A gennaio sono rimasta incinta…dapprima niente poi verso marzo le nausee e la difficoltà a bere acqua…ma fino a qui tutto nella norma. Mio marito mi dice che non sono particolarmente felice della mia gravidanza…a maggio mi sento svenire e inizio a pensare ripetutamente che potrebbe accadere di nuovo, a giugno infatti succede ancora e sono sempre più spaventata. Inoltre alcuni miei pensieri diventano ricorrenti, pensieri brutti come sentirmi male, svenire, pensieri che condizionano la mia vita, non vado più al mare da sola, non prendo più l’auto…passano i mesi e le cose peggiorano, sono preoccupata per la ferritina che continua a scendere, sono preoccupata di tutto…perdo i miei interessi e il gusto nel mangiare, eppure non ho più le nausee, perdo persino la parola, il sonno e trovo difficoltà ad organizzare il pranzo e la cena, le idee sono confuse e non mi sento più io.
Ormai sono un contenitore, il mio unico segno di vita viene dal pancione: è mio figlio che punta i piedini e spesso singhiozza. Per il resto mi sento morta e invidio tutti gli altri che vivono, parlano…
…chiamo la mia psichiatra e mi prescrive cipralex. Mio marito è preoccupato per il bambino, io non so come andare avanti, giorno e notte sono uguali per me. So di non potermi curare veramente perché i farmaci farebbero male a “lui” ma io non sto bene e mi chiedo come potrò accudirlo…passano i mesi e spero ogni giorno che questo male mi abbandoni invece no.
Arriva il giorno del parto e sono lucida, faccio tutto il travaglio a casa poi in sala parto esce il bambino in un’ora. Almeno in questo sono stata capace. Passo i tre giorni in ospedale sperando che qualcuno si renda conto che sto male invece mi trattano come fossi “normale”. Solo mia madre si rende conto del problema e mi assiste tutto il tempo che può, mi lava, mi dà speranza…
…finalmente torno dalla mia psichiatra e vengo ricoverata in una clinica psichiatrica, devono assicurarsi che io non compia gesti estremi. Sì, perché ho iniziato a soppesare anche l’idea del suicidio. Mia mamma è con me, mi fa mangiare, mi spinge a prendermi cura di me. Mio figlio è a casa con mio marito ed i miei suoceri, so che è in buone mani perché io non sono capace di accudirlo, non riesco neanche per me stessa…
Esco dalla clinica e sto ancora male, dovranno passare altri tre mesi prima che la cura farmacologia faccia i primi effetti. Arriva Natale e sto così così, a gennaio trovo una valida psicoterapeuta, nel giro di poche settimane mi torna la parola e faccio la mia prima uscita: una pizza in compagnia, la seconda per vedere il presepe vivente con mio figlio e mio marito.
Vorrei tornare a lavoro…Per fortuna ho avuto il congedo per la maternità altrimenti dove sarei andata in quelle condizioni?
Sì, perché c’è anche il lavoro da portare avanti oltre che la famiglia. Ad agosto sono stata convocata per scegliere la destinazione dei miei primi anni di contratto a tempo indeterminato, dovrei svolgere l’anno di prova ma se ne parla l’anno scolastico prossimo e spero di uscire da questo vortice. Alla convocazione molti sono felici perché vedono realizzarsi il sogno di una vita io invece vorrei rimandare tutto a quando riuscirò ad apprezzarlo e invece non si può perché la vita va avanti che io lo voglia o no.
Comunque arriva febbraio ed io sto abbastanza bene, la terapia funziona e mi sembra un miracolo anche se ci sono alcuni effetti collaterali e alcuni sintomi residui di quella bestia di depressione.
Ho la macchina nuova e sono soddisfatta, con qualche timore a marzo torno a lavoro, ci sono ancora alcuni sintomi da eliminare, la terapia va integrata. A scuola non mi sento più un’aliena e non provo più invidia per le persone “normali”.
È luglio, ho ottenuto il trasferimento presso quella che considero “la mia scuola”, finalmente mi godo le feste, ho ritrovato il piacere di mangiare, di leggere un buon libro e di passeggiare sul lungomare con il mio bambino. Adoro il suo sorriso, vorrei essergli accanto sempre e vederlo crescere, vorrei essere sempre presente per lui e soprattutto “funzionante”.
La Dottoressa è stata chiara: non ci sono garanzie che ciò che mi è capitato non possa accadermi di nuovo, però la terapia che sto facendo è una buona forma di prevenzione.
Con qualche collega e qualche amica ho parlato di questo disturbo, qualcuno ha capito qualcun’altro lo ha sottovalutato. Nel ricordo di quanto accaduto mi godo ogni momento perché ho riscoperto tutti i piaceri più semplici della vita.
Ogni tanto temo una ricaduta o che mio figlio possa vivere un’esperienza simile – avrà base genetica questo disturbo? – però una piccola parte di me è tornata a pensare al futuro e a fare progetti ed è fiduciosa, dovesse ricapitare avrei la pazienza di aspettare che la terapia faccia effetto, perché è così, perché nessuno conosce bene la causa ma questi disturbi esistono e sinceramente sarebbe anche ora di parlarne.
Carla
Dal blog: La mia oasi
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