La paura e l'ansia occupano un punto preciso del nostro cervello. Si tratta di un piccolo nucleo (10-12 mm di diametro) di colore grigio-rossastro che si nasconde nelle profondità del Sistema Nervoso Centrale, in una posizione cruciale, in collegamento con molte altre strutture cerebrali.
Per forma e dimensioni simili a quelle di una piccola mandorla, questo gruppo di cellule fu denominato amigdala, circa 200 anni fa, dall'anatomo-patologo Karl Burdach. Allora si pensava che per connessioni e funzioni l'amigdala appartenesse solo ai centri dell'olfatto. Recenti ricerche hanno invece messo in evidenza il suo ruolo determinante nel controllo di comportamenti complessi quali l'attenzione e la vigilanza, lo sviluppo dei rapporti sociali e soprattutto l'apprendimento e la memoria della paura e dell'ansia.
Si è scoperto come informazioni che arrivano da tutte le vie sensoriali convergano verso l'amigdala. Stimoli non solo cognitivi (di conoscenza) e affettivi (riguardanti l'emotività), ma anche neutrali che provengono da quasi tutte le aree del Sistema Nervoso e che sono integrati, elaborati e quindi rispediti al mittente con una nuova connotazione, si potrebbe quasi dire con una loro "coscienza".
Si pensa che le connessioni tra l'amigdala e la corteccia cerebrale frontale siano la via anatomica della percezione cosciente della paura e dell'ansia, in pratica attraverso l'amigdala ci si rende conto di questi stati emotivi. Di quella connotazione così esclusivamente individuale che rende ognuno di noi in grado di vivere le sue ansie e le sue paure in modo assolutamente proprio, in relazione con le esperienze e i sentimenti collegati a ogni evento in cui la paura è stata provata per la prima e tutte le volte successive.
C'è di più. Infatti, la paura e l'ansia nel processo di evoluzione dell'uomo sono state conservate perché "utili": in una colonia di scimmie o negli ominidi primordiali di 100 mila anni fa, per esempio, gli "ansiosi e i paurosi" avevano il ruolo naturale di sentinelle. Le sentinelle non giocavano, non andavano a caccia, ne' litigavano per il dominio del territorio, ma proteggevano il branco. Circolando nervosamente, come un uomo ansioso fa ancora oggi, tra i loro simili, scrutavano l'orizzonte, annusavano l'aria alla ricerca di un qualche segnale che giustificasse quella sensazione di peso, di tensione che si sentivano addosso.
Mentre i coraggiosi rientravano con le prede e scoprivano nuovi e più fecondi terreni di caccia, i pavidi curavano la prole e le proprie famiglie come nessun altro avrebbe saputo fare. Ancora una volta l'umanità ha avuto bisogno di entrambi i tipi di comportamento e, come vedremo nelle pagine seguenti, di molti altri.
In un caso i nuclei cerebrali della paura, tra cui l'amigdala, sono molto sensibili agli stimoli ambientali, nell'altro sono molto più resistenti. Quando questi stimoli raggiungono il livello di soglia, diverso tra una persona e un'altra, si scatena una reazione fisica ben precisa e conosciuta. La pressione arteriosa si alza, i battiti del cuore aumentano, le pupille si dilatano, la cute si fa pallida, il respiro diventa superficiale e rapido, l'attenzione aumenta, le espressioni della faccia si modificano e compare un pensiero chiarissimo: "Ho paura".
Lo scopo di questo "uragano" neurochimico è quello di fornire energie e abilità sufficienti per reagire a uno stimolo esterno che solitamente giustifica l'ansia. Questo accade di solito, ma non sempre. L'amigdala è un nucleo d'interazione, in grado cioè di mettere in relazione azioni e reazioni ma non di giudicarle; in pratica, non può distinguere quanto gli stimoli ansiogeni siano reali o immaginari. Per il cervello ovvero per la sua amigdala, come tutti sappiamo, un sogno è reale, un film è reale, un libro è reale e lo sono le loro memorie, indipendentemente dal fatto che siano realmente accaduti. La neurofisiologia della realtà virtuale e le sue applicazioni si basano proprio sulla capacità del Sistema Nervoso di abbinare stimoli artificiali e quindi "virtuali" con memorie ed esperienze reali.
Ecco quindi che l'ansia intesa come malattia e la paura ingiustificata nascono da un "errore" che si verifica nelle strutture anatomiche preposte all'analisi degli eventi. L'amigdala è una di queste strutture, forse la principale. I difetti di funzionamento di questa minuta, altrimenti insignificante, zona del cervello contribuiscono a provocare gli attacchi di panico in cui tutte le sensazioni che abbiamo descritto sono improvvise, non sembrano avere una causa apparente e sono molto amplificate. In questi casi la coscienza della paura, la paura di ciò che potrebbe accadere è molto più importante di ciò che sta realmente accadendo, e il pensiero anticipatorio della paura diventa più preciso e doloroso: "Ho paura di morire. Ho paura di impazzire".
Esiste anche la condizione opposta. Quando l'amigdala è poco sensibile agli stimoli che provengono dalle altre zone del cervello, l'individuo non prova alcuna paura, né riesce davvero a capire cosa sia l'ansia. E' un evento molto raro ma possibile. E' quanto riportato nel caso di una paziente che, nonostante fosse esposta a stimoli normalmente ansiogeni (facce minacciose, animali feroci, foto di sanguinosi delitti) rimaneva del tutto indifferente.
La signora non aveva neppure la benché minima reazione, la sua pressione arteriosa non si alzava di mezzo punto ne' il suo cuore accelerava di un solo battito. Niente, neppure quel sussulto che capiterebbe anche al più controllato di noi se qualcuno d'improvviso gli facesse "Buh!" da dietro una porta. Eppure la paziente era in grado di riconoscere lo stimolo, cioè sapeva descriverlo perfettamente ed era cosciente di quello che vedeva, non sapeva però che cosa significasse. Non riusciva a dare un peso emotivo a quelle immagini. Sarebbe stato bello lavorare di fantasia per cercare una ragione psicologica che aveva reso quella donna così refrattaria alla paura, che aveva conferito solo a lei e a nessun altro dei suoi fratelli e sorelle tutti cresciuti ed educati nello stesso ambiente, quei poteri tanto rari e "magici".
Gli psichiatri richiesero invece una Risonanza Magnetica, il cervello della "Signora Coraggio" era perfettamente normale eccetto che per una piccola lesione nel corno posteriore dell'amigdala. Una perdita di pochi millimetri che alla luce di quanto abbiamo detto era tuttavia sufficiente per impedire l'integrazione degli stimoli tra loro e con le memorie che essi avrebbero potuto evocare. Una migliore comprensione dei sistemi del cervello che inibiscono fisicamente le funzioni dell'amigdala e che quindi ne riducono l'eccitabilità, potrà portarci allo sviluppo di strategie a base di farmaci più efficaci di quelle attuali nel trattamento dei disturbi della memoria, dell'ansia e degli attacchi di panico.
L'evoluzione della nostra razza è iniziata molto tempo or sono ed è stata molto lenta, tanto che per la divergenza tra noi ed i gorilla che è iniziata circa 5 milioni di anni fa esiste una variazione tra i patrimoni genetici di appena l'uno per cento. Una mutazione ogni 100 basi ci rende diversi dai primati più vicini a noi, mentre tra noi e gli uomini vissuti ad esempio 400 anni fa non vi è alcuna differenza genetica sostanziale, si tratta di differenze funzionali, dovute ad un miglior adattamento, ad una migliore qualità della vita, al miglioramento delle cure mediche. Il cervello è sostanzialmente lo stesso. Questa differenza tra le condizioni naturali in cui l'evoluzione è avvenuta e l'improvviso cambiamento di quelle in cui attualmente l'uomo vive, contribuisce a spiegare i costi psicologici, sociali e l'aumento della frequenza di certe malattie che osserviamo al giorno d'oggi. Vi sono le condizioni in grado di interferire con il normale funzionamento del sistema dopaminergico e di causare nuovi episodi della malattia maniaco-depressiva. In fondo ogni condizione che può mandare il sistema in eccitamento è in grado di mandarlo in depressione e la soluzione sarebbe quella di non illuderci di una euforia troppo esagerata. Un concetto già espresso da William Shakespeare quasi quattro secoli or sono che vedremo nel prossimo paragrafo che introduce il nostro tentativo di interpretare i vizi capitali, ovvero dei tratti cognitivo-comportamentali, in chiave evoluzionistica.
Tratto da "Imperfezioni umane" - di Luca Pani e Gilberto Corbellini (Rubbettino)
Dal Sito: dica33.it
Nessun commento:
Posta un commento