Le crisi di Cefalea possono essere rappresentazioni dell’incapacità di contenere ed elaborare nella mente un’esperienza di vita troppo dolorosa
Il “Mal di testa” è uno fra i disturbi più comuni, la sua forma più diffusa non ha però in realtà cause organiche accertate.
Il dolore alla testa può manifestarsi con varie caratteristiche: può essere circoscritto ad una zona precisa oppure estendersi a tutto il capo, può essere continuo o intermittente, oppure sporadico.
I sintomi si manifestano in diverse forme e possiamo quindi distinguere tra le Cefalee essenziali quelle vasomotorie caratterizzate da crisi periodiche, disagio alla luce, irritabilità, nausea e capogiri; quelle muscolotensive, causate da contratture e irrigidimenti della fascia cervicale, definite anche psicogene; infine, le Cefalee da Nevralgia, derivanti dai nervi sensitivi del capo con particolare sensibilità soggettiva al dolore.
Il legame tra la mente e il corpo
La componente psicosomatica di un disturbo fisico è presente quando un dolore più profondo affettivoemotivo trova nel corpo la forma espressiva più diretta e visibile.
Anche nella Cefalea esiste una correlazione reciproca fra mente e corpo. Una persona che soffre di Cefalea sente, pensa e agisce secondo le direttive della testa, che rappresenta la “centralina di comando”.
Ogni evento significativo, soddisfacente o frustrante, ad esempio una conquista o, viceversa, un fallimento, può essere vissuto ad un livello cerebrale, “di testa” appunto, e venire assimilato in pensieri che rimuginano nella mente fino a trasformarsi a volte in vere e proprie ossessioni ricorrenti. Chi ne soffre lamenta di sentirsi “imprigionato da idee che pesano nella testa come macigni... La sensazione è di ossa che spingono fuori dal cranio, alle tempie, dietro la nuca, sugli occhi, una specie di casco che comprime da tutte le parti e produce la sensazione sgradevole della “testa che scoppia”.
La negazione del dolore
Quando un’esperienza di vita è troppo dolorosa e diventa insopportabile, non può essere pensata, cioè tenuta nella mente. Si realizza allora una sorta di delega al corpo, un passaggio di consegne dal mentale al somatico.
Anche ricorrendo a meccanismi inconsci di difesa per evitare il dolore, come ad esempio la negazione, la componente di sofferenza è rimossa da qualche altra parte, persino esiliata nel corpo, lasciando una mancanza di senso a quanto sta accadendo. La negazione del dolore non equivale alla sua risoluzione. Al contrario, negare è l’estremo inconsapevole tentativo di estraniarsi da qualcosa che si sente intollerabile dentro di sé, inaccettabile, come ben si comprende dal commento di questa giovane donna: “Non è vero che mi fa male il fatto che se ne sia andato via... non posso pensare di essere ancora coinvolta”.
Per il nostro equilibrio interno e di relazione con gli altri, ciò che sperimentiamo e valutiamo come insopportabile è indigeribile, quindi indigesto per la nostra testa. Le cose che non riusciamo a pensare non esistono, sono inammissibili, a volte diciamo che sono “assurde”, per dire che se la testa non può accoglierle con la funzione di un buon contenitore, non possono esserci contenuti al suo interno.
Se i contenuti della testa fanno male
Le crisi di Mal di testa sembrano attacchi alla capacità del pensiero di sopportare vissuti di dolore.
Il quadro clinico descrive una sintomatologia organica che ha sede nella parte alta del corpo, la testa, ma la sua origine è nel mondo interno della persona che ne soffre, in quella parte più nascosta e intimamente riposta negli strati della coscienza più lontani dalla consapevolezza.
La Psicoanalisi cerca di tornare all’origine del dolore caratteristico della Cefalea ricollegandolo ai livelli più bassi, inconsci, che sottostanno alla realtà oggettiva dei sintomi.L’inconscio rappresenterebbe il contenitore primitivo dei contenuti grezzi dell’esperienza (sensazioni, fantasie, tracce di memoria) che, per essere assimilati in qualcosa che abbia senso, devono trasformarsi in contenuti mentali più elaborati (immagini, percezioni, pensieri).
La testa è il nostro apparato per pensare, la sua funzione è di accogliere e smaltire i significati della realtà che viviamo. Certi eventi significativi, come le perdite, i lutti, le separazioni, possono non essere sopportati dalla mente per la loro intensità e per il dolore che rappresentano. Se un’esperienza di dolore è solo vissuta ma non assimilata o “digerita”, può tradursi in un’esperienza psicosomatica. Analizziamone alcuni esempi.
Cefalee vasomotorie...
Di questo gruppo fanno parte le sindromi emicraniche come l’Emicrania classica cronica; gli episodi possono durare ore o giorni, alcuni spesso sono preceduti o accompagnati da sintomi sensoriali (aura) come formicolii a braccia e gambe, annebbiamento o perdita parziale della vista. Più localizzata da un solo lato della testa, l’Emicrania può manifestarsi anche con nausea, vomito ed estrema sensibilità alla luce e ai rumori.
In analogia ai sintomi fisici, anche le percezioni soggettive di chi ne soffre si riferiscono a un disturbo molto invalidante, soprattutto nella sfera delle relazioni interpersonali: il dolore alla testa è così acuto da spingere all’isolamento, fino alla rinuncia a godere della compagnia degli altri.
... e da tensione muscolare
Di solito a soffrirne di più sono le persone ansiose, che raccontano i sintomi in termini di “oppressione, una morsa che stringe la testa, un cerchio...”, suscettibili di miglioramenti in stati di rilassamento fisico e distensione mentale.
Le Nevralgie
In questi casi il dolore si presenta con attacchi violenti di breve durata, causati da una lesione irritativa dei nervi cranici; la più conosciuta è la Nevralgia del trigemino. Anche le reazioni soggettive al sintomo fisico sono come “infiammazioni sentite dentro di sé”, tutto è vissuto con rabbia in maniera insofferente.
Il dolore nella Cefalea è sempre ambivalente: rivela e maschera allo stesso tempo una domanda di ascolto, scopre e nasconde il desiderio e l’angoscia di capire, di conoscersi.
La Psicoterapia come cura
Spesso un Paziente che soffre di Cefalea si rivolge ad uno Psicoterapeuta dopo avere tentato altri tipi di intervento, soprattutto terapie mediche, senza significativi risultati.
Nell’anamnesi il Paziente racconta di come sta con un doppio registro narrativo, contemporaneamente corporeo e psichico, costretto a tenere insieme parti di sé solo in apparenza separate, ma che funzionano in realtà all’unisono.
Fin dagli inizi Freud aveva sviluppato un’originale teoria del dolore che implicava un legame stretto con la realtà organica e la biologia. Più tardi Bion, noto psicoanalista britannico, comprenderà che lo sviluppo di una mente capace di dare senso al proprio vissuto di dolore nasce dalla relazione con un’altra mente capace di nutrire di significati le esperienze di vita.
Come una buona madre deve pensare come pensa il suo bambino per aiutarlo a pensare su se stesso, così anche lo Psicoterapeuta con il suo Paziente che soffre di Cefalea deve saper prestare la propria testa, il proprio mondo mentale come contenitore che sappia assimilare i pensieri dolorosi slegati, spaventosi e indigeribili della mente del Paziente.
La funzione pensante dello Psicoterapeuta è il necessario nutrimento, come cibo per la mente, che permette gradualmente di distinguere i vari piani della sofferenza psicosomatica in gioco: la concretezza del corpo, l’origine della sofferenza e le difese adottate per non accettarla.
Se il Paziente non è in grado di pensare ed elaborare il proprio dolore, allora ha bisogno del supporto di una mente diversa dalla sua che lo aiuti a pensare e trovare il modo di trasformare il proprio vissuto di sofferenza, che lo accompagni nello sviluppo della capacità di sopportarlo in un processo di cura volto a recuperarne il senso, nella parola, nell’azione e nel corpo.
Dal Sito: elisirdisalute.it
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