Tra le varie forme di psicoterapia a cui ci si può rivolgere per affrontare i momenti difficili della vita – dove ricevere un aiuto esterno professionale è essenziale per stimolare e potenziare le personali risorse di reazione – vi è l’approccio cognitivo-comportamentale, che si è rivelato particolarmente efficace per la cura del grande gruppo dei disturbi d’ansia. Quest’ultima, così diffusa oggi specialmente nel nostro mondo occidentale, non è di per sé uno stato negativo o addirittura patologico, ma più semplicemente un’attivazione del nostro organismo che si innesca quando una situazione viene soggettivamente percepita,spesso inconsapevolmente, come pericolosa. Pertanto non va considerata un difetto o un disturbo, ma una preziosa risorsa efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere un ottimale livello di allerta e migliorare le nostre prestazioni. Quando però l’attivazione di questo sistema è ingiustificata o eccessivamente sproporzionata rispetto alla situazione in essere, si viene a manifestare uno dei vari disturbi d’ansia che possono complicare a tal punto la vita di una persona da renderla timorosa ed incapace di affrontare anche le situazioni più comuni, come ad esempio uscire di casa o usare un mezzo di trasporto.
Uno strumento utile
Un interessante articolo pubblicato su BenEssere, la salute con l’anima (Aprile 2019) a cura di Caterina Allegro in collaborazione con la dottoressa Miriam Miraldi, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Scuola di psicoterapia cognitiva di Roma, ci parla di uno strumento essenziale della psicoterapia cognitivo-comportamentale, la cosiddetta “cassetta degli attrezzi”, che può essere rappresentato e sintetizzato con le prime tre lettere dell’alfabeto: A, B, C.
La psicoterapeuta Miriam Miraldi lo presenta così:
“In poche parole si tratta di uno schema che aiuta a gestire disturbi emotivi e momenti di sofferenza, mettendo in relazione pensieri, emozioni e comportamenti. Un modello teorico e concettuale, ma anche una tecnica e un mezzo pratico d’indagine e monitoraggio al servizio del terapeuta, che tuttavia, una volta appreso, può essere utilizzato anche dal paziente in autonomia”.
Il concetto fondamentale che sottende questo schema è che le reazioni emotive e comportamentali sono l’effetto di distorsioni cognitive (del pensiero): non sono tanto gli eventi in sé a crearci sofferenze ma il modo in cui li “leggiamo”, li interpretiamo, il significato che attribuiamo loro.
“Nella terapia cognitivo-comportamentale – continua la dottoressa Miraldi – l’ABC è spesso proposto dal terapeuta come metodo di analisi orale o scritta, ma anche proposto come all’assistito tra una seduta e l’altra. Inoltre, si rivela una grande risorsa anche dopo la fine del ciclo terapeutico, in cui rimane un valido strumento nelle mani della persona, da usarsi al bisogno”.
Come funziona?
Gli Antecedenti
Come funziona questo schema apparentemente molto semplice? Riempiendo di informazioni il più dettagliate possibile tre colonne verticali, dati di cui dispone solo il paziente più o meno confusamente. A, che sta perAntecedents (gli antecedenti), è la prima colonna che va riempita individuando l’evento o la situazione che ha determinato la reazione emotiva disturbante.Può trattarsi di un fatto concreto recente (sono stato redarguito dal mio capo), o di un evento che si è prodotto nella psiche come l’affioramento di una immagine mentale o un ricordo strutturato (il mio primo giorno di scuola). L’antecedente deve essere indicato in modo molto preciso ripercorrendo “alla moviola” l’evento esterno o interno, fotogramma per fotogramma, per cogliere quello responsabile del nostro malessere.
Le conseguenze
La seconda colonna da affrontare è la C che identifica le Consenquences (le conseguenze): gli stati emotivi (es. rabbia, vergogna, ecc…), le reazioni fisiologiche (es. sangue alla testa, crampi allo stomaco, ecc…) e le risposte comportamentali (es. stringere i pugni, serrare le mascelle, ecc…).
“Compilare con attenzione la colonna C è di grande aiuto – spiega la psicoterapeuta – perché spesso le persone non riescono a distinguere le emozioni nel momento del malessere, invece nominarle e focalizzarle è molto importante. Inoltre l’accento sulle reazioni del corpo permette di non concentrarsi soltanto sulla parte cerebrale, come spesso tendiamo a fare”.
Le convinzioni
La colonna B, che sta per Beliefs(convinzioni), riguarda le nostre valutazioni, i nostri pensieririguardo l’evento o la situazione attenzionati nella colonna A.
“Questa parte è da riempire per ultima, – spiega la dottoressa – perché è la più difficile da inquadrare. Secondo la psicologia cognitivo-comportamentale, infatti, i pensieri sono automatici, immediati e arrivano prima delle emozioni, spesso in forma di sentenze telegrafiche e lapidarie, di verità assolute: (…) Sono frutto di un apprendimento, quindi della storia di vita della persona che li ha imparati prima in famiglia e poi rafforzati facendo esperienza. Oltre ad essere molto rapidi ed involontari, essi hanno una propria logica interna che li rende assolutamente plausibili, e ogni persona ha i propri, che di solito tendono a ripetersi in maniera sempre uguale”.
Pertanto sono loro, questi pensieri, queste credenze, a causare le emozioni ed i comportamenti, non l’evento in sé che è solo un dato di realtà a cui ciascuno di noi conferisce un significato emotivo conformemente alle proprie convinzioni. Ma afferma Miraldi…
“È vero anche poi il contrario, che, in un secondo momento, le emozioni influenzano i pensieri, e questi di nuovo le emozioni in un circolo vizioso deleterio. Imparando a modificare i pensieri, tuttavia, si possono trasformare anche gli stati emotivi di disagio”.
Riuscendo a prendere consapevolezza dei pensieri, si può imparare a modificarli e, una volta cambiati, si trasformano consensualmente emozioni e comportamenti, che divenuti più favorevoli influenzano positivamente i pensieri, innescando così un circolo virtuoso.
Una tecnica utile che tutti possiamo imparare!
Dal sito: aleteia.org
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