venerdì 8 maggio 2020

Dolore emotivo: Ciò che non ti uccide ti rende più forte



Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati”disse Ernest Hemingway. Sfortunatamente, ci sono persone che non si riprendono mai dai colpi che la vita dà loro, non sono in grado di permettere che le loro ferite guariscano, e queste terminano condizionando sia il loro presente che il loro futuro.

Il dolore emotivo può diventare molto più resistente e intenso del dolore fisico. Purtroppo, ci hanno educato a evitare il dolore, invece che affrontarlo e usarlo come trampolino di lancio per la crescita. Pertanto, non è strano che quando affrontiamo situazioni che ci causano sofferenza, attiviamo delle strategie che ci fanno sentire ancora peggio e ritardano la guarigione emotiva.

10 modi dannosi di affrontare il dolore emotivo

Il dolore emotivo genera di solito risposte diverse. Se non abbiamo sviluppato le nostre risorse psicologiche di coping, è probabile che agiremo automaticamente, ripetendo comportamenti che abbiamo imparato dai nostri genitori o da chi abbiamo vicino. In questi casi, è molto facile cadere in un ciclo di negatività in cui non troviamo l’uscita.

1. Fuga. Si traduce nel tentativo di allontanarsi con ogni mezzo dall’evento doloroso, dalla situazione che ci sta causando sofferenza. Ma dal momento che il dolore emotivo ha una grande componente soggettiva, non c’è posto al mondo in cui possiamo scappare da noi stessi, quindi questa strategia di evitamento di solito non è molto efficace.

2. Repressione. È un meccanismo di difesa che attiviamo quando crediamo di non essere in grado di affrontare il dolore emotivo. Consiste nel cercare di dimenticare gli eventi, in modo tale che non causino sofferenza. Il problema, ancora una volta, è che non possiamo semplicemente dimenticare perché quei contenuti rimarranno attivi, dal momento che non li abbiamo elaborati come parte della nostra narrativa di vita.

3. Negazione. Abbiamo scelto di ignorare la sofferenza, agendo come se non esistesse. Ogni volta che sentiamo una fitta di dolore diciamo a noi stessi che non sta succedendo nulla, che tutto sta andando bene. Ovviamente, negare la realtà non la farà scomparire.

4. Proiezione. In questo caso il dolore emotivo viene proiettato sugli altri. Quando mettiamo in azione questo meccanismo ci diciamo che noi stiamo bene, che sono gli altri a soffrire. Crediamo che non riconoscendo la sofferenza, questa scomparirà come per magia.

5. Regressione. Quando il dolore emotivo è molto forte, a volte ci rifugiamo in periodi precedenti della nostra vita, in cui ci sentiamo molto più a nostro agio e al sicuro. La nostalgia, e il bisogno di guardare indietro per sentirsi bene, indicano spesso che stiamo vivendo un presente che non ci piace. Tuttavia, per superare qualsiasi tipo di dolore emotivo è essenziale guardare avanti, non rimanere bloccati nel passato.

6. Isolamento. Più profonda è la ferita, più privato è il dolore. A volte non troviamo un modo per esprimere quella sofferenza, così finiamo per isolarci, viverlo in privato e permettergli di consumarci. Il problema è che l’isolamento genera solitudine e la solitudine innesca la depressione, introducendoci in un circolo vizioso che alimenta la sofferenza.

7. Razionalizzazione. Se crediamo di essere una persona profondamente razionale, che non può essere influenzata dalle emozioni, rifiuteremo il dolore emotivo e cercheremo delle cause razionali che possano confortarci. Il problema è che spesso questo processo porta all’autocolpevolizzazione, che genera problemi ancor maggiori a livello emotivo.

8. Spostamento. In questo caso cercheremo di trovare un colpevole fuori di noi, a cui possiamo attribuire la responsabilità del nostro dolore. Ma la verità è che la ricerca del capro espiatorio ci impedisce di assumere la nostra parte di responsabilità e imparare dall’esperienza. Pertanto, quel dolore sarà stato inutile.

9. Sostituzione. In questo caso, la strategia che scegliamo per affrontare il dolore emotivo è sostituire i pensieri che ci feriscono con altri, per evitare la sofferenza. All’inizio, non ci sarebbe nulla di sbagliato in questo, il problema si presenta quando la sostituzione dei pensieri viene fatta con l’obiettivo di negare l’evento o quando usiamo affermazioni ingenue come “stai molto bene, non succede assolutamente nulla”.

10. Ripetizione. È una delle peggiori strategie che possiamo usare per affrontare il dolore emotivo perché consiste nel ripassare, più e più volte, l’accaduto. La nostra mente si trasforma in un cinema in cui proiettiamo continuamente i fatti, cercando di ricostruire anche il più piccolo dettaglio nel tentativo di trovare consolazione o una spiegazione. Ovviamente, questa strategia non fa che alimentare il problema.

3 passi per superare il dolore emotivo

1. Il dolore non è tuo amico, ma neppure il tuo nemico

Il dolore è dentro di noi, non possiamo sfuggirgli, anche se è vero che in alcuni casi è conveniente allontanarsi dalla fonte che lo causa. Ma è sempre necessario fare un profondo lavoro interiore.

Negare il dolore non è il modo migliore per affrontare la sofferenza. Il dolore emotivo è un sintomo, il segno che qualcosa non va e dobbiamo “ripararlo”. Pertanto, il primo passo per superarlo è accettarne l’esistenza e imparare a conviverci finché poco a poco scomparirà.

Quando soffriamo un’esperienza traumatica le tracce dolorose rimangono impresse nel nostro cervello. I neuroscienziati dell’Università di Harvard chiesero a delle persone che avevano subito un trauma di ascoltare una descrizione dell’accaduto, nel frattempo veniva scannerizzato il loro cervello. Scoprirono così che quando le persone non erano in grado di voltare pagina, si attivavano soprattutto l’amigdala, il nucleo della paura e la corteccia visiva, il che significa che stavano rivivendo questi eventi in modo particolarmente intenso.

Al contrario, nelle persone che erano riuscite a superare il trauma, si attivò l’area di Broca, responsabile del linguaggio. Ciò significa che queste persone trasformarono l’evento doloroso in un’esperienza narrativa che incorporarono nella loro storia di vita, così da riuscire ad alleggerirlo, almeno in parte, del suo impatto emotivo.

All’inizio, l’idea è quella di prendere atto del dolore, come potremmo prendere atto del resto delle cose che ci circondano, ma cercando di non drammatizzare ancora di più. Per esempio: “provo dolore, ne sono consapevole ed è una risposta normale che svanirà con il passare dei giorni”. Certo, non si tratta di accettare solo quel dolore, ma anche tutti i sentimenti che porta con sé, dalla rabbia alla frustrazione.

2. Accettazione radicale: a mali estremi, rimedi estremi

Lo psicologo William James scrisse: “accettare ciò che è accaduto è il primo passo per superare le conseguenze di qualsiasi disgrazia”. Se continuiamo a rimuginare sull’accaduto, non potremo mai voltare pagina.

Tara Brach ci propone di praticare l’accettazione radicale, che consiste in “riconoscere chiaramente ciò che proviamo nel presente così da poter affrontare quell’esperienza con compassione”. Questo significa accettare tutto ciò che ci accade nella vita senza opporre resistenza. Non significa rassegnarsi, ma assumere che certe cose sono successe e non possiamo cambiarle, invece di emettere continuamente giudizi di valore che ci immergono in un ciclo di negatività, come ad esempio: “non doveva andare così”, “non è giusto” o “perché proprio a me?”

Quando accettiamo un evento, per quanto doloroso, riusciamo a capire che questo evento fa parte del passato e che ciò che condiziona il nostro presente sono i pensieri e le emozioni che stiamo alimentando. Certo, non è facile, l’accettazione non arriva in un colpo solo, è un processo che richiede un arduo lavoro psicologico.

Mentre accetti che l’accaduto appartiene al passato, il tuo cervello lo elaborerà finché non riuscirai a “sconnetterlo” dal tuo presente. Quando accetti che non puoi cambiare quello che è successo, il cervello smetterà di cercare soluzioni, il che significa che smetterai di rimuginare e rivivere l’esperienza dolorosa nella tua mente.

3. Ricomporre i pezzi rotti che il dolore lascia dietro di sé

L’avversità colpisce tutti, siamo noi che dobbiamo imparare non solo a sopravvivere, ma anche ad uscire rafforzati dall’esperienza. Essere dei sopravvissuti che trascinano con sé il dolore emotivo può diventare un vero incubo.

Ci sono persone che hanno la capacità innata di ricomporre i pezzi rotti, sono persone resilienti che dispongono di risorse straordinarie per il recupero emotivo. Altri devono sviluppare quelle abilità. Secondo lo psicologo Guy Winch, “la perdita e il trauma possono fare a pezzi la nostra vita, devastare le nostre relazioni e sovvertire la nostra stessa identità”, ma è necessario ricomporre quei pezzi.

In realtà, le esperienze traumatiche che lasciano dietro di sé una grande sofferenza sono così dolorose, tra le altre ragioni, perché fanno a pezzi le nostre convinzioni rispetto al mondo, facendoci notare che non è un posto così sicuro come pensavamo. Questa scoperta può essere piuttosto destabilizzante, perché non si tratta solo di riprendersi dal colpo subito, ma ci rende consapevoli che la vita può infliggerci colpi ancor più dolorosi.

Per curare la ferita abbiamo bisogno di tempo e di un profondo lavoro introspettivo. Infatti, molto spesso non si tratta di rimettere i pezzi rotti al loro posto, come faremmo con un vaso rotto, ma trovare nuovi modi di far combaciare quei pezzi. Questo significa che potresti trovare un nuovo significato della vita, capire in che modo questa esperienza ti ha reso più forte o addirittura sentirti incoraggiato a intraprendere nuovi progetti. Se usi il dolore come un’opportunità per crescere, invece di vederlo solo come una fastidiosa pietra sul tuo cammino, non sarà stato invano.

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