mercoledì 13 maggio 2020

Paola Perego e le crisi di panico: «Il primo attacco l’ho avuto a 16 anni»



I medicinali pronti nella borsetta, attenta a non farsi vedere, né dagli amici, né dai colleghi di lavoro. La conduttrice tv racconta la fatica di convivere con le esplosioni di panico. E il momento in cui ha cominciato ad avere «meno paura della paura»
《Non sono mai stata più forte del Mostro, nessuno è più forte degli attacchi di panico. Però ho provato a conviverci, a volte vincendo, a volte perdendo». Paola Perego lo chiama il Mostro, un nemico invisibile che ti azzanna la gola, ti toglie l’aria, ti lascia senza fiato come un pesce che boccheggia con l’occhio vitreo fuori dall’acqua. Chi non ne ha mai avuto uno fatica a capire; chi lo ha provato se ne vergogna. La conduttrice ha deciso di raccontare in un libro come gli attacchi di panico le hanno cambiato la vita (Dietro le quinte delle mie paure, Piemme Edizioni). Un racconto intimo e personale. Dove ripercorre le tappe della sua vita, gli inizi da modella e l’ascesa come conduttrice, gli alti e bassi, le sue relazioni, il matrimonio prima con Andrea Carnevale («un ragazzo buono che nella vita aveva già avuto abbastanza problemi per sforzarsi di capirne altri») e poi con Lucio Presta («ero un cumulo di pezzi da rimettere insieme, Lucio vedeva tutta questa verità e continuava a volermi, non mi giudicava, semplicemente mi abbracciava più forte»).

Quando arrivò il primo attacco di panico? 
«Avevo 16 anni, ero in macchina con il mio ragazzo: l’aria smise di entrarmi nei polmoni, iniziai a sudare, non capivo dove mi stesse portando, sapevo solo che mi stava soffocando. Ma non potevo parlare. “Non voglio morire!” stavo gridando con gli occhi, ma dalla bocca nemmeno un suono. Non sentivo più le gambe, probabilmente si erano addormentate per lo shock e nella bocca la lingua sembrava un enorme pallone: stavo soffocando. Avevo paura di morire, anzi no: ero assolutamente certa di essere sul punto di morire».

Un blackout del cervello, ma all’epoca, negli anni 80, non c’erano la sensibilità e l’attenzione di adesso per i problemi di natura psicologica... 
«Questa ragazza non ha niente: i medici ti dicevano così. Nel migliore dei casi eri debole, nel peggiore eri pazza. L’attacco di panico non era conosciuto come oggi, non era così immediato diagnosticarlo, non se ne parlava, non si affrontava come un male reale. Ricordo la sensazione di solitudine assoluta: nessuno poteva entrare in quella bolla di dolore, nessuno poteva sentire quello che sentivo io»

Da allora ha iniziato a convivere con la paura e le benzodiazepine...
«Tavor, Lexotan, Xanax, li ho girati tutti, sempre sotto prescrizione medica. Avevo sempre i medicinali in borsa ma ero attentissima che nessuno mi vedesse prenderli, né gli amici né sul lavoro. Questa paura costante di morire mi avrebbe accompagnato per sempre: la mia vita era cambiata».

Quanto l’ha penalizzata sul lavoro e nella vita? 
«Non sapevo cosa fossero la sicurezza, la spavalderia e la consapevolezza di sé che vedevo in tante altre ragazze nel nostro ambiente, perché era come se vivessi perennemente nell’incubo che il Mostro potesse portarmi via. Era una minaccia che non mi abbandonava mai e che stava cambiando il mio carattere, trasformandomi in una persona che aveva perso del tutto la spontaneità e il sorriso».

Viveva con il freno a mano perennemente tirato?
«L’austera Paola Perego. L’algida conduttrice. La Perego fredda e controllata. I giornali parlavano di me, bollandomi con aggettivi degni di un ufficiale della Gestapo. Certamente mi faceva male. Sapevo di non essere quella persona, sapevo di avere dentro di me un universo di sentimenti, un fiume di emozioni arginato da troppi anni di malattia, ma quello che riusciva a emergere dallo schermo evidentemente era una donna all’apparenza fredda e un po’ troppo sulle sue».


Nel corso della vita ha rivelato a pochissime persone di essere affetta da attacchi di panico. Era la paura di non essere capita? 
«Non è un argomento di cui sia facile parlare, proprio perché mette allo scoperto la nostra parte più intima, più vulnerabile e anche, in qualche modo, più misteriosa. È come trovarsi imprigionati in cima a una torre, al buio, sapendo che fuori ci sono delle persone che potrebbero aiutarti, ma tu non hai voce per gridare, non hai parole e non hai nemmeno una corda da tirare giù perché possano arrampicarsi per venirti a prendere. E la cosa più terribile è che questa sensazione non ti dà tregua e ti toglie tutto, perché in quella torre sei atrocemente sola».


Se lo è chiesto: perché a lei?
«Dopo tanti percorsi di analisi ho capito che c’è una predisposizione a reagire in un determinato modo davanti agli eventi della vita. Senz’altro ora so che la mia mania del controllo ha influito sugli attacchi di panico; la convinzione di poter risolvere i problemi di tutti, di dover trovare una soluzione a ogni cosa, questa smania di mettere tutto al proprio posto, anziché darmi coraggio ha contribuito a gettarmi in un limbo di ansia e paura».


Aveva una vita limitata, non riusciva a fare le cose più semplici, come guidare, uscire da sola, farsi la doccia quando in casa non c’era nessuno. Dopo 30 anni, da poco, è guarita. Quando è successo? 
«Non so identificare il momento preciso in cui ho rivisto la luce dopo quasi trent’anni di buio. Ricordo solo di aver ricominciato a sentire l’aria fresca sul viso, di aver ripreso a vedere i colori delle foglie, del cielo di Roma. Piano piano ho cominciato ad aver meno paura della paura».


Nel libro ammette tutte le sue fragilità. Cosa l’ha spinta a raccontarsi?
«Da una parte spero che questo libro possa aiutare chi soffre di questa malattia infida, perché già parlarne aiuta. Dall’altra ho sempre vissuto nell’immagine che gli altri avevano di me, ero quello che gli altri volevano che fossi. Ma arriva un punto nella vita in cui devi essere te stessa. Se sai chi sei, ti accetti. Senza paura. E non ti importa niente di quello che dicono gli altri».



Dal Sito: corriere.it

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