giovedì 18 gennaio 2018

Emetofobia: “Come ho sconfitto la paura di vomitare”




È sorprendente scoprire quanto sia comune e diffusa la fobia legata all’atto del vomitare. Per Katie Grant, però, diventò così preoccupante da indurre in lei una sorta di ossessione nei confronti del cibo che la portò sull’orlo del baratro. La testimonianza che segue racconta della sua esperienza di come ha vinto la sua battaglia.

Katie Grant è una giovane brillante e piena dalle grandi ambizioni per il suo futuro quando si ritrova a scontrarsi con l’emetofobia.

Se mi chiedessi cosa ho mangiato oggi non avrei alcun dubbio nel rispondere con un deciso “niente”. No, non sono a dieta, ma credo che sarebbe piuttosto onesto ammettere che mi sto riducendo alla fame.

L’autoimposizione che spinge un soggetto al rifiuto del cibo è spesso associata ai sintomi dell’anoressia nervosa; ma non mi è mai stata diagnosticata alcuna forma di anoressia e non sono assolutamente preoccupata riguardo al mio peso che, in realtà, non è poi così distante da quello di un individuo in salute per la mia costituzione. Ma sono ossessionata dal cibo o, piuttosto, dai suoi potenziali effetti dannosi. Sono emetofobica e la paura di vomitaremi assale fino ad immobilizzarmi. La fobia nei confronti del mangiare ha capitalizzato i miei pensieri e la mia vita per quasi un decennio.

Si stima che siano milioni gli individui nel mondo affetti da emetofobia, tuttavia rimane una condizione poco studiata e dalla sintomatologia trascurata: il vomito, in effetti, non rientra in una delle aree scientifiche di ricerca così affascinanti.

Il Dr. David Veale, consulente psichiatrico che si occupa di terapia cognitivo-comportamentale in un centro a sud di Londra, all’NHS (Servizio Sanitario Nazionale) ed è primario nell’ospedale a nord di Londra, rappresenta uno dei pochi esperti di emetofobia del Regno Unito. “Talvolta mi capita di chiedere ai pazienti quale opzione sceglierebbero tra il vomito all’istante o l’assunzione di alcune pillole che sarebbero in grado di portare alla morte senza dolore e non sono rari i casi in cui mi sento rispondere che preferirebbero morire piuttosto che vomitare. Questo rende perfettamente l’idea di quanto terribile possa essere la percezione del vomito da parte di coloro che soffrono di emetofobia”, afferma il Dr. Veale says.

Per le donne, inoltre, la paura divomitare può indurre a stati psicofisici di debilitazione totale tanto gravi da sfociare nell’infertilità, dal rimuovere completamente dai loro pensieri i figli o il loro dovere come madri di accudirli quando sono malati a causa dell’ansia e dell’implicito malessere che accompagna ogni singolo risveglio.

Tra molti emetofobici, uno dei fantasmi più terrificanti consiste nella paura di vomitare in pubblico– molti, in effetti, confessano il profondo timore di perdere il controllo e lo spavento all’idea che gli altri possano trovarli rivoltanti. Coloro che soffrono di questo particolare disturbo sono anche intimoriti di assistere qualcuno mentre vomita in quanto la sola visione potrebbe rivelarsi pericolosa per la possibilità di indurre anche loro al vomito. In parecchi interpretano la sensazione di nausea come segnale precursore di vomito, infermità e morte. Ad un pensiero più lucido l’associazione apparirebbe del tutto irrazionale e gratuita, ma, in fondo, sta proprio nella natura delle fobie l’essere irrazionali.

È importante tener presente che l’emetofobia si distingue da tutte le altre forme di fobia in quanto il fattore da cui si è principalmente terrificati è il proprio organismo.Non c’è scampo: si ha paura di se stessi.

Come la gran parte delle fobie, la paura di vomitare può scaturire da traumi infantili, in particolare legati alle esperienze in cui era coinvolto in qualche modo il vomito e che l’inconscio del proprio Sé bambino ha archiviato ed elaborato convertendole in segnali d’allarme associati alle sensazioni ed emozioni negative tipiche delle situazioni di malattia, spiega Amber Ford dell’Anxiety UK che si occupa di persone affette da disturbi ansiogeni. Afferma l’esperta:“Con la crescita, la risposta emotiva a questi traumi non viene superata dalla parte razionale e cosciente del bambino, ma da quella in cui giace il subconscio. La difficoltà di accesso a quest’area occulta si traduce nella persistenza delle reazioni negative le cui origini rimangono sepolte”.

Potrei contare sulle dita di una mano le volte in cui ho vomitato tra i 4 e i 21 anni. Ogni volta che un’amica ha confessato di aver trascorso la notte in ginocchio di fronte all’”altare di porcellana”mi sembrava di ascoltare una testimonianza completamente estranea, come del tutto aliena al mio ambito esperienziale.

Fino ad una mattina del 2007, quando dopo una serata passata a fare la spola tra un drink e l’altro o per via di una cena pesante, mi sono risvegliata abbracciata intimamente con il mio “amico bianco”. Fu quello l’istante in cui decisi che vomitare non era poi così terribile.

Una settimana dopo, le ondate di nausea ripresero ad assalirmi, ma stavolta sembravano volermi punire aggredendomi con forza perfino maggiore ed ostinata crudeltà. La mia temperatura corporea oscillava costantemente e per completare il piano di guerra, giunse anche la tachicardia. Così entrai in quel vortice, come intrappolata, cercando spasmodicamente di respirare; ero certa di essere sul punto di morire.

Non vomitai più quella notte, ma capii solo in un secondo momento che l’episodio di cui ero stata protagonista per la prima volta era un attacco di panico.ne seguirono molti altri, con annessi cedimenti ed esaurimenti. Mi sentivo sfibrata. È incredibile come la vita possa sfuggire di mano in un battito di ciglia. Non riuscii a portare a termine i miei esami per completare il terzo anno di università –il mio pacchetto“tutto incluso”di pianti, fremiti, sconvolgimenti e tempi immemori passati in posizione fetale non ammetteva alcuna attività addizionale, tanto meno lo studio o sessioni di esami.

Nonostante ciò, sono riuscita in qualche modo ad appassionarmi ad una nuova passione: lavarmi le mani. La quotidianità di una persona che vive in preda all’emetofobia è incistata da timori collaterali ad essa direttamente correlati, come quello dei microbi e dei germi che portano all’ossessione compulsiva nella pulizia. Cominciai con lo strofinare vigorosamete le mani ogni qualvolta mi si presentasse l’occasione mentre sentivo un bruciore all’immergerle nell’acqua bollente, ma il male era solo un piccolo prezzo da pagare per raggiungere il mio obiettivo, un altro passo che mi avrebbe reso vincitrice nella mia nuova e dichiarata Guerra ai Germi.

In passato degli oggetti innocui in apparenza avevano cominciato ad accumularsi in un catalogo senza fine di situazioni ad alto rischio, “codice rosso”. Quando la paura dei germi diventa così forte da impedirti di toccare senza terrorizzarti la maniglia di una porta (vero e proprio incubatore di batteri), può essere il punto di non ritorno; non riuscivo più a dormire sonni sereni. Il mio organismo era sempre in stato di eccitazione e le scosse di adrenalina si traducevano in un senso di nausea costante.

Non suonerà sorprendente, dunque, il fatto che smisi di magiare. Ciò che non butti giù non può tornare a galla, penavo. Dimagrii parecchio, rapidamente, ma non me ne resi conto fino a che i jeans non cominciai a perdere i pantaloni per strada. Un regime alimentare altamente restrittivo è una costante tra i soggetti affetti da emetofobia. Una sofferenza che a causa del legame con la perdita di peso, può essere spessofraintesa a livello diagnostico con l’anoressia.

L’assalto implacabile di pensieri ossessivi ed annessi rituali compulsivi che connota l’esistenza delle persone che convivono conl’emetofobia sfocia nella paura di ammalarsi e spesso l’emetofobia viene scambiata per disturbo ossessivo compulsivo dai professionisti (psicologi, medici, ecc.). Tuttavia esistono una fondamentali distinzioni tra le due problematiche. 

Imparare ad abbandonare le manie di controllo è la chiave d’accesso alla libertà e la via d’uscita dall’emetofobia, secondo quanto sostiene il Dr. Veale. I benefici della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) nel trattamento di fobie vanta una nutrita letteratura. Tra i metodi applicativi annovera la prescrizione di rituali o “comportamenti salvifici” (“safety-seeking behaviours”) che possano accompagnare chi soffre verso l’accettazione di potervomitare un giorno, preparandosi a farlo senza temere quando succederà.

Il Dr. Veale ci tiene a ribadire chenon esistono cure miracolanti per l’emetofobia, tuttavia si mostra fermamente convinto rispetto allapossibilità di uscire dalle spire della paura di vomitare con il tempo, attraverso la psicoterapia.

La mia convalescenza si è estesa per un lungo periodo ed il processo di ricovero è stato lungo; ed ancora non posso dirlo concluso. In seguito al mio collasso, il dottore mi ha consigliato si rivolgermi ad un terapista privato che mi ha donato la speranza di poter riconquistare quella che potremmo definire “una vita” e col sostegno di due preziosi alleati, Dettol e Carex, ho iniziato ad intravvedere una luce nel cammino verso la mia“resurrezione”.

Ho ripreso i miei studi universitari e mi sono laureata. I miei voti forse non saranno stati brillanti o eccezionali, ma nemmeno così orribili. Erano discreti e mi rendevano tanto fiera di me. La mia malattia si era portata via una parte così importante del mio essere che ho creduto di esserne fagocitata un giorno, di poter sparire, ingoiata nel suo vortice. Ma ho rifiutato che ciò potesse succedere.

Ho iniziato poco a poco a stilare una lista di cibi “sicuri” che potessi concedermi, cominciando dall’acqua in bottiglia e focaccia d’avena. Ora se ne sono aggiunti altri all’elenco e non sembra affatto che abbia un problema col cibo a giudicare da come sto.

I miei giorni positivi superano di gran lunga quelli negativi adeso, ciò significa che inserisco almeno un pasto al giorno all’interno della mia quotidianità e li accompagno con qualche stuzzichino; ma ci sono i giorni negativi, come oggi, in cui passo. Continuo a frequentare le sessioni col terapista ed ho imparato un minimo a gestire la mia ansia.

E ci sono dei lati positivi in questa vicenda. Ho compreso che la mia esperienza mi ha reso una persona più gentile. Ho appreso cosa significhi la parola compassione, ed ho imparato ad accettare e sostenere istintivamente cloro che soffrono di disturbi psichici.

Oggi so quanto possa essere vulnerabile la mente umana; non importa quanto possiamo sentirci invincibili, la vita può sempre giocare brutti scherzi e prendere direzioni inaspettate. Sono anche consapevole che un’intera esistenza possa essere riedificata con fondamenta perfino più robuste rispetto alla precedente. La mia malattia mi ha insegnato l’empatia, l’umiltà, il coraggio, la determinazione. Di recente ho iniziato a godere della possibilità che il futuro possa essere qualcosa di normale, o perfino buono.

Se mi doveste chiedere che cosa o mangiato oggi, probabilmente risponderei ancora “niente, ma spero vivamente che presto questa mia risposta possa diventare sempre più sporadica.

Fonte: Independent

Articolo pubblicato da, Katie Grant, il 27 gennaio 2015, tradotto da Silvia Tramatzu 

Antonio Fresco Psicologo 

Dal Sito: www.psicologo-milano.org





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