Chi ha visto il noto film di animazione Inside Out ha trovato in esso una rappresentazione eccezionalmente accattivante e scientificamente corretta insieme di cosa possa voler dire gestire le emozioni negative e sviluppare un’intelligenza emotiva.
Eh già perché la vita di Riley, la giovane protagonista del film, non può essere fatta solo di gioia assoluta, non si può relegare la tristezza in un angolo perché non “contamini” con la sua influenza i ricordi e le vicende che accadono.
La pienezza di una vita affettivamente soddisfacente passa per un’inevitabile, e sana, “contaminazione” delle esperienze e dei ricordi che ci costruiamo di esse combinando tonalità affettive diverse, ricordi felici con altri più malinconici, aspetti soddisfacenti con altri più frustranti o deludenti delle nostre esperienze.
Sviluppare una competenza emotivasignifica saper attingere sapientemente alla tavolozza delle emozioni, essere in grado di cogliere le diverse sollecitazioni affettive dell’esperienza senza lasciarsi sopraffare da un unico stato emotivo nella sua forma assoluta e pervasiva.
Gestire le emozioni negative
Gestire le emozioni negative, in che modo? La domanda è senz’altro interessante ma, in una certa misura, ambigua. In che senso possiamo dire che esistono emozioni “negative”?
Come facciamo a discriminarle e ad etichettarle come tali? Si potrebbe rispondere che si tratta di una questione in fondo abbastanza semplice: potremmo considerare “negativi” tutti quegli stati affettivi che ci lasciano turbamento, un certo grado di afflizione o che comunque ci pongono nella condizione di sperimentare un vissuto a noi sgradito.
Potrebbero venirci alla mente alcuni esempi: la proverbiale tristezza citata poco prima, variazioni sullo stesso tema come scoramento, senso di abbandono o di solitudine, sentirsi inutili o impotenti; oppure rabbia, ansia, angoscia, l’elenco potrebbe dettagliarsi ulteriormente.
Tutti vissuti che sperimentiamo probabilmente con fatica e che, sebbene estremamente variegati fra loro, sembrano avere la caratteristica comune di essere vissuti con un certo grado di insofferenza, ci inducono a trovare un modo per liberarcene e cancellarle.
Ciò che più connota come “negative” certe emozioni è, dunque, l’urgenza che ne consegue di allontanarle dalla nostra esperienza.
Eliminare le emozioni negative?
Sicuri, tuttavia, che eliminare le emozioni negative corrisponderebbe ad un vantaggio per il nostro benessere psicologico? Dipende.
In una scena del film Inside Out assistiamo ad un episodio interessante: Bing Bong, l’amico immaginario di Riley – un buffo elefante rosa con una coda da procione frutto delle fantasie infantili della protagonista – piange sconsolato rendendosi conto di essere ormai soltanto un vecchio ricordo ai margini della sua mente e di non poter mai più riconquistare il centro delle sue fantasia ora che, con la preadolescenza, si affacciano nell’immaginario della bambina nuovi idoli.
Gioia, impersonando la carica assolutizzante di questa emozione, tenta senza successo di spronare Bing Bong a riconquistare l’ottimismo e il buonumore.
Sarà Tristezza, nelle fattezze di un’adorabile bimba blu goffa e paffuta, a riuscire a sintonizzarsi empaticamente con lo stato emotivo di Bing Bong e a fornirgli l’unico conforto di cui poteva aver bisogno: quello di sentirsi capito e accoltonella propria tristezza, nel senso di abbandono e di lutto che stava sperimentando.
Un lutto che è utile a Bing Bong attraversare: sarà soltanto dopo aver compreso che il suo tempo nella vita immaginaria di Riley è ormai finito che potrà decidere con consapevolezza di farsi da parte, permettendo così alle vicende di virare verso una possibile reintegrazione.
Tollerare la tristezza in noi stessi e negli altri
Bing Bong e la vicenda qui raccontata ci insegna qualcosa riguardo all’utilità che possono avere le emozioni negative nella nostra vita psicologica se riusciamo a tollerarle in noi stessi e a gestirle invece di cedere all’impulso di eliminarle.
Attingere alla nostra personale tristezza, alle nostre emozioni negative, è ciò che ci consente di empatizzare con quelle altrui e di costruire legami affettivi anche condividendo esperienze difficili.
Vivere le emozioni tristi, depressive e luttuose che un’esperienza può suscitarci – anche la nostra vita è costellata fisiologicamente di abbandoni come avviene nella preadolescenza di Riley – può rivelarsi un’occasione per crescere, fare spazio per accogliere nuove potenzialità di espressione della nostra personalità e comprendere quali scelte meglio si accordano con la persona che siamo diventati.
Rivestire le emozioni di parole
Cosa fa la differenza fra l’essere sovrastati dall’irruenza distruttiva di un’emozione travolgente e il poterla gestire al servizio del nostro benessere psicologico? Una capacità fondamentale è quella di riconoscere l’emozione come tale, poterle dare un nome e renderla comunicabile a noi stessi e agli altri…
Scriveva Henry Roth “se riesci a tradurre in parole ciò che senti, ti appartiene”.
Dal Sito: crescita-personale.it
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