Appesa a una parete della mia stanza c’è la foto di una ragazza che pattina sul ghiaccio. Avanza scivolando con le braccia alzate e la teste buttata all’indietro. Apparentemente priva di preoccupazioni, è ignara della presenza di un cartello: ATTENZIONE, GHIACCIO SOTTILE. Vi ricorda qualcosa?
Attraversiamo quasi tutti la vita a velocità di crociera
Attraversiamo quasi tutti la vita a velocità di crociera col pilota automatico inserito. Forse le cose vanne bene, o per lo meno la vita e attualmente priva di sventure. Magari abbiamo un lavoro decente, dei rapporti che ci offrono sostegno, siamo in buona salute, eppure, mentre avanziamo scivolando, abbiamo la vaga sensazione che il ghiaccio sotto di noi sia sottile. Avvertiamo il fremito ansioso che vibra di una vaga insoddisfazione, aree di dolore non sanato o di paure mai affrontate. Eppure, per lo più, scegliamo di non guardare sotto la superficie.
Quando la vita prende una brutta piega
Quando la vita prende una brutta piega, quando iniziamo a incontrare crepe nel ghiaccio, che facciamo? Cerchiamo di ripulire la superficie, compiendo gli sforzi abituali per respingere o superare le difficoltà. Oppure cerchiamo di pattinare intorno alle crepe ignorando o reprimendo le nostre reazioni agli episodi spiacevoli.
Tentando di non cadere nelle crepe formatesi nel ghiaccio, scegliamo la nostra strategia, o sforzandoci maggiormente di mantenere il controllo sulla nostra vita, o compiendo tentativi mal diretti di sfuggire alle difficoltà con lo svago, i piaceri, l’attività. Raramente mettiamo in discussione le nostre strategie che sono sempre radicate nella paura. Riteniamo che siano verità indiscutibili. Eppure, comportandoci così, tracciamo i nostri confini, i nostri limiti. Di conseguenza, la nostra vita si riduce a una sensazione di vaga insoddisfazione. A quali strategie ricorriamo per costruirci un terreno apparentemente solido in modo da non affrontare le paure? Esse sono diversificate quanto le personalità.
Strategie
Alcune sono strategie di controllo, tentativi di mantenere un ordine per scongiurare la sensazione del caos incombente. Altre sono strategie di successo che comportano la spinta a far carriera, a trovarsi ai vertici, innestate allo scopo di ignorare il tormentoso imperativo interiore di dimostrare il proprio valore. Ci sono strategie di acquiescenza che cercano l’immaginaria consolazione dell’inserimento, e strategie di cura con cui si spera di trovare sicurezza nell’essere richiesti e apprezzati. Ci sono anche strategie di bisogno in cui assumiamo l’identità della debolezza e tentiamo disperatamente di essere salvati da una persona, da un gruppo o da un’istituzione; e strategie di svago con cui cerchiamo un piacere dopo l’altro per colmare i vuoti dello struggimento e della solitudine. La lista è lunga.
Precipitare nell’acqua ghiacciata
A volte ci tocca precipitare nell’acqua ghiacciata, incapaci di muoverci e di respirare, sopraffatti e in procinto di annegare, prima di essere costretti a occuparci del condizionamento inveterato che manda avanti la nostra vita: le mine della rabbia, paura e confusione. Può essere necessaria una malattia, un rovescio finanziario, il fallimento di un rapporto o la morte di una persona cara per risvegliarci e costringerci a essere semplicemente in quell’acqua ghiacciata. Quando sprofondiamo in queste situazioni indesiderate non possiamo più ricorrere a strategie per non fronteggiare il dolore. È lì, proprio davanti a noi! La perdita della sicurezza finanziaria, della salute o di un rapporto, per esempio, farà affiorare la paura e probabilmente proveremo rabbia, autocommiserazione, depressione e confusione . Il nostro modo di elaborare questi sentimenti ci darà la misura di quanto abbiamo compreso il vero significato della vita.
Quando siamo feriti da uno degli inevitabili colpi della vita
Quando siamo feriti da uno degli inevitabili colpi della vita, la fortuna di avere una pratica spirituale intensa e autentica ci dà la possibilità di fare qualcos’altro che non sia cercare consolazione e fuga. Nei primi anni Settanta comprai una casa con un piccolo appezza mento di terreno nella California del nord. Per undici anni mia moglie ed io coltivammo un grande orto biologico. Avevamo in mente di vivere dei frutti della terra, il che voleva dire allevare capre per il latte, polli e pecore per la carne. Era una vita piacevole ed eravamo soddisfatti di poter crescere i nostri figli nel modo secondo noi più sano. Quando però ci ammalammo entrambi di una grave malattia del sistema immunitario, nel nostro sangue furono rilevati alti livelli di residui di DDT. Il DDT era stato sepolto nella proprietà prima che la acquistassimo e i veleni si erano introdotti nel nostro corpo tramite le verdure e la carne che avevamo coltivato e allevato con tanta cura. L’esposizione prolungata aveva indebolito il sistema immunitario.
Il tentativo di vivere secondo uno stile di vita salutare
Paradossalmente il tentativo di vivere secondo uno stile di vita salutare ed ecologico aveva contribuito all’insorgenza di una malattia debilitante cronica. Non c’era nessuno da incolpare. Seppellire i rifiuti era esattamente ciò che la gente faceva a quei tempi per smaltire i pesticidi. La strategia che avevamo adottato per rendere sicuro e protetto il nostro mondo era fallita. Avevamo pattinato sul ghiaccio sottile. Qualsiasi cosa facciamo, per quanto siano buone le nostre intenzioni, niente ci può dare la certezza di non precipitare nelle acque gelide. Per quanto proviamo, non possiamo mettere in atto strategie e controllare il nostro mondo in modo da evitare ogni difficoltà.
Imparare dal senso di impotenza
L’essenziale è se impariamo o no dal senso di impotenza che scaturisce dal fallimento delle strategie. Quando, ai primi sintomi della malattia del sistema immunitario, la mia vita andò in pezzi, mi ci vollero molti anni per comprendere realmente il grande insegnamento che mi aveva impartito il senso di impotenza dato dalla perdita del controllo. Tuttavia, anche quando impariamo la lezione che ci danno gli sconvolgimenti di questa portata, non appena ci rimettiamo, spesso torniamo a scivolare sul ghiaccio sottile. Magari sappiamo qualcosa della spaccatura nella quale siamo caduti, ma che ne sappiamo delle altre crepe nel ghiaccio? Siamo in grado di riconoscere le nostre delusioni dalle piccole incrinature (i turbamenti, gli sbalzi d’umore, gli sforzi per proteggerci, difenderci, respingere)?
Ciò di cui abbiamo bisogno è vedere con chiarezza che insistiamo a pattinare sul ghiaccio sottile
Ciò di cui abbiamo bisogno è vedere con chiarezza che insistiamo a pattinare sul ghiaccio sottile, che utilizziamo identità, strategie e immagini mentali per mantenerci in moto. Abbiamo bisogno di vedere la nostra energica determinazione a far funzionare le strategie. Allora, quando nella vita si presenteranno situazioni che non ci soddisfano, che mettono in discussione la nostra identità e il nostro senso del benessere, potremo aprirci alla possibilità di imparare queste due lezioni fondamentali.
Prima lezione
In primo luogo potremo imparare a riconoscere che la difficoltà è il sentiero, invece che cercare di sfuggirle. E’ un cambiamento di prospettiva radicale, ma necessario. Quando capita qualcosa di sgradevole, vogliamo raramente averci a che fare. Forse reagiamo con la convinzione “non dovrebbe andare cosi”, o “la vita non dovrebbe essere così ingarbugliata”. Chi l’ha detto? Chi ha mai detto che la vita non debba essere un caos? Di solito, quando la vita non corrisponde alle nostre aspettative, cerchiamo di cambiarla in modo che vi si adatti. L’essenza della pratica tuttavia non consiste nel cercare d cambiare la vita, quanto il nostro rapporto con le aspettative: imparare a considerare qualsiasi cosa accada come il nostro sentiero. Le difficoltà non sono ostacoli sul sentiero, sono il sentiero stesso. Sono occasioni di risveglio.
Siamo capaci di imparare cosa significa accogliere una situazione indesiderata, col senso di fragilità che tra smette, come un invito al risveglio? Siamo capaci di considerarla il segnale di una lezione da imparare? Siamo in grado di lasciarla entrare nel cuore? Imparando ad agire cosi, compiamo il primo passo che ci porta a imparare cosa significa aprirsi alla vita cosi com’è. Impariamo che cosa significa essere disposti ad accogliere qualsiasi cosa la vita offra. Anche quando una situazione non ci piace, capiamo che la difficoltà presente è la nostra pratica, il nostro sentiero, la nostra vita.
Seconda lezione
In secondo luogo quando siamo colpiti dalla durezza della vita, possiamo imparare a non puntare il dito accusatore (contro qualcun altro, contro noi stessi, contro un’istituzione o addirittura contro la vita stessa) e a volgere invece l’attenzione all’interno. Spesso, quando siamo afflitti, è una delle cose più difficili da fare, perché proviamo un desiderio intenso di difenderci. Vogliamo con tutte le forze aver ragione. Ma è molto più utile capire con cosa abbiamo contribuito alla situazione: convinzioni, aspettative, esigenze e smanie.
Allora potremo a poco a poco arrivare a comprendere che ogni reazione emotiva è il segnale della presenza di un sistema di convinzioni che non abbiamo ancora esaminato accuratamente. Con la pratica, tale comprensione diventa gradualmente il nostro orientamento di base.
Guardare in noi stessi
Forse intellettualmente ci rendiamo conto della necessita di guardare in noi stessi, ma è come se non lo sapessimo. Ci sono persone di cui ci facciamo beffe perché non sanno vedere di sé le cose più ovvie. Ebbene, quelle persone siamo noi! Dobbiamo ammettere che spesso ci rifiutiamo di vedere quegli aspetti di noi stessi che ci fanno soffrire. Sostanzialmente, vogliamo che la vita ci accontenti; desideriamo sentirci a nostro agio e protetti. L’ultima cosa che vorremmo è mettere in mostra i nostri sostegni traballanti, le convinzioni inconsistenti che si frappongono tra noi e il territorio sconosciuto. Perché? Perché esaminare noi stessi a questo livello non è necessariamente piacevole. Ma fintanto che non diventeremo consapevoli di tutti i sistemi con cui ci manteniamo nell’ignoranza di ciò che si nasconde sotto il ghiaccio, continueremo ad avanzare scivolando privi di direzione.
Quello che ci serve è un cambiamento, graduale
Quello che ci serve è un cambiamento, graduale ma sostanziale, di orientamento verso la vita; un cambiamento che comporti la disponibilità a vedere, a imparare,a essere semplicemente con tutto ciò che incontriamo. Forse non c’è nulla di più basilare e sostanziale del la disponibilità a essere. Essere semplicemente con la nostra esperienza, fosse pure la pesantezza e l’oscurità che circondano la sofferenza, suscita una sensazione di leggerezza e compassione. La chiave è la disponibilità a imparare da delusioni e disinganni. Dolori che ritenevamo di non essere mai in grado di sopportare diventano accessibili. Coltivando la disponibilità a essere semplicemente scopriremo di poter lavorare con qualsiasi cosa. Fintanto che non arriveremo a comprenderlo, ci escluderemo dall’apertura, dal senso di connessione e riconoscenza, che sono doti naturali dell’essere umano.
Dal Sito: interattivamente.org
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