martedì 17 novembre 2020

Farmaci, quando smettere all’improvviso è pericoloso



Tanto più è stato lungo il trattamento tanto è più delicato il percorso per sospenderlo. In particolare bisogna «disabituarsi» al cortisone e agli antidepressivi

Smettere? A volte è la parte più difficile di una terapia. E interrompere una cura male, o al momento sbagliato, è uno degli errori più comuni. Vale una prima regola fondamentale, come spiega il farmacologo Sif Gianni Sava: «Tanto più è stato lungo un trattamento, quanto più delicato è il percorso da seguire per sospenderlo. I farmaci, per funzionare, interferiscono con l’organismo e questo deve avere tempo per riadattarsi a stare senza, per “lavarne” via pian piano gli effetti».

I farmaci «più a rischio»

Per alcuni principi attivi la necessità di scalare le dosi per «disabituarsi» è nota: i cortisonici, per esempio, vanno abbandonati gradualmente perché influenzano la produzione naturale di ormoni da parte del surrene e uno stop troppo brusco potrebbe provocare insufficienza surrenalica. «Meno conosciuta, invece, è l’importanza di interrompere una terapia con benzodiazepine in maniera controllata: spesso lo si fa cambiando farmaco e passando a prodotti con un’emivita più lunga (che cioè restano in circolo per un tempo maggiore, consentendo un “diradamento” delle pillole e quindi un abbandono progressivo, ndr)», dice Sava.

Sintomi da astinenza

L’interruzione repentina può dare infatti sintomi di astinenza come insonnia spesso associata a incubi, forte ansia fino agli attacchi di panico, tensione muscolare: una specie di “rimbalzo”, con la comparsa proprio dei sintomi per cui di solito si assumono questi farmaci. Togliere all’improvviso l’effetto inibitorio delle benzodiazepine sul cervello, a cui ci si era abituati in mesi di terapia, porta infatti a un incremento dell’eccitabilità del sistema nervoso, come se venisse a mancare un freno: poi con il tempo si torna all’equilibrio, grazie alla ripresa del funzionamento dei recettori su cui agiscono questi ansiolitici, ma i sintomi di uno stop repentino possono essere molto sgradevoli. I farmaci attivi sul sistema nervoso centrale peraltro sono quelli per cui la sospensione della terapia deve essere condotta con maggiore attenzione, sotto la guida del medico: un recente studio di Mireille Rizkalla del Department of Clinical Integration della Midwestern University di Chicago, per esempio, ha segnalato che molti pazienti possono andare incontro a una sorta di sindrome da interruzione degli antidepressivi con disturbi come insonnia, mal di testa, alterazioni sensoriali e dell’equilibrio, sintomi simil-influenzali. Per evitarli è opportuno gestire l’abbandono della terapia col medico, magari associando la riduzione progressiva dei dosaggi a una fase di maggior supporto non farmacologico con la psicoterapia.

Comunicare con il medico

«Le interruzioni brusche, soprattutto nelle patologie psichiatriche, possono portare a recidive e vanno evitate», osserva il farmacologo dell’università di Catania Filippo Drago. «In generale poi ogni sospensione di cura va concordata col medico, che deve comprendere i motivi per cui il paziente vorrebbe interrompere: sta ancora male perché la terapia non è corretta? Oppure sta bene e quindi non vede motivo per continuare? A seconda dei casi, può essere opportuno cambiare farmaco o aumentare la consapevolezza del paziente sulla necessità di proseguire il trattamento anche se non si hanno più disagi evidenti. L’alleanza col medico è sempre indispensabile per evitare errori terapeutici di ogni tipo».


Dal Sito: corriere.it

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