La lettura potrebbe arricchire, aggiungere e migliorare quel benessere psicologico strappato oggi, nel 2020, a causa del coronavirus
Si definisce agnoterapia, l’applicazione della lettura come cura psicologica al fine di generare sollievo e potenziare uno stato di auto-accettazione.
Qualcuno ipotizzerebbe che la riflessione possa essere controproducente in questo periodo storico di emergenza mondiale, tanto meglio tenere la mente occupata tra spostamenti, disattenzioni e leggerezze. E’ molto più facile e comodo lasciar crescere la polvere grazie alla quale poter sotterrare le problematicità, d’altronde ognuno di noi custodisce dentro di sé zone buie dove non ama entrare: esse non sono altro che il luogo dove vengono segregati tutti quegli irrisolti e quelle decisioni rimandate e tramandate.
Oggi il cittadino è chiamato a stare e non a fare: stare in relazione con se stessi nella propria dimora, ma se l’individuo non accedesse simbolicamente ad “una stanza tutta per sé” ove poter con-tattare la propria emotività ed individualità, dove andrebbero a finire i pensieri? Non è il tempo di controllare, poiché il tempo stesso è il controllore: è il tempo che scandisce questi pseudo arresti domiciliari e costringe al confronto con se stessi, verso il quale l’essere umano dovrebbe mostrarsi accogliente e non diffidente.
È il tempo del condizionale: tutto si appoggia sulla speranza, come pensiero positivo e costruttivo che lega ogni essere umano. Siamo tutti, inermi, di fronte alla morte e alla sofferenza. Siamo tutti uguali e diversi. E’ il tempo dell’impotenza, dove c’è rabbia per non aver carpito la pericolosità dell’invisibile nemico, per non poter toccare con mano e non poter “salutare” chi appartiene alle proprie radici.
Vi è un ultimo tempo, quello della cura, di sé e dell’altro: è qui che si intrecciano preghiere, resilienze, lacrime e sospiri.
Michel Foucault afferma che bisognerebbe consacrare ogni giorno un momento alla “coltivazione di sé”: ognuno di noi non dovrebbe, quanto prima dedicarsi a le souci desoi, che si traducono entrambi con “cura”. In questi termini un libro potrebbe essere considerato come ulteriore dispositivo di protezione e di cura, poiché permetterebbe l’accesso e l’introduzione all’atto dell’introspezione: è lo stesso Sacks che ne fa un chiaro riferimento asserendo che esso è “lo strumento principe per tessere e tramare quel racconto interiore la cui continuità, il cui senso, è la nostra stessa vita.”
Si definisce agnoterapia, l’applicazione della lettura come cura psicologica al fine di generare sollievo e potenziare uno stato di auto-accettazione: non è altro che un beneficiare attraverso la comprensione che altri individui hanno sperimentano dinamiche simili e nella proiezione/ riconoscimento di parti di sé all’interno della storia narrata. L’attività è stata introdotta in un Centro Diurno per anziani in Israele negli anni Cinquanta circa. I libri quasi costringono all’ascolto dei propri silenzi, degli innominabili segreti e dell’ermeneutica del proprio sé: oggi si parla di un tempo della crescita e del rinnovamento, per cui è d’obbligo morale raggiungere, in aggiunta, il tempo liberato e liberatorio, drammatizzando all’esterno il fantasma e/o lo scenario di quegli assetti emozionali immobilizzati nelle sabbie mobili dei ricordi.
Risuscitando il proprio racconto, rilanciando e dunque rivoluzionando quelle letture interpretative che hanno dato luogo a incomprensioni, sospesi e non detti, è possibile giungere all’insorgenza di un dialogo interiore che lascia andare un monologo autistico del proprio io rigido a favore di una conservazione ed un’integrità emotiva, affettiva e relazionale. Siamo “tutti pazienti dell’immaginazione”, sottolinea James Hilmann nel 1983, e a distanza di trentasette anni, questo postulato resta ancora tanto vivo quanto vero: immaginiamo e ci illudiamo, talvolta, immaginiamo e speriamo, spesso. E’ sulla scia della buona e sana immaginazione che permette la normalizzazione dei propri stati d’animo, che il “gesto” di leggere potrebbe arricchire, aggiungere e migliorare quel benessere psicologico, strappato e virilizzato oggi, nel 2020: questo è il momento della rivelazione del proprio inconscio! Jung stesso, all’interno di una sua lettera rivolta al dott. Illing nel lontano 1955, afferma che “gli individui si possono migliorare, perché permettono un rapporto”, per cui la relazione curativa ed a tratti terapeutica con un libro risulterebbe efficace.
A questo punto sorge spontanea una domanda: come avviene il processo dinamico verso l’autoconsapevolezza e l’autoconoscenza di sé? Un esempio concreto è rappresentato dal meccanismo difensivo della proiezione, in altre parole le riflessioni sulla storia narrata nel libro, l’identificazione di uno o più personaggi descritti, un finale immaginato diversamente, una stimolazione di ricordi e/o scene già vissute, tutto questo attiva due bisogni emotivi appartenenti all’universalità umana: l’essere compresi, e dunque riassicurati, e l’essere accompagnati e dunque non isolati. Questi non sono altro che richieste trasversali che il cittadino mostra oggi: l’uomo chiede che vengano soddisfatti i propri bisogni emotivi all’epoca del coronavirus, per evitare di essere contagiati dal disorientamento cognitivo ed interpersonale.
Dare spazio e tempo ai propri vissuti grazie alle parole di un libro è un metodo applicativo per uscire dalla propria confort zone, assicurandosi il proprio posto nel mondo, senza alcun camice che addobbi disgraziatamente un ruolo e una funzione imposta ed impostata. Baumann ha più volte enfatizzato l’uso dell’introspezione, come miracolo all’esistenza: “la nostra vita è un’opera d’arte … per evolverla come esige l’arte della vita dobbiamo porci delle sfide difficili da contrastare … scegliere degli obiettivi che siano ben oltre la nostra portata”. Una sfida è dunque leggersi, solo così si potrà accedere a conoscere se stessi, divenendo ciò che si vuole essere. Leggersi è amare l’interno quanto la copertina del proprio libro, accettando i fogli strappati, le parole cancellate, i colori sbiaditi. L’accettazione è dunque il capolavoro finale del leggersi dentro. È quindi il tempo del hic et nunc, del qui e ora perché non sappiamo dove è finito il futuro, ma abbiamo cognizione che arriverà, per cui bisogna chiedersi come volersi presentare partendo da una significativa provocazione: sereni ci si nasce o ci si diventa? A voi, la libera lettura!
Dal Sito: stateofmind.it
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