L’ansia e gli attacchi di panico sono qualcosa che, ormai, fanno parte della vita di tante persone – sempre di più giovani – e per questo è molto importante dar loro il giusto valore, la giusta importanza e cercare di capire come poterli superare.
È altrettanto importante sapere come gestirli e come poter aiutare qualcuno che li sta vivendo.
Questa reclusione forzata in casa ha influito moltissimo dal punto di vista psicologico sulla nostra quotidianità, le nostre abitudini sono state totalmente stravolte e il senso di oppressione e solitudine ci ha messo spalle al muro.
Molte persone, molti ragazzi, hanno dovuto fare i conti con quelli che vengono chiamati attacchi di panico. “Improvvisi episodi di paura o ansia intensa, accompagnati da sintomi fisici e causati dalla percezione di una minaccia, piuttosto che da un pericolo imminente”, così li descrive Google.
In realtà, per chi lo vive, l’attacco di panico – o d’ansia – è letteralmente una fame d’aria, “dispnea” come la chiamano i medici, una sensazione di soffocamento che parte dal tremore o forti scosse, accompagnato da un pianto intenso, vertigini e capogiri.
Riuscire a gestirlo e ad aiutare a gestirlo è la cosa più importante.
Può risultare molto difficile capire come comportarti e come riconoscerlo: l’individuo può sentire difficoltà a respirare bene, dolore al petto e il battito che accelera.
Stabilendo una parola o un gesto in codice con l’altra persona vi aiuterà a capire cosa sta succedendo e a reagire il più velocemente possibile.
Mantenete la calma ma senza dire frasi del tipo “stai tranquillo” o “respira”, perchè non faranno altro che peggiorare la situazione: la persona davanti a voi sta già cercando di respirare, fargli notare chiaramente che la situazione è fuori controllo non farà altro che peggiorare il suo stato d’animo e farlo preoccupare ancora di più.
Non c’è un reale pericolo, ma è bene che facciate sentire la vostra presenza alla persona in questione e la rassicuriate, magari aiutandola a respirare e facendolo insieme a lei.
La comunicazione è fondamentale: basterà anche solo tenerle la mano per aiutarla a regolarizzare il battito cardiaco e la respirazione, fatto ciò tornerà tutto lentamente alla normalità.
“Mi è sembrato di rivivere lo stesso giorno per quasi tre mesi. È stato devastante.” Ci racconta Andrea. “Passavo le giornate a fissare il muro che sembrava avanzare sempre di più verso di me e schiacciarmi.” Continua.
Martina, invece, ci svela: “Fissavo il libro, ma non sono riuscita a studiare una sola pagina. I miei pensieri confluivano costantemente verso il senso di oppressione che mi dava il non poter mettere la testa fuori dalla porta. Avevo bisogno di spazi ampi, di aria e del vento in faccia”.
“Mi svegliavo tutte le notti in preda al panico, senza riuscire a respirare. Non vedevo l’ora che tutto finisse, ma allo stesso tempo avevo paura anche al solo pensiero di uscire. Sentivo di potermi contagiare anche solo schiacciando il tasto dell’ascensore del mio condominio.” Si confida Sara. E ancora “Non sapevo se fosse peggio la sensazione di fame d’aria in quei momenti di crisi o la mancanza di una vita regolare e piena di abitudini”.
“Mi capita ancora adesso di sognare di trovarmi in un recinto, in un labirinto senza uscita o in una gabbia. Tutto ciò che mi ricorda il sentirsi intrappolato.” Sono le parole di Simone.
Questo evento tragico non sarà soltanto riportati sui libri di storia delle prossime generazioni, per noi, sarà un orribile incubo che porteremo sempre con noi.
Dal Sito: bergamonews.t
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