intensamente, fornendo all’organismo più ossigeno del necessario), messa in atto solitamente dopo un intenso sforzo fisico o quando si trova in uno stato di agitazione, può facilitare di molto la comparsa dell’attacco di panico, così come fumare.
Costrutti psicopatologici del disturbo di panico e agorafobia
È comune che il Disturbo di Panico sia fortemente legato ad un’altra condizione psicopatologica: l’agorafobia. Questa è definita come una grande sensazione di disagio e timore di trovarsi in ampi spazi aperti o in ambienti non familiari, dai quali sarebbe difficile allontanarsi, uscire o trovare una via di fuga.
Chi soffre di agorafobia spesso si trova costretto tra le mura di casa, in quanto evita qualsiasi mezzo pubblico, gli spazi aperti (parcheggi, mercati, piazze, ecc.), gli spazi chiusi (teatri, cinema, ecc.), evita di stare in fila o in spazi affollati e di essere fuori casa da solo, con notevoli conseguenze a livello sociale e relazionale. Quando la persona che soffre di agorafobia si trova in una di queste situazioni (o in molte altre situazioni simili) avverte frequentemente i sintomi fisici e psicologici tipici dell’attacco di panico.
Nel Disturbo di Panico si può riscontrare l’adozione di stili di pensiero scarsamente utili, come il rimuginio, ovvero il continuo pensare e ripensare agli eventi negativi che potrebbero capitare, con l’obiettivo di prevederli, prevenirli e prepararsi a affrontarli. Sebbene risulti spesso incontrollabile e correlato a un aumento del disagio, il rimuginio viene visto dalla persona ansiosa come una valida arma contro i suoi sintomi. Dato che idee e preoccupazioni pervasive emergono nella mente in continuazione, rimuginando l’individuo ha l’impressione di potersi preparare ad affrontare la situazione e di sentirsi quindi maggiormente sicuro.
Terapia del disturbo di panico
La terapia per il disturbo di panico e agorafobia può essere di tipo farmacologico, psicoterapeutico o un’integrazione tra i due. La terapia farmacologica utilizza generalmente farmaci quali benzodiazepine e antidepressivi di nuova generazione. Questi farmaci sono in grado di controllare e ridurre lo stato di agitazione e ansia, tuttavia il loro effetto è correlato all’assunzione, quindi i sintomi tendono a ripresentarsi quando viene interrotta la terapia. La psicoterapia cognitivo-comportamentale lavora per aiutare la persona a analizzare i suoi processi cognitivi e a modificarli, offrendole strumenti per affrontare diversamente la sintomatologia ansiosa. I farmaci possono essere utili qualora l’individuo avverta stati di ansia talmente forti da non riuscire a lavorare in psicoterapia: in questo caso i farmaci vengono prescritti nella fase iniziale, per essere successivamente interrotti quando gli interventi cognitivi e comportamentali risultano sufficienti a arginare l’attivazione ansiosa. È piuttosto comune che la persona abbia timore di prendere i farmaci per paura di svilupparne una dipendenza, o che i loro effetti possano causare danni: tuttavia, se si seguono le indicazioni professionali del medico non ci sono rischi di questo genere.
La psicoterapia cognitiva nel disturbo di panico
La terapia cognitivo-comportamentale del Disturbo di Panico e Agorafobia è stata riconosciuta come efficace e inserita nelle linee guida NICE (Fonte: National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011) con i training di rilassamento. Gli interventi di self-help e i gruppi psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un orientamento di terapia cognitiva.
La terapia cognitiva-comportamentale opera analizzando i processi che si verificano durante l’esperienza del paziente: viene riconosciuto che la persona percepisce alcuni stimoli (spazi affollati, luoghi chiusi, mezzi pubblici, ecc.) o sensazioni interne (tachicardia, svenimento, ecc.) come pericolose e reagisce ad essi aumentando la sua agitazione, l’ansia. Quando il paziente si trova in uno stato ansiogeno, i sintomi sono amplificati e avvertiti ancora più pericolosi, fino a generare un attacco di panico, mantenendo il circolo vizioso nel quale si è trovato sino a questo momento. Per gestire e controllare tale meccanismo la terapia cognitivo comportamentale prevede:
Formulazione di un contratto terapeutico: definire gli obiettivi terapeutici condivisi da paziente e terapeuta
Psicoeducazione al disturbo: fornire al paziente informazioni su come funziona il disturbo di panico, su come insorge, si manifesta e si mantiene il panico
Ricostruzione della manifestazione iniziale e attuale del disturbo, attraverso l’individuazione di eventi specifici
Insegnamento di tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia
Individuazione delle interpretazioni erronee (ad esempio pensieri catastrofici) che portano all’attacco di panico e messa in discussione di tali interpretazioni
Esposizione graduale alle sensazioni e agli stimoli temuti ed evitati
Prevenzione delle ricadute.
Infine esistono interventi di psicoterapia cognitiva comportamentale di gruppo, che permette il confronto con persone che si trovano nella medesima situazione e condividono lo stesso disturbo, favorendo il superamento di difficoltà e incrementando le possibilità di successo dell’intervento.
Dal Sito: studicognitivi.it
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