Tachicardia, dolore al petto, sudorazione profusa, paura di morire, paura di impazzire, paura di affogare, paura di avere paura. Questi sono i sintomi più spesso presenti nei racconti di chi soffre di attacchi di panico, racconti carichi di terrore, di senso di colpa, di vergogna, di paura del futuro.
Ma che cos’è veramente un attacco di panico? È un campanello d’allarme, una spia che obbliga la persona a fermarsi e a cominciare a prendersi cura di sé. Nella mia esperienza, l’attacco di panico trova terreno fertile in personalità che, prima della crisi acuta, davano l’impressione di essere sicure di sé, competenti, efficienti, autonome, ipercontrollate, “onnipotenti”. Si parla in questi casi di un falso sé, termine con il quale si indicail modo di essere proprio di chi tende a negare le proprie fragilità e a controllare e inibire le proprie emozioni, le proprie energie, i propri desideri. Spesso, è proprio questa immagine di sé non autentica a non consentire alla persona di chiedere immediatamente aiuto: l’attacco di panico viene taciuto perché rappresenterebbe una dolorosa ammissione di fragilità (per sé e per gli altri) e la persona spera che, con il tempo, passerà da solo. In tal senso, l’attacco di panico può essere inteso come il crollo del falso sé e, dunque, rappresenta per la persona una vera benedizione perché il cambiamento passa inevitabilmente attraverso una crisi che, mettendo in discussione il vecchio modo di essere, fa spazio al nuovo, al vero sé.
In commercio sono sempre più diffusi manuali sulle tecniche da utilizzare per non soffrire più di attacchi di panico, per imparare ad evitarli e a gestirli velocemente, come se bastasse qualche consiglio per intervenire seriamente su un disagio che ha radici molto più profonde. Anche i farmaci comunemente utilizzati nel trattamento degli attacchi di panico hanno sicuramente il merito di tranquillizzare la persona e di darle un sollievo momentaneo, ma non dovrebbero essere assunti per un periodo di tempo prolungato in quanto oltre a causare dipendenza sia fisica che psicologica non “curano” l’ansia in sé ma zittiscono solamente i sintomi spostando l’attenzione dalle cause profonde del malessere. Questo disagio è sempre legato alla parte “sommersa” della personalità e trae spesso origine e nutrimento dalle relazioni significative della persona (con i genitori, con il partner, ecc.). In tal senso, si comprende come non sia di nessuna utilità clinica intervenire con l’unico obiettivo di eliminare il sintomo.
In genere, infatti, la scomparsa del sintomo è una conseguenza, prima però l’attacco di panico va ascoltato, compreso e collegato alla propria storia, individuale e familiare. È un percorso che richiede molto coraggio, soprattutto il coraggio di chiedere aiuto, ma è un passaggio obbligato per chiunque voglia realizzare la propria crescita, scoprire i talenti precedentemente repressi e recuperare gli aspetti vitali e creativi della propria personalità.
Dal Sito: psycommunity.it
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